2020-02-15
L’Oms dà i numeri. Ma quel che è peggio è che glieli detta direttamente la Cina
Tedros Adhanom Ghebreyesus/Ansa
Pechino cambia i criteri per la conta dei contagiati, l'ente va in tilt e aggiunge una postilla alle tabelle: «Secondo i cinesi». Ormai siamo allo scontro frontale sulle cifre dell'epidemia di coronavirus. Nei giorni scorsi ve l'avevamo anticipato proprio su queste pagine: i numeri non tornano, complice anche la cortina di ferro imposta dalla dittatura comunista cinese. Eppure la gestione epidemiologica dell'infezione è fondamentale per comprendere come, dove e con quale velocità si diffonda il virus, e di conseguenza prendere tutte le dovute contromisure per arginare la sua propagazione a livello globale. Giovedì sera la pubblicazione del consueto report giornaliero da parte dell'Oms ha ufficializzato la profonda spaccatura tra Pechino e la massima autorità sanitaria mondiale. Per la prima volta dal 21 gennaio, data a partire dalla quale l'agenzia dell'Onu pubblica gli aggiornamenti sull'epidemia, nel bollettino non era presente il numero dei decessi. Una mancanza che non poteva rimanere inosservata, anche perché il dato viene costantemente monitorato e preso come valore di riferimento da tutti i media. Con tutta probabilità non si è trattato di un caso né di un errore di battitura. Nella sintesi del report è contenuta una possibile spiegazione. «La scorsa notte la Cina ha riportato 14.840 casi, inclusi 13.332 casi diagnosticati sulla base dei sintomi», si legge nel testo, «questa è la prima volta che la Cina segnala casi sulla base dei sintomi in aggiunta a quelli confermati da test di laboratorio». Una decisione che non trova d'accordo l'Oms, che infatti più avanti specifica: «Per questioni di coerenza, riportiamo solo i casi confermati in laboratorio. L'Oms ha richiesto ulteriori informazioni in merito ai casi diagnosticati sulla base dei sintomi, in particolare in quale periodo si sono verificati nel corso dell'epidemia, e se tra essi rientrino casi sospetti poi riclassificati». Parole dure, dalle quali emerge un forte scetticismo da parte di Ginevra nei confronti delle autorità sanitarie cinesi. Tuttavia, non riportare un dato tanto importante come quello relativo ai decessi nel documento ufficiale diffuso al pubblico rappresenta uno scivolone imperdonabile per l'Oms, oltre che un brutto colpo alla sua credibilità. Non sappiamo se il nostro tweet con la richiesta di chiarimenti in merito, indirizzato all'account dell'agenzia, al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus e al responsabile per le emergenze Mike Ryan, abbia sortito qualche effetto. Quel che è certo è che sul sito ufficiale dell'agenzia, nella mattinata di ieri, è stata pubblicata una nuova versione del report. Stavolta il numero dei decessi (per la precisione 1.368) risultava in effetti indicato, ma non senza il rimando a una laconica quanto polemica nota a piè di pagina: «Come riportato dalla Cina».Nel corso dell'abituale conferenza stampa svoltasi ieri pomeriggio, Ghebreyesus è tornato sull'argomento, spiegando che «come saprete, la Cina ha cambiato i criteri con i quali riporta i dati dalla provincia di Hubei, nella quale fino a oggi risultano 47.505 casi confermati in laboratorio, e (altri, ndr) 16.427 casi confermati sulla base dei sintomi». Senza risparmiarsi qualche frecciatina: «Siamo in attesa di ricevere ulteriori chiarimenti sui metodi con i quali viene effettuata questa diagnosi basata sui sintomi, allo scopo di assicurarci che gli altri disturbi respiratori come l'influenza non si sovrappongano con i dati del Covid-19 (il nome ufficiale del coronavirus, ndr)». Il dottor Tedros, come ama farsi chiamare, ha poi annunciato che la missione dell'Oms in Cina procede spedita, specificando che l'intera squadra incaricata di lavorare con le autorità di Pechino (formata da 12 esperti nazionali e altrettanti dell'agenzia) dovrebbe essere pienamente operativa già a partire da questo fine settimana. Sono passate solo poche settimane ma sembrano secoli da quando il direttore generale dell'Oms elogiava il lavoro svolto da Xi Jinping. «Apprezziamo la serietà con cui la Cina sta affrontando questo focolaio», sosteneva Tedros il 29 gennaio scorso, «in particolare l'impegno della massima leadership e la trasparenza che hanno dimostrato, inclusa la condivisione di dati e la sequenza genetica del virus». Pochi giorni prima, il direttore generale aggiunto Ranieri Guerra si complimentava con le autorità cinesi per aver «fatto tutto ciò di cui c'era bisogno, senza alcun tipo di debolezza e incertezza», e per «la trasparenza assoluta e totale anche rispetto all'identificazione del genotipo, dimostrando di aver compiuto progressi notevolissimi rispetto a 15 anni fa». Man mano che passano le ore, i rapporti vanno deteriorandosi, forse anche perché l'Oms si è resa conto della pericolosità del virus, e in particolare della notevole velocità alla quale si diffonde.Tornando ai numeri, anche dalle parti di Pechino le idee non sembrano chiarissime. Senza contare i circa 16.400 casi che «ballano» per via dei nuovi criteri di diagnosi, l'ultimo report diffuso ieri dalle autorità cinesi riportava alcune incongruenze, compresi quelle relative ai casi «guariti in giornata» e una correzione sul numero dei decessi perché «già contati in precedenza». Un grottesco balletto di numeri che fa impazzire anche i cosiddetti competenti. «Lo ammetto: non ci capisco più niente», ha twittato uno scoraggiato Roberto Burioni. E se lo dice uno che ha basato il proprio successo sulla sicumera, siamo messi davvero male.