2020-07-04
Sandro Veronesi è l’eroe dello Strega di regime
Sandro Veronesi (Franco Origlia/Getty Images)
Politicamente correttissimo, piddino doc sempre in sintonia con il segretario di turno, fan di Jorge Mario Bergoglio, pro migranti, europeista, editorialista accigliato. Il suo Il Colibrì è l'emblema della cultura dell'apericena. Poteva chiamarsi Il Verme, avrebbe vinto lo stesso. Anche l'anellide che scava con fatica gallerie nel terreno praticamente da fermo per diventarne humus somiglia al Marco Carrera protagonista de Il Colibrì che spende ogni energia per rimanere immobile; questione di leggiadria, questione di ipocrisia. Avrebbe vinto lo stesso il premio Strega perché in questi casi non è importante il libro ma l'autore. Ed era da troppo tempo che Sandro Veronesi, il letterato di corte più politicamente corretto dell'harem, non arrivava primo nella Coppa Italia libraria.Premesso che, come diceva Thomas Bernhard, «certi premi non solo non bisogna vincerli ma non bisogna meritarli», è dai tempi di Caos Calmo (2006) che Veronesi studiava la doppietta. Una marcia di avvicinamento certosina, senza mai sbagliare una mossa. Forse consapevole di possedere un talento letterario microscopico, ha puntato tutto sullo storytelling del perfetto scrittore di regime: piddino doc con ascendenze veltroniane (quindi innamorato delle prefazioni), sempre in sintonia con il segretario di turno, groupie atea di papa Francesco, intellettuale provato a giorni alterni dalle disgrazie dei migranti, cannoneggiatore su Twitter di ogni singola virgola di Matteo Salvini, europeista della domenica, editorialista accigliato del Corriere della Sera. Essendo juventino vorrebbe farsi fotografare tra Cristiano Ronaldo e Paulo Dybala, ma in una triade ideale della cultura popolare italiana è perfetto tra Alessandro Gassman e Fabio Fazio. Il livello è quello e lo conferma nel suo Il Colibrì (La nave di Teseo editore), una storia che si trascina senza bussola ma con tutto l'armamentario che serve per schienare qualche casalinga disperata da centro storico, con la Vuitton in tinta con la bici radical. Fossimo a Venezia sarebbe un Banal Grande. C'è il protagonista problematico, c'è un'intera collezione di fallimenti nei rapporti famigliari, c'è quel meraviglioso senso di resilienza che somiglia alla rucola sulle cotolette degli anni Novanta, c'è lo psicoanalista che interpreta tutto in chiave lacaniana (pare Armando Verdiglione senza Rolls Royce). E soprattutto ecco tre ingredienti immancabili nell'Italia del pensiero debole permanente: la causa umanitaria, il comparire dell'ecologismo di Greta Thurnberg (lui ammette «con la sindrome di Asperger la realtà l'ha fatta borderline con più fantasia») e un'allegra fine con la festa dell'eutanasia copiata dalle Invasioni barbariche. Per l'apericena non serve altro.La cultura italiana è questa, sospesa fra Michele Serra e Jep Gambardella. La grande bellezza sta altrove, neppure l'ombra di un Michel Houellebecq ma neppure di un Tullio Avoledo prima maniera. Basta poco per esultare, l'avevamo scoperto dalle recensioni al miele spalmate su tutti i giornali generalisti da altri scrittori intenti a farsi ricambiare il favore. «Se c'è una cosa che avverti all'impronta è l'odore di buono che emana un buon libro. Se disponi di olfatto adeguato basta una sniffatina come si deve per dire a te stesso con sollievo: eccolo qui l'odore di buono che cercavi». (Alessandro Piperno sul Corriere della Sera). «Un romanzo travolgente, pieno di vita, vita vera, vita vissuta che Veronesi sa restituire con maestria facendo apparire semplice ciò che non è» (Famiglia Cristiana). Un suicidio assistito. Ha vinto Veronesi, quello che durante il lockdown si fece notare per un articolo nel quale dispiegava tutta la sua sofferenza: la tata si era ammalata e la gestione dei figli toccava a lui, con in più la domestica da accudire. Forse per questo, in un momento di assoluto sconforto, ha partorito il grido di dolore di tutti i progressisti da divano: il virus è il genere umano. «A cosa serviamo ormai noi uomini sul pianeta Terra? Perché dovremmo continuare a vivere?». Forse per misurare la febbre alla tata, per scrivere una sceneggiatura su un marinaio che salva migranti (il prossimo originalissimo lavoro). Oppure, nell'ordine, per vincere il premio Strega del conformismo snob. Con un'appendice luciferina che arriva a festa consumata. Il Veronesi avrebbe perfino avuto il grande merito di vincere per sbaglio. Dai conteggi e dalle trame oscure dietro le quinte si scopre che solo un dissidio fra Mondadori ed Einaudi avrebbe favorito lo scrittore di corte. Non solo, nel momento decisivo, la collana Stile Libero (Einaudi) ha perso il sostegno della casa madre che tifava per Valeria Parrella. Un meraviglioso pasticcio che ha impedito il successo di uno scrittore anche peggiore di Veronesi, l'ex magistrato Gianrico Carofiglio, autore di storielle da tenente Colombo di serie B, scritte col piglio dell'appuntato di turno. Un ospite fisso di Lilli Gruber, noto soprattutto perché considera «gente sudata» chi non la pensa come lui. E allora viva il colibrì, pur trasformato dal re degli sbadigli in un uccello molesto.