
Dopo la pubblicità in cui si spiegava che la virilità è sinonimo di violenza, la storica azienda di prodotti da barba sceglie come testimonial una ragazzina divenuta maschio che affronta la prima rasatura con il padre. Associazioni Lgbt in festa.Una quindicina di anni fa, il filosofo di Harvard Harvey C. Mansfield aveva già intuito come sarebbe andata a finire: «Virilità. Oggi persino la parola sembra patetica e anacronistica», scriveva. «Sempre più attenti a esprimerci in modo neutrale rispetto al genere, stiamo trasformando il nostro linguaggio; e la virilità sembra incarnare l'essenza stessa del nemico da sconfiggere, l'erbaccia da estirpare». Queste parole riassumono perfettamente la politica aziendale di Gillette, l'azienda americana (che fa parte della multinazionale Procter & Gamble) produttrice di rasoi e prodotti da barba. Qualche mese fa, ha lanciato una campagna pubblicitaria tutta dedicata alla «maschilità tossica», in cui la virilità veniva di fatto identificata con la violenza e la sopraffazione. «Il meglio di un uomo è non essere un uomo», si potrebbe riassumere aggiornando un vecchio slogan della compagnia. Non contenti, i vertici di Gillette hanno deciso di compiere un ulteriore passo avanti lungo la strada fangosa del politicamente corretto, e hanno sfornato un nuovo spot che farà sicuramente invidia a Oliviero Toscani e alle sue trovate grottesche. Il filmato dura poco più di un minuto e a prima vista sembra piuttosto banale. Si vede un ragazzino piuttosto giovane, forse addirittura minorenne, che affronta la sua prima rasatura seguendo i consigli di un padre amorevole. Prestando un poco più di attenzione, però, si scopre che questo ragazzino è particolare. Si tratta di Samson Bonkeabantu Brown, teenager di Toronto, in Canada. Negli ultimi anni si è fatto un nome come artista e intrattenitore: balla, scrive, produce spettacoli. Soprattutto, però, Samson è un'attivista. Come si legge sul suo sito, il suo obiettivo è quello di «dare visibilità agli uomini trans e in generale educare il pubblico su questioni trans». Avete capito: il nostro ragazzino è un giovanissimo transgender passato dal sesso femminile a quello maschile. Grazie alle cure ormonali gli è cresciuta la barba e nello spot Gillette mostra al pubblico i suoi primi approcci a crema e rasoio. «Ogni volta e in qualunque modo», recita il nuovo slogan, «la prima rasatura è speciale». E poco cambia se a usare le lame è una ex femmina. «Crescendo ho sempre cercato di capire che tipo di uomo volevo diventare e sto ancora cercando di capire che tipo di uomo voglio diventare», dice Samson nel video. «Ho sempre saputo che ero diverso, non sapevo che esistesse un termine per il tipo di persona che ero». Poi aggiunge: «Sono entrato in transizione semplicemente perché volevo essere felice. Sono felice di essere arrivato al punto in cui sono in grado di radermi. Sono un uomo e ne sono davvero felice. Non è solo la mia transizione: è la transizione di tutti coloro che mi circondano». Infine, il messaggio sociale: «Sono profondamente consapevole di quanto io sia benedetto per il fatto di essere in grado di esistere in questo mondo, supportato dalla mia famiglia mentre troppo spesso molti dei miei fratelli e sorelle non sono così fortunati. Sono fiducioso», conclude il giovane Brown, «che questo spot incoraggerà molti dei miei fratelli trans e li riempirà con la consapevolezza che la nostra esistenza in questo mondo può essere riempita con l'amore e il sostegno che meritiamo».Intendiamoci: questa campagna pubblicitaria non è offensiva, né mostra immagini sgradevoli. Anzi, è piuttosto delicata, specie quando mostra il viso del padre ammorbidito dall'amore e dalla commozione. Il punto, dunque, non è che un ragazzino transgender non abbia diritto di essere felice o di venire rispettato da tutti in quanto essere umano. Il punto è, ancora una volta, la propaganda di cui Gillette (come tante altre aziende transnazionali) porta avanti. Questa campagna veicola l'idea che il cambio di sesso sia un percorso assolutamente normale, in grado di donare felicità a un sacco di giovani maschi e femmine, a patto che i genitori li supportino e li appoggino. La realtà, tuttavia, è molto diversa. Il recente scandalo esploso nel Regno Unito, riguardante il centro per l'identità di genere della clinica pubblica Tavistock, ha mostrato che troppo spesso i ragazzini vengono indirizzati verso il cambio di sesso senza opportune verifiche. L'ideologia prevale sulla scienza, con il rischio che parecchi giovani affrontino un percorso doloroso da cui tornare indietro non è possibile. Non solo: non è affatto detto che la transizione di genere risolva i disturbi dell'identità mostrati dagli adolescenti, anzi è possibile che li aggravi. Inoltre, non si conoscono gli effetti a lungo e medio termine delle cure ormonali, così come non si conoscono quelli di farmaci come la triptorelina, un bloccante della pubertà da poco liberalizzato anche in Italia. Le associazioni Lgbt ovviamente hanno apprezzato tantissimo lo spot della Gillette, specie perché arriva a pochi giorni dai vari gay pride che si svolgeranno in tutto il pianeta. Spiegare agli adolescenti che cambiare sesso è una passeggiata ed è una via per la felicità, però, è mistificazione pura. Una bugia resa ancora più pericolosa dalla giovane età del pubblico a cui si rivolge. Qui non si tratta di diritti e di felicità, ma di lavaggio del cervello. Si tratta di una gigantesca multinazionale che vende un modello di essere umano modificabile, manipolabile e facilmente controllabile. Perché il meglio di un uomo, dice il vangelo neoliberisti, è essere uno schiavo.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






