2021-06-09
Lo scontro a Roma tra Fava e Ielo. «Arrestarlo? Non ci sono motivi»
Il trasferimento della società a Martina Franca non fu ritenuto un indizio dall’aggiuntoLa Procura di Potenza ieri ha eseguito una misura cautelare nei confronti dell’avvocato Piero Amara e l’ex procuratore di Taranto Carlo Capristo per il delitto corruzione in atti giudiziari commesso, si legge nell’ordinanza, «in permanenza fra Trani e Taranto dal gennaio 2015 al 23 luglio 2019» e quindi anche quando Amara aveva già vestito i panni del «collaboratore di giustizia» itinerante tra le Procure di Messina, Roma e Milano. Ricordiamo infatti che Amara viene arrestato, sempre per corruzione in atti giudiziari, il 6 febbraio 2018 e subito si offre di collaborare con la Procura di Roma ottenendo un vero e proprio «salvacondotto» che ha ben utilizzato, secondo la Procura di Potenza, per coltivare il rapporto corruttivo con Capristo. Eppure nei primi mesi del 2019 su Amara si era aperto un duro scontro perché l’ex pm Stefano Fava aveva insistentemente chiesto al procuratore Giuseppe Pignatone e agli aggiunti Rodolfo Sabelli e Paolo Ielo di sottoporre nuovamente Amara a custodia cautelare e di sequestrare il suo ingente patrimonio visto che il legale siciliano continuava a delinquere e sarebbe stato reticente nella sua «collaborazione». Fava, già in una mail del 31 gennaio 2019, evidenziava «i rapporti di Amara con Capristo attuale procuratore della repubblica di Taranto» e indicava tra gli elementi di pericolosità di Amara anche il trasferimento delle sedi legali delle sue società a Martina Franca, nel circondario del Tribunale di Taranto. Un tema che è stato ripreso due anni dopo dal gip di Potenza che, per sottolineare il «livello osmotico» del rapporto tra Amara e Capristo, ha citato il fatto che lo stesso «Amara avesse spostato a seguito della nomina di Capristo a Taranto la sede legale delle sue società da Roma alla provincia di Taranto». Sennonché il procuratore aggiunto Ielo in una mail sempre del 31 gennaio 2019 sostiene che Amara non vada arrestato in quel momento per tre ordini di motivi: «La prima che ciò che avevamo chiesto ad Amara […] erano tutte le corruzioni giudiziarie onde evitare ulteriori richieste cautelari. Chiedere adesso la misura per P&G (una società di Amara fallita, ndr) significa uscire dal perimetro dell’accordo originario. E tutto questo a prescindere dal tema dell’attualità delle ragioni cautelari. La seconda è che Amara ha manifestato l’intenzione di patteggiare anche per questa bancarotta. La terza è che abbiamo firmato una richiesta di patteggiamento che riconosce l’attenuante della collaborazione». Con la chicca finale: «Sulla vicenda Capristo sta lavorando Messina e non mi sembrano spendibili tali argomenti in una richiesta di custodia cautelare». Dunque Amara con la sua collaborazione, ritenuta farlocca da Fava, sembrava avere ottenuto un salvacondotto che valeva per sé e per il proprio patrimonio a prescindere dalla scoperta di nuove presunte condotte delittuose. Appare ancor più singolare notare che in quello stesso procedimento era indagato anche il commissario dell’Ilva di Taranto (società di cui Amara era consulente) Enrico Laghi e che anche per Laghi Fava aveva richiesto, senza fortuna, la misura cautelare. Scrive infatti Sabelli il 13 febbraio 2019: «Come ti abbiamo già rappresentato insieme con Paolo Ielo non riteniamo di poter apporre l’assenso alla richiesta». Nei giorni successivi Pignatone, facendo proprie le valutazioni di Sabelli e Ielo, avrebbe tolto il fascicolo a Fava, autore delle contestate istanze contro Laghi e Amara, e Fava avrebbe presentato un esposto al Csm.