2020-12-08
Lo sciopero spinge gli statali nella trappola
Domani i dipendenti pubblici incroceranno le braccia per chiedere un aumento. Così i sindacati danneggiano i loro iscritti: quando il prossimo anno il governo, per ridurre il debito, taglierà extra e tredicesime nella Pa, nessuno sarà disposto a difenderli.Domani una fetta di dipendenti della pubblica amministrazione farà sciopero. Niente picchetti in piazza, chi si asterrà rimarrà in casa a non fare smart working. I sindacati hanno infatti risposto picche alla lettera con cui il ministro della Pa, Fabiana Dadone, offriva un extra di 20 euro e la possibilità di utilizzare i risparmi del telelavoro nella contrattazione di secondo livello. La Cgil ha risposto picche. Lamentando di non essere mai stata convocata in un anno di governo e dicendo che comunque resterebbero aperti tutti i temi della vertenza. In sintesi, il precariato, la progressività delle buste paghe in molti casi ferme da anni, i nuovi ingressi, il turnover.La contro risposta del ministro è stata: fissare un tavolo. Ma dopo lo sciopero. A questo punto è bene porsi una serie di questioni e domande. E sarebbe bene che a porsi gli interrogativi siano anche coloro che domani decideranno di incrociare le braccia. È legittimo trattare il tema del rinnovo dei contratti nazionali. Siamo in democrazia e ciò è fuori da ogni dubbio. Ma farlo in un momento in cui migliaia di partite Iva e di dipendenti privati perdono il posto significa avviare un conflitto sociale che il Paese non sarà in alcun modo in grado di gestire e comprendere. Un conto, infatti, è reclamare ciò che da fuori appare solo come un aumento di stipendio. Un altro avviare una trattativa di lungo periodo mirata a definire i grandi temi del lavoro nel nuovo millennio. Dalla sicurezza in ufficio, fino alle nuove norme per chi opera dal proprio pc a casa e finalmente alla produttività. Un tabù che i sindacati da decenni non vogliono affrontare. Eppure il mondo è drasticamente cambiato e spetterebbe innanzitutto ai lavoratori affrontare una volta per tutte il tema e trovare una soluzione al gap che divide la Pa dal comparto privato. È questo il tema che andrebbe discusso in questo momento. Approfittando proprio della pandemia per imporre un cambio di passo al governo e per guardare avanti. Invece la mossa suggerita soprattutto dalla Cgil sembra portare in una direzione opposta. Non a caso, le reazioni sono tutte mirate a contrapporre i privilegiati (i dipendenti pubblici) e i sommersi (i piccoli imprenditori e le partite Iva) travolti dal Covid e dalla cassaintegrazione. Aderire allo sciopero di domani significa finire con tutti e due i piedi dentro una trappola ideologica, che potrebbe in breve trasformarsi in una trappola concreta. Chi spinge la Pa a inimicarsi metà del Paese senza ottenere alcuna trattativa utile a crescere, deve sapere la strada che sta imboccando. Non porterà da nessuna parte scioperare per garantire un vecchio corporativismo che blocca la crescita del Pil e non si adegua al passo di chi deve fatturare per pagare gli stipendi. Perché dopo la pandemia nel 2021 o al massimo nel 2022 arriverà il tempo di fare i conti con il debito. L'anno in corso rischia di chiudersi con meno di 450 miliardi di gettito e una spesa corrente più che doppia. Rispetto al 2019 le entrate dello Stato sono scese più o meno del 25%, mentre le uscite sono salite di oltre il 20%. È chiaro che a lungo andare il debito italiano, sebbene sostenuto dalla Bce e, forse, dai nuovi progetti legati al Recovery fund, prima o poi avrà bisogno di un bagno di realtà. Si cercherà prima il modo di riportare la stanghetta del gettito in sù. Ma non sarà facile. Le imposte sul reddito e sul lavoro sono già oltre il limite della sopportabilità. Un punto base in più e si causano chiusure o più elusione ed evasione. Le tasse sul patrimonio potranno essere alzate. Ma se lo Stato vorrà seguire gli emendamenti di Leu dovrà tenere conto della proporzionalità. Se l'aliquota sarà troppo alta svaluterà del tutto il mattone e creerà povertà. Chi invece ha grandi riserve di liquidità troverà il modo di scappare. Ne segue che la patrimoniale arriverà ma non sarà risolutiva rispetto al tema delle entrate. Resterà così da percorrere l'altra strada: quella del taglio della spesa. E allora i dipendenti pubblici capiranno di essere finiti in trappola o, se si preferisce il termine, in un cul de sac. Le forbici passeranno nelle loro buste paga. Si comincerà dalle erogazioni extra per prendere in considerazione una limata alle tredicesime. Non siamo in grado di escludere che a finire sforbiciate saranno le quattordicesime dei pensionati e forse anche parte delle tredicesime. Un modo semplice per fare cassa e che non produrrà nella metà degli italiani più colpiti dal Covid alcuna protesta. Anzi. In tanti saranno felici di vedere «puniti» i dipendenti della Pa che hanno «approfittato» del lockdown. Eppure gioire sarà un errore. Non perché vogliamo difendere i dipendenti pubblici, ma perché alla fine finiranno vittime della cecità dei sindacati. Il taglio orizzontale delle buste paga, inoltre, non porterà alcun vantaggio all'Italia. Avremo ancora un numero spropositato di personale senza aver portato a casa una riforma e tanto meno alzato la produttività. Nessuna logica premiale avrà fatto breccia nel sistema pubblico. Anzi una volta abbattutasi la falce della Troika non ci sarà alcun miglioramento. Alla fine meno soldi in tasca, meno consumi interni. Pil a dieta e tutti più poveri. Il sindacato che spinge domani allo sciopero dovrà prendersi prima o poi qualche responsabilità.