2022-09-30
L’isteria sul fascismo affossa il Made in Italy
Enrico Letta (Getty images)
La propaganda, anche dei media stranieri, contro il prossimo governo si ripercuote sulle nostre eccellenze. Il pregiudizio politico degli acquirenti americani ed europei ha già fatto perdere oltre 2 miliardi al vino italiano. E l’export agroalimentare si è bloccato.Il messaggio arriva sulla chat di WahtsApp di noi amici di merenda e di bicchiere: «Primo giorno della nuova era fascista qui in America. Sta nascendo un sentimento verso l’Italia ultranegativo. Dove sono andato mi chiedono come sia possibile che l’Italia sia di nuovo fascista. Questa cosa ha implicazioni devastanti». Chi scrive sta a Los Angeles e deve vendere vino, vino che là non si paga meno di 180 dollari alla bottiglia, nonostante l’euro anemico. Il fatto è che per lui l’America rappresenta il 45% del mercato. Non si fa a tempo a metabolizzare l’sos di Marco, che arriva quello di Simone: «Provo a vendere qui in Francia a una boutique del gusto di Parigi il mio prosciutto, ma mi dicono che temono che ora la loro clientela, tutta gente altolocata, non voglia la merce di un Paese fascista. E pensare che ho sudato le sette camicie per farmi il mercato in Francia. La vedo nera». Passa qualche ora e scrive Carlo: «Qui in Germania mi guardano storto, sono convinti che siamo diventati tutto fascisti. Dovevo rinnovare un contratto con un importatore per il mio Prosecco, ma ha disdetto l’appuntamento. C’è un brutto clima». Sono le prime avvisaglie di un clima mutato. È tornato negli intellò italiani ma anche nella nostra stampa del milieu sinistro a tentazione del tanto peggio tanto meglio. La rappresentazione dell’Italia che la stampa estera ha fatto subito prima, ma soprattutto subito dopo i risultati elettorali sta diventando un danno economico di proporzioni consistenti. E viene da chiedersi perché la Farnesina non abbia reagito. Sicuramente il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, rimasto fuori dal Parlamento ma in carica per gli affari correnti, non si è posto il problema. E pensare che con il suo sodale Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri con delega al Made in Italy che ha seguito il ministro anche nella sua sfortunata avventura di fondare un nuovo partito, avevano fatto di tutto per mettere sotto il controllo della Farnesina l’Ice. Di fronte alla premier francese Elisabeth Borne, che si permette di dire che deve vigilare sul rispetto dei diritti umani in Italia, i due hanno taciuto. Così come si è taciuto davanti ad Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, che ha detto: «Se in Italia le cose vanno in una direzione difficile - ho già parlato di Polonia e Ungheria - abbiamo gli strumenti». Questa dichiarazione è stata fatta prima del voto, oltretutto a Princeton. Il segretario del Pd, si era ancora in campagna elettorale, Enrico Letta, invece di difendere l’Italia si affrettò a dire: «Penso che sicuramente chiarirà, perché una frase detta così è carica di malintesi. Von der Leyen viene dallo stesso partito del quale fanno parte Berlusconi e Tajani, non è che stiamo parlando di una pericolosa comunista. Stiamo parlando della leader del Partito popolare europeo, stiamo parlando di una persona assolutamente equilibrata e che non ha nulla di pregiudiziale verso quella parte lì». Come dire che non si è avvertito il pericolo e poi, diciamocelo, un po’ di tanto meglio tanto peggio non fa mai male se si deve stare all’opposizione. Del resto Enrico Letta è stato il primo a tuonare contro la Meloni «pericolo fascista e per la democrazia». Anche dal Quirinale non è uscito un fiato. Il coro dei nostri indignati è risuonato alto: da Antonio Scurati ai Maneskin, tanto per andare dalle stampe alle stelle. La stampa internazionale si è molto dilettata al racconto di un Italia rifascistizzata. Il New York Times: «La leader di Fratelli d’Italia si avvia a essere la prima ministra italiana più di destra dai tempi di Mussolini». A seguire El Pais: «La coalizione conservatrice guidata dagli eredi del postfascismo di Fratelli d’Italia ha stravinto le elezioni». E ancora la Bbc: «Meloni formerà il governo italiano e la sua vittoria provocherà grande allarme in Europa». Per Der Spiegel: «L’erede di Mussolini governa, il simbolo di Fratelli d’Italia presenta una fiamma che ricorda il dittatore fascista Benito Mussolini». Non è difficile rintracciare in questi titoli la vulgata della campagna elettorale portata avanti in Italia dal centrosinistra. Ma pensare che non abbia lasciato traccia è da ingenui, oppure vuol dire essere in malafede. E così oggi i nostri imprenditori si trovano a combattere oltre che con i prezzi, con il crollo dei consumi anche con il pregiudizio politico. Il settore che è più sensibile di tutti ai primi cambiamenti d’umore è senza dubbio l’agroalimentare. E allora andiamo a vedere un po’ di numeri. Sugli scaffali di Usa, Germania, Gran Bretagna e Francia il vino italiano (l’export complessivo vale più di 7 miliardi) ha fatto meno 10, 6% in valore e meno 8,2% in volume: abbiamo perso oltre due miliardi e nelle ultima settimana il mercato d’esportazione è azzerato. L’ortofrutta che rifornisce soprattutto i mercati del fresco dunque è sensibilissima ai cambiamenti di orientamento di consumo, ad horas ha fatto meno 80% perdendo per strada mezzo miliardo. L’export agroalimentare che era partito a razzo nei primi sei mesi, tant’è che si pensava di sfondare il tetto dei 60 miliardi, si è bloccato nell’ultima settimana. Si stanno chiudendo anche i mercati dell’estremo oriente. La Cina importa di meno per ragioni economiche, ma si segnalano sostituzioni di nostri prodotti con quelli che arrivano dalla Russia, un mercato che per il made in Italy si è bloccato dopo le sanzioni. Una perdita che per alcuni comparti dell’artigianato e dell’agroalimentare ha segnato due miliardi di mancato fatturato. Fortuna che Giorgia Meloni ha in animo di creare il ministero del Made in Italy.