Surreale audizione in commissione Covid dell’epidemiologo Patrizio Pezzotti: «Dopo la prima zona rossa presi Xanax per giorni. La scienza non aveva risposte bensì opinioni».«Ora cerchiamo delle colpe, ma allora ci siamo mossi in una fase di incertezza molto elevata: la scienza non aveva risposte ma opinioni». Nulla di nuovo per i lettori della Verità, ma colpisce che a dirlo sia Patrizio Pezzotti, direttore del reparto di Epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità, durante l’audizione di ieri alla commissione Covid. Tra tutte le giravolte cui abbiamo assistito, a partire dall’utilità delle mascherine fino ad arrivare alla sicurezza dei vaccini (vedi alla voce Astrazeneca), ce ne eravamo già accorti. E infatti ciò che si contesta - oggi come allora - non sono gli errori commessi in quella che, oggettivamente, era una situazione inedita, bensì le sicurezze che venivano (e tuttora vengono) ostentate dietro a certe misure. Per comune accordo tra i commissari, esplicitato dal presidente Marco Lisei (Fdi), la seduta di ieri ha toccato soltanto le prime fasi della pandemia, rimandando a una successiva convocazione le questioni riguardanti, per esempio, le scelte prese in campo vaccinale. Oltre al già citato direttore, hanno partecipato ai lavori il presidente dell’ente, Rocco Bellantone, il quale tuttavia è intervenuto brevemente soltanto all’inizio (non ricopriva quel ruolo ai tempi della pandemia), e Teresa Palamara, direttore del Dipartimento malattie infettive. Lo stesso Pezzotti, il quale ha autorevolmente confermato che la comunità scientifica presenta una pluralità di opinioni e non si esprime come un monolite, ha rammentato i momenti in cui venivano istituite le prime quarantene. «L’idea di fare l’iniziale zona rossa solo a Codogno e dintorni la ricordo con estrema preoccupazione», racconta. «Sono stato io a dover fare il “circoletto”» sulla mappa. «I casi erano principalmente localizzati lì. Io ho preso Xanax per vari giorni, ci muovevamo in un quadro molto difficile, non avevamo tanti dati. Poi le decisioni sono state giuste, ma non erano facili da prendere». Sulle decisioni giuste non serve commentare: è sufficiente menzionare quanto accaduto a Bergamo e la battaglia che ancora oggi sta conducendo l’associazione Familiari delle vittime Covid-19 per ottenere giustizia. Il fatto, invece, che chi era deputato a indicare la via assumesse psicofarmaci rende abbastanza evidente quanta falsa sicumera vi sia dietro la formula, spesso invocata per zittire il dibattito, del «lo dice la scienza».«Naturalmente ci siamo posti la domanda se valesse la pena fare il lockdown oppure se fosse sufficiente limitarlo alla Lombardia e al Veneto», ha anche spiegato Pezzotti, nel corso dell’audizione, in merito alle chiusure generalizzate. «Nella gran parte delle Regioni», continua, «l’indice di trasmissibilità era intorno a tre: con il lockdown in due settimane si è scesi sotto l’uno, il numero chiave per contenere un’epidemia. La differenza che vedevamo in quel momento in Lombardia e Veneto era la diffusione di base dei contagi. Se non avessimo chiuso, quella diffusione che al Nord era già così elevata in breve tempo avrebbe raggiunto il Centro-Sud». Su questo tema ha opposto alcune obiezioni Claudio Borghi, noto esponente leghista, senza tuttavia ricevere risposte. Il senatore del Carroccio ha osservato come le curve dei contagi abbiano avuto andamenti identici in diversi Paesi, a prescindere dalle misure restrittive implementate. Ecco perché, in una delle sue domande, Borghi ha chiesto a Pezzotti come potesse essere così «apodittico» sulla questione. Il direttore, però, si è mostrato offeso dall’aggettivo (che di per sé non pare offensivo) e si è rifiutato di rispondere, rifugiandosi nell’auctoritas dello studio scientifico pubblicato sulla rivista Emerging infectious diseases.Un’altra questione sollecitata dai commissari riguarda la differenza tra i morti «per Covid» e morti «con il Covid». «Nel periodo di marzo (si parla sempre del 2020, ndr) è stato creato all’Iss un gruppo di lavoro che richiedeva a tutti gli ospedali le cartelle cliniche per un esame dettagliato e una classificazione “per” o “con” Covid, in cui si riportava questo valore intorno al 90% (valore riferito all’accuratezza dei dati generali, ndr). Essendo una patologia come tutti i virus respiratori, il meccanismo della fragilità è comunque presente e comporta un aumento del rischio di morte. La distinzione “per” o “con” diventa non del tutto appropriata, sembra un po’ una discussione inutile». Ma come può essere inutile capire se l’elemento determinante dei numerosi decessi sia stato il Covid o qualcosa d’altro? Che l’extramortalità ci sia stata è un fatto. Basta consultare i dati Istat per vedere che, rispetto alla media degli anni 2015-2019 (645.620 decessi all’anno), nel 2020 sono morte circa 100.000 persone in più, nel 2021 circa 63.000, nel 2022 circa 68.000 (nell’anno del salvifico green pass). È certamente possibile che tutti questi decessi in più siano da imputare unicamente al virus, tuttavia esso non rappresenta l’unica novità di quegli anni: anche rinchiudere in casa 60 milioni di persone, privandole dello sport e della socialità, ha costituito un fatto inedito. Non si può, pertanto, classificare come «inutile» una domanda fondamentale (benché non esaustiva) per tracciare un bilancio dei rischi e dei benefici delle drastiche misure restrittive. Nessuno, d’altra parte, contesta la prudenza iniziale. Il leitmotiv degli anni pandemici, in un certo senso, è stato fare il contrario di quanto diceva Matteo Salvini. Di fronte all’ignoto rappresentato inizialmente dal virus, fu proprio la Lega a invocare subito le chiusure, mentre il Partito democratico lanciava la campagna «abbraccia un cinese». Il lockdown generalizzato è stato imposto successivamente, quando la situazione era ormai sfuggita di mano. E, inizialmente, nessuno protestò nemmeno per questo. Le reazioni contro le chiusure (e le imposizioni) indiscriminate arrivarono dopo, quando, grazie alle informazioni sempre più disponibili, era divenuto chiaro chi fossero le vittime del Covid. E lo certifica una tabella mostrata dalla professoressa Palamara, che ella stessa dice essere stata costantemente aggiornata in tutti i bollettini dell’epoca: il tasso di letalità, fino ai cinquant’anni, era praticamente zero. E questa non dovrebbe essere un’opinione.
iStock
Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci
2025-09-15
Dimmi La Verità | Fabio Amendolara: «La bambina di 12 anni violentata da figli di immigrati»
Ecco #DimmiLaVerità del 15 settembre 2025. Il nostro Fabio Amendolara ci racconta la terribile storia della bambina di 12 anni violentata da un coetaneo e da un maggiorenne. Tutti i protagonisti sono immigrati di seconda generazione.