2023-09-13
Liquidato l’ultimo lacchè di Speranza
Silvio Brusaferro prese ordini dal ministro su chiusure, scuole, nonché ospitate nei talk. E mentì sul piano pandemico. L’unico errore del governo è non averlo cacciato prima.È stato un Brusaferro o un Brusapiuma? Diciamo che il presidente uscente dell’Istituto superiore di sanità era uno forte con i deboli e debole con i forti. Ha spalleggiato ogni misura inutile e persecutoria: il super lockdown, il super green pass, il vaccino obbligatorio. Ha umiliato i suoi ricercatori per un articolo sugli effetti avversi dei vaccini. Ma quando, nei mesi bui della pandemia, era Roberto Speranza a chiamarlo a rapporto, il professore di Igiene scattava sull’attenti. Prendeva ordini persino sulle comparsate in tv: «La Annunziata mi chiede di andare in trasmissione. Ci devo andare?». «Dobbiamo chiudere le scuole», gli intimava Speranza. Fosse stato Garibaldi, Silvio Brusaferro avrebbe telegrammato: «Obbedisco». Dopo l’intervista su Rai 3, il ministro delle chiusure si compiacque: «Linea sacrificio necessario sulle scuole ottima». Bravo Brusamolle. È il desolante spaccato emerso dalle carte dell’inchiesta della Procura di Bergamo. Il tribunale dei ministri di Brescia ha poi archiviato le accuse principali, indirizzate anche all’allora capo dell’Iss (epidemia e omicidio colposi), tenendo in piedi solo il filone sul rifiuto di atti d’ufficio, legato alla mancata applicazione del piano pandemico del 2006. Del quale Brusaferro, ai magistrati, aveva giurato di non sapere nulla: «Non c’è stata un’informativa specifica» sulla sua esistenza. «Nessuno me lo ha mai comunicato». «Nessuno lo ha mai portato alla mia attenzione». Brusagnorri. Se n’era parlato eccome: a febbraio 2020, un dirigente del dicastero, Francesco Maraglino, ne aveva inoltrata una copia ai componenti del Comitato tecnico scientifico. Il 29 gennaio 2020, alla riunione della task force, lo aveva citato anche Giuseppe Ippolito dello Spallanzani. Brusaballe.Che lo scendiletto di Speranza non fosse un’aquila, al ministero se n’erano resi conto. Il sottosegretario dem, Sandra Zampa, in una chat col capo di gabinetto del suo titolare, si era detta «perplessa nel giudizio sull’Istituto superiore di sanità. Come si fa a passare da “abbiamo tutto sotto controllo” a “qui tra 15 giorni esplode tutto”?». Conclusione amara: «I tecnici non erano all’altezza». Sparavano verdetti a caso, oppure dietro pressioni politiche. Come nel caso della prima serrata nazionale. «Non ci sono evidenze scientifiche che io sappia su misure di questo tipo», confessò Brusaferro a Speranza. Costui, però, incalzava. A un certo punto, per convincere gli italiani che dovevano restare ai domiciliari, intimò allo scienziato di «non dare troppe aspettative positive». Nel 2021, il supertecnico avrebbe avuto addirittura la sfacciataggine di rivendicare: «Siamo stati il primo Paese occidentale in lockdown». Il pioniere del modello cinese. Brusafello. E le mascherine? Il 22 aprile 2020, messaggiando con l’inquilino di lungotevere Ripa, l’igienista ammetteva che mancavano «evidenze forti» a sostegno della loro utilità. Quattro giorni dopo, un dpcm di Giuseppe Conte le avrebbe imposte anche all’aperto. Non c’è che dire: da esperto sapeva farsi valere. Quel che si definisce un uomo col pelo sullo stomaco. Brusavello.In un certo senso, il luminare l’ha avuto, il pugno duro. Con i dipendenti. Tipo le immunologhe Loredana Frasca e Raffaella Palazzo, che insieme a Giuseppe Ocone, sulla rivista Pathogens, lo scorso febbraio avevano pubblicato un paper, sostenendo che andasse rivista la valutazione del rapporto rischi-benefici dei booster a mRna. Manco il tempo di darne conto sulla Verità, che l’Iss si era già dissociato dallo studio, biasimando l’analisi «lacunosa e parziale». Seguì procedimento disciplinare nei confronti delle ricercatrici. Brusabavaglio. Un’abitudine ereditata dal caso Zambon, quando il supertecnico si era premurato di avvisare Speranza che era uscito il famoso report dell’Oms, quello che inchiodava il modo «improvvisato, caotico e creativo» di affrontare l’emergenza Covid da parte dei giallorossi. «Noi non abbiamo dato i dati a loro», si era preoccupato di specificare Brusaferro, imbarazzato. La magistratura, a un certo punto, gli aveva rinfacciato una presunta cresta sui tamponi ordinati dall’Iss: pagati 750 euro, quando il prezzo di mercato era tre euro. L’organismo negò subito: mai chiesti quei soldi, mai ricevuti quei finanziamenti. Tuttavia, l’amministrazione, con lui al vertice, non s’era ispirata a principi di parsimonia. Parola della Corte dei conti, la quale, riguardo la gestione finanziaria del 2021, ha contestato circa mezzo milione destinato ai compensi di presidente, cda e altre cariche dell’Istituto: «Scarsa chiarezza e approssimazione», lamentavano le toghe. Era il premio per il pasticcio combinato con ospedali e tracciamento? Nel 2020, a Brusaferro fu comunicato che il ministero aveva conteggi sbagliati sulla disponibilità di posti letto e che «l’Italia è il Paese con la più bassa capacità di “detection”: avete trovato solo il 10% dei casi reali». E lui che fece? Si affrettò a rimediare? Macché. Ricevette l’ordine di «non riferire al premier che vi erano dei ritardi nella ricezione dei dati sul contagio». Prostrazione integrale. Brusaterra. «Sono stati anni storici e straordinari», s’è autocelebrato il prof, congedandosi dall’Iss, dove l’aveva messo nel 2019 Giulia Grillo. Sarà. A dire il vero, ce n’era abbastanza per cacciarlo all’indomani dell’insediamento di Giorgia Meloni. Invece, la destra fascista dell’esecutivo pigliatutto l’ha tenuto fino a fine mandato. Anzi, gli ha concesso pure un periodo «in prorogatio». Brusaeterno. O quasi. Come spesso accade, è stato il tempo a sistemare le cose.
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Ll’Assemblea nazionale francese (Ansa)