2021-06-14
«Questo Pd non trova nuovi consensi»
Il politologo Roberto D'Alimonte: «Sta cercando di consolidare i voti, ma mancano idee e dirigenti innovativi. Negli ultimi anni ha avuto ruoli superiori ai meriti. Forza Italia - Lega? Un progetto difficile, con idee e leadership vecchie».Il professor Roberto D'Alimonte, politologo, esperto di sistemi elettorali, insegna nel dipartimento di scienze politiche della Luiss. Da giorni, c'è un piccolo diluvio di esercitazioni sondaggistiche sull'ipotesi di federazione Forza Italia-Lega. Non le pare metodologicamente avventuroso sondare una prospettiva che ancora non si sa se, come e quando si realizzerà? Non vede in alcuni troppa fretta di bocciare (o per altri di spingere) un'ipotesi? Insomma, più spin politico che analisi demoscopica…«Sono d'accordo. I dati che la danno al 30% sono inattendibili. La federazione è un prodotto difficile da vendere. Tanto più difficile in un caso del genere dove al momento non si vede alcuna novità dietro al progetto, né in termini di idee né di leadership. Secondo me, uno degli scopi della federazione non è tanto quello di incrementare il voto dei due partiti ma quello di creare un polo dentro la coalizione di centro-destra che possa rivendicare la guida della coalizione oggi e la presidenza del consiglio domani nel caso di vittoria alle prossime elezioni. Serve a superare il principio che il partito con più voti possa esprimere il presidente del Consiglio». Federazione a parte, lei suggerirebbe una maggiore differenziazione dell'offerta politica tra Lega e Fdi? Al di là dell'appoggio o no al governo, alcuni sostengono che ci sia una eccessiva sovrapposizione tra le due proposte.«Assolutamente sì. Il polo Fi-Lega dovrebbe essere il polo più europeista - o forse meno euroscettico - nella coalizione. Rappresenterebbe un passo ulteriore della Lega verso una piena legittimazione nei confronti dell'Europa. Dico passo ulteriore dopo l'ingresso nel governo Draghi. Insomma, Matteo Salvini deve decidere che cosa deve essere la Lega. Dopo aver trasformato la Lega Nord in Lega nazionale deve decidere se farne la nuova Forza Italia e quindi occupare lo spazio che era di Silvio Berlusconi. “è uno spazio disponibile visto il declino di Forza Italia e la debolezza di Italia viva, Azione e delle altre formazioni che gravitano lì».Si potrebbe immaginare una dinamica simile a ciò che Berlusconi seppe creare nel 1994? Al Nord un allineamento tra Fi e Lega, e un legame saldo con il mondo produttivo, a Sud l'allora An più forte sotto Roma e più presente anche nell'elettorato del pubblico impiego…«Anche su questa analisi sono d'accordo. Lega e Fdi hanno baricentri elettorali diversi, anche se rispetto al 1994 oggi la Lega di Salvini ha una base elettorale al Sud che la Lega di Bossi non aveva. Ma resta il fatto che la forza della Lega è al Nord, nel mondo della piccola e media impresa e nel settore del lavoro autonomo. Questo ha conseguenze elettorali precise. Nel 1994 Berlusconi per mettere insieme Lega Nord e An creò due poli, il Polo delle libertà cioè il Polo Nord, e il Polo del buongoverno cioè il Polo Sud. Non sarà così nelle elezioni del 2023. Se non cambierà la legge elettorale la coalizione di centro-destra sarà una sola. Questo vuol dire che nella spartizione dei collegi uninominali Lega e Forza Italia avranno più candidati comuni al Nord e Fdi al Sud. E la spartizione non sarà indolore».La domanda precedente alludeva all'opportunità di ancorare a segmenti sociali le scelte politiche. Non le pare che invece troppi osservatori usino categorie eccessivamente di palazzo? Ad esempio, si parla molto di «moderati» e «centristi»: non ha la sensazione che queste categorie valgano più che altro per i peones? «Quello che lei chiama l'ancoraggio delle scelte politiche a determinati segmenti sociali esiste ancora. Come ho detto, al Nord questo è chiaro nel caso della Lega. Ma le ancore devono fare i conti da una parte con le variazioni territoriali del voto, Nord-Sud per intenderci, dall'altro con il fatto che ci sono temi identitari che hanno destrutturato gli allineamenti partitici tradizionali basati sulle categorie economiche. L'immigrazione è uno di questi». Dal punto di vista di Berlusconi, può trattarsi di una legacy assai dignitosa e nobile? L'uomo che ha creato il centrodestra nel 1994 che contribuisce a rifondarlo nel 2021.«Non credo. Secondo me Berlusconi non è interessato alla sua legacy. È sempre stato interessato al presente. Se fosse stato interessato a garantire un futuro a Forza Italia avrebbe fatto altre scelte in merito alla organizzazione del partito e alla selezione di una leadership alternativa alla sua. La federazione, che tra l'altro mi pare incontri forti resistenze, gli serve per valorizzare al meglio hic et nunc il modesto pacchetto di voti che gli rimane». Dia un consiglio anche a Giorgia Meloni. Qual è il confine tra far tesoro benissimo del suo posizionamento e il rischio di marginalizzarsi, sia pure con numeri altissimi? Oppure il rischio non esiste? «Tutto dipende dal sistema elettorale. Se resta il Rosatellum la Meloni non corre rischi di marginalizzazione. Le coalizioni si faranno prima del voto e per essere competitivo il centro-destra ha assoluto bisogno di Fdi. Il rischio che corre la Meloni è quello, già accennato, di non diventare presidente del Consiglio. Non bastano i voti, occorrono anche inattaccabili credenziali europee. E quindi anche per la Meloni si pone il problema di cosa Fdi vuole essere. Se invece torna il proporzionale, il rischio di marginalizzazione c'è». Come spiega il fatto che una coalizione così avanti nei sondaggi nazionali abbia avuto tante difficoltà a pescare i candidati per le comunali? «Le difficoltà sono soprattutto relative alle grandi città. In questi contesti urbani, e con il sistema elettorale in vigore, per vincere non solo devi mettere insieme una coalizione competitiva ma devi anche avere candidati che siano figure largamente conosciute. Questa è una fase in cui i partiti di centro-destra fanno fatica a trovare candidati di questo tipo».Spostiamoci sui grillini. Non le pare che parlino troppo delle loro questioni interne? «Certamente non interessano organigrammi e statuti o i rapporti con Casaleggio. Però gli italiani sono curiosi di vedere cosa sarà il nuovo Movimento e da questo punto di vista il ruolo di Giuseppe Conte e la questione del doppio mandato destano interesse. Quanto diverso sarà dall'originale? Quale sarà il ruolo di Beppe Grillo rispetto a Conte e Luigi Di Maio?».Conte fuori da Palazzo Chigi ha ancora forza attrattiva? «Se diamo credito ai sondaggi, Conte conserva ancora un discreto livello di gradimento. Ma è un dato che andrà a scemare se non sarà capace di rifondare il Movimento e di fermare l'emorragia di voti».In ogni caso pare difficile immaginare che Di Maio gli stenda tappeti rossi…«I due sono obbligati a collaborare per ora. Non credo che Di Maio ostacolerà apertamente Conte. Il Movimento sta attraversando una transizione molto delicata. Se Conte riuscirà a fare quello che dice di voler fare, e se quello che dice di voler fare raccoglierà consensi, il ruolo di Di Maio si appannerà. Se Conte fallirà, è quasi certo che Di Maio riprenderà le redini. Ma né all'uno né all'altro conviene ora una contrapposizione netta». La sfuriata social di Grillo sul caso di suo figlio che immagine ha trasmesso all'opinione pubblica? «Pessima. Anche se qualcuno ha cercato di giustificarlo in nome della famiglia. Il familismo amorale è un atteggiamento ancora diffuso nel nostro Paese». Andiamo a sinistra. Tra poco saranno trascorsi 3 mesi dall'arrivo di Enrico Letta alla segreteria del Pd. La sua agenda è tutta identitaria: ius soli, legge Zan, tassa di successione. I sondaggi non sembrano premiarlo…«Il Pd resta inchiodato intorno al 20%, punto più punto meno. In confronto a molti partiti di sinistra in giro per l'Europa, Germania e Francia tanto per fare un esempio, non è un dato catastrofico. In una situazione fluida e incerta come l'attuale Letta sembra propendere per una strategia di minimizzazione dei rischi e quindi mira a consolidare i voti che ci sono piuttosto che cercare nuovi consensi con una offerta politica innovativa. D'altronde, un'offerta politica innovativa non può prescindere da una leadership innovativa. E tutto si può dire di Letta ma non che sia un leader nuovo, capace di suscitare emozioni, di soddisfare quella voglia di cambiamento che ancora agita larghi strati dell'elettorato». Secondo lei il Pd non paga un peccato di fondo? Non vince un'elezione politica dal 2006, eppure governa ininterrottamente dal 2011 (tranne la parentesi del governo Lega-M5s). Non è marchiato a fuoco come puro partito di potere?«Per circostanze particolari il Pd si è trovato a giocare in questi anni un ruolo superiore ai suoi meriti elettorali. Tra queste circostanze ci sono anche molti episodi che hanno coinvolto i partiti di centro-destra: la perdita di credibilità di Berlusconi nel 2011, la defezione di Alfano nel 2013, la decisione di Salvini di mettere fine al governo Conte I nell'estate del 2019. Il Pd ne ha approfittato, qualche volta anche contro voglia. Né si deve dimenticare che il Pd di Bersani e quello di Renzi hanno chiesto di andare a votare in anticipo ma non hanno convinto né Napolitano né Mattarella».Non gli farebbe bene un po' di opposizione? «Non sta a me dire se gli farebbe bene o no. Stando al famoso aforisma andreottiano sul potere che logora chi con ce l'ha, dovrei dire di no. Ma non è questo il punto. Il Pd ha certamente bisogno di ridefinire la sua offerta politica. Ha bisogno di nuove idee e di una nuova classe dirigente».
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