2019-04-29
Pippo Franco: «La mia vita da Freud al Bagaglino»
Il comico in versione intimista: «Il mio scopo è sempre stato conoscere me stesso. La fede? Dio mi aiuta a liberarmi dell'orgoglio. Con le attrici non sono mai caduto in tentazione. La politica? Stimo la Raggi».Non ci sono bisogno di presentazioni. Lui è Pippo Franco. Per accontentare i lettori più esigenti possiamo aggiungere che compirà 79 anni a settembre e che il suo vero nome è Francesco Pippo. Ultimamente l'avevamo un po' perso di vista. Cosa sta facendo?«Non mi vedete perché mi riconosco poco in questa televisione rispetto a quella dei miei tempi. Il mio ultimo lavoro è stata la regia del Barbiere di Siviglia che ha debuttato a Viterbo con un buon risultato di critica e di pubblico, come si dice nel mio mestiere».Cose impegnate, ma lei non era un comico?«Non ho scelto io la carriera comica, è lei che ha scelto me. Da un punto di vista psicologico penso che un comico diventi tale per superare un senso di emarginazione che è in realtà una fortuna. Chi sa ironizzare su sé stesso, vale a dire sa vedersi dall'esterno, poi può arrivare ovunque».Lei le ha provate un po' tutte: è stato anche cantante, pittore…«Prima di diventare attore ho studiato al liceo artistico con grandi maestri e contemporaneamente suonavo in un gruppo musicale. Poi ho fatto il disegnatore di fumetti, poi il cantautore e infine l'attore. Una strada che mi ha portato a essere regista, sceneggiatore e a scrivere libri. Per me la vita è arte e tutto quello che facciamo è la messa in pratica di questa realtà».Mi tolga una curiosità: come l'è venuta in mente Mi scappa la pipì papà?«Mah, posso dirle che sono sempre stato me stesso e la mia pulsione artistica è quella di uscire dagli schemi, di non rimanere prigioniero della convenzione. Mi scappa la pipì, che ancora oggi conoscono tutti i bambini, mi è parsa un'idea fantastica da presentare a Sanremo ed è stato subito un successo. È nata così».Parlando di bambini, è vero che lei leggeva Sigmund Freud anziché il Corsaro nero? Neppure Massimo Recalcati ha osato tanto…«Vero. Ho letto Freud prima dei 15 anni e per me è stato un trauma. Un trauma benefico, voglio dire. La conoscenza di me stesso era già il principale scopo della mia vita e scoprire l'inconscio per me era un'opera d'arte che non potevo non vivere. Se poi pensiamo che Freud ha scoperto l'inconscio studiando il senso dell'umorismo, i conti vede che tornano perfettamente».Qual è l'attrice più bella con cui ha lavorato?«Ho lavorato con bellissime attrici tutte diverse fra loro ma nessuna mi è parsa più avvenente dell'altra. Tutte differentemente belle, tutte differentemente simpatiche e amabili. Professionalmente, si capisce».Un nome non lo fa? Detto tra noi: non è mai caduto in tentazione?«Ho visto sempre le belle donne con le quali lavoravo come professioniste. Voglio dire che non le ho mai considerate soltanto da un punto di vista esteriore, come le vedeva il pubblico, ma come persone, spesso inquiete e, in diversi momenti, sofferenti. Il mio compito è sempre stato quello di portare a termine i nostri film e i nostri spettacoli nel migliore dei modi e non ho mai dato importanza al fascino delle loro interpreti, ma piuttosto al loro lato umano».Ma almeno una volta avrà provato un desiderio. Oppure Pippo Franco è un robot?«L'unica attrice della quale mi sono perdutamente innamorato non lavorava con me ed è mia moglie Maria Piera, che mi ha dato due splendidi figli. Con lei, che interpretava ruoli nel teatro classico, ho vissuto una storia infinita, illuminata da un amore che continua a crescere ogni giorno».La prendiamo per buona. Tutti la ricordano per i film con Edwige Fenech e per Quel gran pezzo dell'Ubalda, ma lei ha lavorato anche con Billy Wilder…«Da Wilder, come da Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, ho imparato che i grandi registi hanno tutti la stessa caratteristica: vogliono sapere da te come intendi interpretare il personaggio. Tu ti aspetti che siano loro a suggerirlo, invece vogliono tirar fuori da te tutto quello che nemmeno tu sai di avere. Con Wilder girando Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? è andata così. Il personaggio del suo film gliel'ho dovuto descrivere io. Lui ha approvato la mia proposta e io ho scoperto un lato di me stesso che non conoscevo».Si ricorda la prima volta che ha ricevuto un applauso dal pubblico?«Non si dimentica mai, la prima volta sono stato applaudito come attore quando ho interpretato una commedia di Garinei e Giovannini che si intitolava Viola, violino e viola d'amore. Era una commedia di quattro personaggi interpretati da Enrico Maria Salerno, le sorelle Kessler e io».Che consiglio darebbe oggi a un giovane che voglia fare l'attore?«Di non lavorare mai soltanto per apparire ma di rispondere a due domande: chi sono e che cosa ho da dire. Quando sai chi sei e che cosa hai da dire non corri il pericolo di tradire te stesso e ti proponi al pubblico attraverso la verità di quello che hai nell'anima».Lei è arrivato alla soglia degli 80 anni. Come vive il tempo che fugge?«Mah vede, l'età non è anagrafica ma interiore e il tempo è una convenzione dell'uomo. Chi vive in un'altra dimensione come me, pensa che la realtà non è soltanto quella che i nostri sensi riescono a percepire, che il tempo dei satelliti è diverso dal nostro e che se un astronauta sta per 20 anni nello spazio, quando ritorna sulla Terra, suo figlio è più vecchio di lui. Il tempo non esiste. Vivere l'invecchiare significa stupirsi sempre di più di fronte alle meraviglie dell'universo ed essere nella vita più creativi di quando avevamo 20 anni». Lei non ha avuto un'infanzia facile…«Mio padre ha sposato mia madre, l'ha messa incinta (e menomale, altrimenti non avrei fatto questa intervista) ed è partito per la guerra. E dopo sei anni è tornato volando definitivamente in Cielo in pochi mesi. Io ho fatto le elementari in un collegio, le medie a Roma e ho trovato me stesso al liceo. È grazie alla mia infanzia difficile che sono arrivato a essere Pippo Franco. Ammesso che questo sia un valore. È paradossale ma è così».Lei era amico di Gabriella Ferri, di Lucio Battisti. Eravate ragazzi assieme, cosa ricorda?«Allora la nazione era poetica ed esprimeva la creatività con i suoi grandi artisti, il cinema e le gallerie d'arte. Con Gabriella, Lucio e tanti altri ho vissuto un'epoca eccezionale basata sull'originalità, la fantasia e l'evoluzione interiore. Oggi la vita è diventata virtuale e l'esistenza esteriore ha avuto la prevalenza sull'essere». Certo che non mi aspettavo tanta filosofia da Pippo Franco…«Cosa le dovrei dire? Oggi l'uomo nemmeno si accorge di essere diventato un numero, il suo codice fiscale, la pedina di un profitto dei mercati internazionali. Ma per fortuna gli artisti non sono estinti e, come i sognatori che hanno fatto la civiltà, salveranno il mondo. Lo dice la storia».Ma è vero che lei invecchiando è diventato credente?«Sono sempre stato credente da quando mia madre mi ha insegnato la preghiera dell'angelo custode. La crescita interiore consiste nel conoscersi sempre meglio e questo avviene attraverso la continua destrutturazione dell'orgoglio. Se hai successo non ti devi identificare con il fatto che tutti ti conoscono. A Dio interessa zero se tu nella vita hai avuto successo o meno». Scusi l'ignoranza. Cosa significa?«Che man mano che crescevo ho cominciato a capire che io ero nato per l'infinito e la visione cristica dell'esistenza ha guidato e guida il mio cammino, in una consapevolezza sempre crescente».Va bene così. Parliamo di politica, cosa pensa di quello che sta combinando questo governo?«Se ricordiamo gli insulti che si sono lanciati Matteo Salvini e Luigi Di Maio prima delle elezioni, ci rendiamo conto che l'angelo e il diavolo hanno firmato un contratto di governo ignorando tutto quello che si sono detti. C'è da stabilire chi è l'angelo e chi è il diavolo ma la cosa certa è che questo governo ci fa pensare che da un giorno all'altro possa saltare, e invece è sempre lì. Ma è la politica che è così. Somigliano sempre di più agli acrobati di un circo che volteggiano a velocità incredibile e che smentiscono quello che hanno detto prima ancora di dirlo». Non vede un futuro luminoso?«Sono scettico, ma speriamo che non sia così e che, in quest'era di cambiamenti epocali, tutto finalmente incominci a muoversi nel verso giusto».Speriamo. E di Virginia Raggi e di Roma cosa ne dice?«La Raggi è eroica. Come ha fatto a resistere con tutti quei collaboratori nei guai con la giustizia? Come ha fatto a far tornare i conti con i 12 miliardi di deficit che le hanno lasciato in eredità? Come ha fatto a reggere a tutte le maledizioni di ogni automobilista che incappa in una delle buche di Roma? Per non parlare della monnezza, dei topi, degli alberi che cascano sulle macchine, degli allagamenti e degli autobus che vanno in fiamme».Quindi le piace la sindaca?«Beh, chiunque al suo posto sarebbe scappata ma lei è rimasta lì. Indiscutibilmente ha un grande carattere».Ma cos'è che Pippo Franco proprio non sopporta?«Non sopporto la stupidità degli altri. Preferisco la mia».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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