2019-08-12
Paolo Romani: «Noi con Toti: adesso saremo decisivi»
Lo storico senatore di Forza Italia, ex ministro e candidato alla presidenza di Palazzo Madama, ha aderito al movimento del governatore ligure: «No alla “maggioranza Ursula". Il Cav? Si salva solo con facce nuove».Paolo Romani è la storia di Forza Italia. Entrò in Parlamento nel 1994, è stato sottosegretario alle Comunicazioni, ministro dello Sviluppo economico, ha ricoperto numerosi incarichi di partito. Nel 2013 è diventato capogruppo al Senato, dove è stato rieletto il 4 marzo 2018. Ma adesso Romani è vicino alle posizioni di Giovanni Toti. E la scorsa settimana, a Roma, ha depositato dal notaio il nome e il simbolo del soggetto politico del governatore ligure, Cambiamo. Senatore, Forza Italia ha detto che chi sta con Toti è fuori.«Io non ho ricevuto alcun decreto d'espulsione ufficiale».Dunque, lei è ancora, a tutti gli effetti, un senatore di Fi.«Al momento sì».Bene. Allora ci dica: lei la voterebbe la misura sul taglio dei parlamentari con grillini e renziani? «Nel merito sarei d'accordo. Purtroppo sembra che questa misura possa essere usata per prolungare la legislatura di alcuni mesi».La vede probabile questa «maggioranza Ursula», Forza Italia, Pd e 5 stelle?«Io penso che ci voglia una proposta di centrodestra che comprenda la Lega, Giorgia Meloni e noi, con cui vincere le elezioni. Ma è indubbio sia in atto un tentativo di rinviare la data delle elezioni».Il Pd ha accolto freddamente l'idea: a Nicola Zingaretti preme stilare le liste e derenzizzare il partito prima che il Rottamatore si riorganizzi. Se però si realizzasse quello scenario, le urne effettivamente resterebbero chiuse fino a primavera o estate 2020. Nel frattempo che ne sarebbe del consenso di Matteo Salvini?«I consensi in politica sono difficili da conquistare e altrettanto difficili da mantenere. Ma non credo che il consenso, io dico, dell'intera area di centrodestra, possa diminuire».L'idea di un governo elettorale o di scopo potrebbe piacere ai parlamentari che temono di non essere ricandidati, anche se Beppe Grillo ha aperto il terzo mandato.«Al di là di quello che hanno in mente i parlamentari per salvare le poltrone, noi abbiamo già avuto un governo non eletto dagli italiani, visto che la proposta elettorale, nel 2018, era del centrodestra unito e non di Lega e 5 stelle insieme. Quello sciagurato governo, a un anno di distanza, ha dimostrato la sua incapacità di trovare una mediazione efficace. Immaginare oggi governicchi e governissimi lontani dalle intenzioni di voto degli italiani è una follia. L'unica cosa che si può fare oggi è chiedere agli elettori di esprimersi».È stato Salvini il primo a denunciare un presunto inciucio tra Pd e 5 stelle. Era un'ipotesi fondata o soltanto, per così dire, pretattica?«Anche io ho sentito parlare di un possibile governo tra 5 stelle e Pd, con la ricomposizione interna ai dem tra renziani e Nicola Zingaretti, visto che, se si andasse a votare ora, i primi resterebbero esclusi dalle liste».Ipotizziamo si vada al voto subito. Nel suo discorso a Pescara, il leader della Lega ha chiarito: correremo da soli, dopo le elezioni si vedrà. La sensazione è che lui voglia meno alleati possibili, per non avere troppe bocche da sfamare. Magari gli basterebbe Fratelli d'Italia. Voi di Cambiamo rischiate di rimanere fuori dai giochi?«È sicuro che Salvini non voglia fare accordi con ciò che è vecchio. Per quanto riguarda i compagni di strada, non è stato chiarissimo sui tempi, se prima o dopo le elezioni. La Meloni sta giustamente chiedendo che gli accordi si facciano prima. Lo chiederemo anche noi. Considerando che la nostra presenza potrebbe essere decisiva in molti collegi e potrebbe portare il centrodestra ad avere una grande vittoria».Ci aiuta a capire che cosa è successo in Forza Italia?«Volentieri».Lei è stato un plenipotenziario del partito. Oggi è uno scissionista. Com'è arrivato a questo punto?«Silvio Berlusconi mi ha concesso di fare di tutto: ministro, sottosegretario, capogruppo… Gli sono riconoscente per questa straordinaria storia politica».Cosa è cambiato?«Ho vissuto, accanto ai momenti di gloria, anche tutte le divisioni che si sono susseguite negli anni. E per discuterne, è sempre mancata una sede all'interno del partito».Mancava un luogo di confronto?«Sì, anche se nulla toglieva che in un partito ci fossero una maggioranza e una minoranza dissidente. Queste scissioni non hanno comportato solo una perdita di voti, ma anche di teste. Un impoverimento della nostra classe dirigente».E lei ha reagito solo ora?«No. Sono anni che parlo con Berlusconi di questi problemi».E cosa gli dice?«Che una parte della disaffezione verso Fi viene dal fatto che i simpatizzanti non capiscono come e dove partecipare alla sua attività».Si sentono esclusi?«E non comprendono con che criteri venga formata la classe dirigente. La sensazione era che chi veniva selezionato, non lo fosse per meriti ma per cooptazione».A Berlusconi è piaciuto circondarsi di «yes men»?«Lui ha sempre giustificato le cooptazioni assicurando che, prima di decidere, sentiva tutti nel partito. Diciamo che ultimamente sentiva un po' meno persone…».Nel partito mancavano meccanismi di selezione e ricambio dei dirigenti, insomma.«Lui, però, quando ha nominato coordinatori Mara Carfagna e Giovanni Toti, ha pronunciato una parola importantissima: “contendibilità"».Che significava?«Che chiunque, se aveva il necessario consenso, poteva ricoprire incarichi di partito o politici».A Fi manca solo questo?«E una piattaforma di comunicazione più moderna. Capace di competere con la piattaforma Rousseau e con la Bestia di Luca Morisi».I social di Berlusconi in effetti hanno uno stile un po' ingessato.«Non sono social. Io gli portai il progetto di Forza Italia 2.0, ma lui non lo prese in considerazione».Ma cosa non ha funzionato del tentativo del Cavaliere di rimediare alla crisi nel partito?«Quando Toti e Carfagna hanno chiesto ai coordinatori del partito di congelare le nomine, la classe dirigente vicina a Berlusconi si è chiusa a riccio su di lui e ha preteso la fine di quel brevissimo esperimento».E siamo arrivati a quello che pure la Carfagna ha definito «comitato di liquidazione».«Il rimedio è stato peggiore del danno».Così lei e Toti avete fondato un nuovo partito, Cambiamo?«Abbiamo dei comitati promotori, ma non abbiamo creato ancora un partito. Saremo un punto di aggregazione per chi si riconosce in un progetto che guarda al centrodestra, tenuto conto che il dominus del centrodestra oggi è Salvini».Detto da lei, che è stato un promotore del patto del Nazareno…«Quello fu un accordo per cambiare le regole, a partire dalla Costituzione e dalla legge elettorale e per migliorare l'assetto istituzionale e la sua efficienza. E le regole le puoi cambiare solo con il tuo avversario politico». Fu un tentativo di riabilitare politicamente il Cav?«Anche, visto che per effetto della legge Severino, Berlusconi era stato ignominiosamente cacciato dal Parlamento proprio da quella maggioranza, il 25 novembre del 2013. Neanche due mesi dopo, il 18 gennaio del 2014, Berlusconi saliva i gradini del Nazareno».E come si passa da Matteo Renzi a Matteo Salvini?«Nel tempo si è dimostrato che era difficile fare con Renzi quelle riforme. Perciò, fallito il Nazareno, siamo tornati a essere il partito di centrodestra di sempre».Da Angelino Alfano allo stesso Toti, sembra che Berlusconi investisse i suoi potenziali «delfini» appositamente per bruciarli. Ha mai pensato che il partito potesse sopravvivergli?«Berlusconi è imperatore, mica re».Cioè?«Il re ha degli eredi. Gli imperatori sono unici».E vengono fatti fuori dalle congiure…«No. Noi di Cambiamo, anzi, vogliamo impedire che l'eredità politica del Cavaliere si disperda. Lui è pur sempre quello che ha inventato il centrodestra e il bipolarismo».Ma cos'è che ha decretato la crisi della parabola di Berlusconi?«L'aggressione giudiziaria».E la tempesta dello spread?«Pure. La congiura dei mercati, di Angela Merkel, di Nicolas Sarkozy. Berlusconi, nel consesso europeo, rappresentava un'anomalia. Poi, dato il via libera al governo Monti, ci siamo contaminati…».Il suo collega, Maurizio Gasparri, è scettico sul progetto dell'Altra Italia. Dice che la società civile in politica non funziona.«Il Cavaliere ha sempre cercato di aggirare il suo status di politico, perché non si sente un politico, confrontandosi direttamente con la società civile».In effetti l'Altra Italia non sembra proprio una novità. Non ci si è già provato con i circoli e, più di recente, con il Centro studi del pensiero liberale?«Sono d'accordo. E comunque è un esperimento che arriva in ritardo. L'Altra Italia guarda alla classe media, che si è ridotta enormemente per colpa della crisi. E che oggi è furibonda con il sistema politico e vota i grillini o la Lega».Quindi è un tentativo fallimentare?«Be', l'Altra Italia in senso sociologico si è dispersa. Se invece per Altra Italia intendiamo Lorenzo Cesa o Gianfranco Rotondi… Be', erano già nostri alleati e componenti del gruppo al Senato».Come va a finire? Forza Italia si liquefa?«Io non ho ancora perso completamente le speranze».No?«Forza Italia si può salvare, si può rinnovare. Ma la vecchia classe dirigente deve fare un passo indietro. Parlo alle Mariastella Gelmini, alle Anna Maria Bernini, agli Antonio Tajani: ragazzi, apriamo le porte a gente nuova!».E lei?«Guardi, mi rivolgo innanzitutto a Paolo Romani…».