2021-10-18
«La vendemmia a rischio green pass»
Il presidente di Coldiretti: «Il 25% dei braccianti agricoli non può lavorare, serve manodopera. Se la protesta dei trasporti dovesse continuare sarà difficile fare la spesa. E all'estero non vedono l'ora di rubarci il mercato».«La vendemmia è a rischio. I raccolti sono a rischio. Se la protesta dei camionisti e dei portuali dovesse continuare, diventerà difficile fare la spesa. E soprattutto abbiamo bisogno urgente di manodopera: l'agricoltura non può aspettare. Altrimenti le mele e le olive resteranno sugli alberi. Penso a tutti i raccolti che andranno buttati via. Sarà un colpo durissimo. Subito giù l'Iva sugli alimentari, o sarà caos».Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, il comparto agroalimentare è uno dei settori più in difficoltà dopo l'entrata in vigore del green pass duro sui lavoratori. Di quali cifre stiamo parlando?«In questi giorni gli agricoltori sono nelle vigne, negli uliveti e nei meleti. E il 25% dei lavoratori non può entrare nei campi. Parliamo di 100.000 lavoratori che non sono vaccinati, o che hanno un vaccino non riconosciuto dallo Stato italiano. Immaginate il contraccolpo se dovesse marcire tutto? Durante il lockdown abbiamo perso il 35% del mercato e non voglio rivivere quell'esperienza». E nei prossimi mesi sarà peggio? «Sì, perché in primavera ci giochiamo la filiera dell'ortofrutta. Dovremo arrivare a 1 milione e 200.000 lavoratori, di cui tanti stagionali. Penso anche alle lavorazioni in serra, che vanno avanti tutto l'anno. Se ci manca manodopera, gli approvvigionamenti saranno a rischio. Per non parlare delle esportazioni: all'estero non vedono l'ora di rubarci quote di mercato. Ricordiamoci che perdere terreno fuori dai nostri confini è facilissimo: ma recuperare è quasi impossibile». Nel breve periodo, invece, facciamo i conti con le categorie sul piede di guerra. Quanto la preoccupano le proteste degli autotrasportatori e dei portuali?«Se la situazione non si placa, troveremo i prodotti nei supermercati ancora per qualche giorno. Poi basta. Niente latte, niente frutta. I prodotti deperibili saranno i primi a scarseggiare. Per questo non possiamo permetterci di stare senza trasporti. Oggi qualsiasi centro di distribuzione non ha magazzino, e gli ordini vengono inviati di giorno in giorno». E voi siete il settore più sensibile ai ritardi? «Vuole qualche numero? La difficoltà nei trasporti rischia di soffocare 330.000 realtà della ristorazione, 230.000 punti vendita al dettaglio da parte delle 70.000 industrie alimentari e 740.000 aziende agricole italiane. Insomma, l'agroalimentare soffre due volte: perché alle mancate consegne e alla perdita di opportunità commerciali dobbiamo aggiungere il deprezzamento che subiscono prodotti che vanno a male in fretta, come la carne e la verdura. Per questo dobbiamo fare di tutto per garantire le consegne. E poi mi preoccupa il blocco dei porti, che poi è la vera infrastruttura che muove le merci. Ho timore di una degenerazione della situazione in tutti i settori produttivi». Pensa che il governo dovrebbe ammorbidirsi rispetto alle proteste di questi giorni sul green pass? «Noi siamo favorevoli al green pass, anche perché vedo come un incubo l'eventualità di ritornare a un lockdown che sarebbe impensabile per la sopravvivenza del settore. Certo, è importante la determinazione ma anche l'ascolto, e qualche apertura va fatta». Da che punto di vista? «Bisognerebbe perlomeno rendere più semplici i controlli, smussare le norme. Sbrogliare tutte le matasse legali. Noi, per esempio, non possiamo certo mettere i tornelli sui campi per verificare gli ingressi». E i tamponi gratuiti? «Possiamo immaginare forme di sostegno per le imprese che parzialmente si fanno carico del costo del tampone. Ma prima di ogni altra cosa, devono consentirci di facilitare l'accesso alla produzione di quanti sono in regola. L'attività agricola è legata ai cicli stagionali. L'agricoltura non può mai fermarsi. Altrimenti diminuisce la produzione e aumentano i costi». Oltre alla campagna vaccinale, insomma, serve attenzione alla campagna tout court. «Coldiretti è stata in prima fila per sostenere la campagna vaccinale. Abbiamo aperto hub nelle cantine, nelle aziende, nei piccoli borghi. Lavorando all'aperto, mantenere le distanze è stato più facile, e infatti abbiamo avuto solo lo 0,3% di assenze dovute al Covid. Per questo non abbiamo mai smesso di lavorare, garantendo le forniture, nonostante le grandinate e le gelate di quest'anno. Ma adesso ci servono strumenti per continuare a sopravvivere». Un lavoratore senza green pass non potrà lavorare, ma il datore di lavoro potrà sostituirlo solamente se ha meno di 15 dipendenti. Questo vi complica la vita? «Una sostituzione per un periodo breve potrebbe essere fattibile appoggiandosi ad agenzie interinali, ma nel caso di attività che richiedono una certa professionalità diventa impossibile». E allora? «Servono strumenti più flessibili, come lo erano i voucher. Ci servono persone che lavorano. Facciamo lavorare nei campi i disoccupati, quelli in cassa integrazione, gli studenti, e quelli che hanno preso il reddito di cittadinanza. Proroghiamo i permessi di soggiorno agli stagionali extracomunitari già presenti in Italia». Facciamo lavorare anche i pensionati?«Certo. Potremmo assumere quei pensionati che hanno ancora voglia di lavorare e hanno esperienza nel settore. Qual è il problema? Facciamolo magari anche in forma sperimentale, concordando tutto con i sindacati: ma facciamolo subito». Il punto è che se voi non lavorate, a rimetterci non sono solo le imprese, ma anche il consumatore? «Sì, chiariamo che qui non si tratta di salvare solo il reddito delle imprese. Dobbiamo garantire le forniture alimentari: rischiamo di sprecare cibo proprio in una fase delicata in cui i prezzi dell'agroalimentare stanno andando alle stelle. Viviamo una fase di riduzione di scambi commerciali, accaparramenti, speculazioni, una corsa dei singoli Stati ai beni essenziali. E questo in aggiunta alle prospettive terribili sul costo delle bollette dell'energia. Tutto, alla fine, ricade sul cittadino». Pasta. Pane. Riso. Prezzi cresciuti del 35%, dice Federalimentare. Cifre mai viste dal 2008. Che sta succedendo? «Il costo delle materie prime sta decollando in tutto il mondo, è una fase delicatissima di tensioni globali. L'unica soluzione, per noi, è intervenire sulla fiscalità. Gli aumenti dei prezzi hanno aumentato il gettito fiscale, e dunque ci sono le condizioni per abbassare l'Iva sui generi alimentari. Così facendo, l'adeguamento dei prezzi riconosciuto alle imprese agricole non verrebbe pagato dai consumatori, e il carrello della spesa sarebbe salvo. Insomma, sarebbe la prima vera misura a sostegno delle famiglie». Quanto influisce l'attenzione sulla transizione ecologica sull'aumento dei prezzi? «Io capisco quell'attenzione, ma non bisogna esagerare. Il processo ecologico va accompagnato. Non capisco quelli che chiedono rivolgimenti radicali, senza pensare ai costi conseguenti che dovremmo pagare. Penso all'aumento del costo della plastica, del legno, dei trasporti, dell'energia, degli imballaggi, che impattano anche sul confezionamento dei prodotti vitivinicoli e nella produzione dell'olio. E spesso sono costi che pagano i cittadini tirando fuori il portafoglio. Dunque ci vuole un po' di buon senso. E determinazione nel chiedere parità con gli altri Paesi». Parità? «Guardacaso, i Paesi che non rispettano gli impegni ambientali sono cresciuti di più rispetto agli altri. Per questo io dico che è bene avere regole: ma devono valere per tutti. E io questa famosa reciprocità ancora non la vedo. Ogni tanto dai Paesi asiatici arriva qualche piccola apertura. Ma nei fatti, ancora niente».
Jose Mourinho (Getty Images)