
L'ex Pooh: «Condivido la proposta leghista. Toto Cutugno e Al Bano terroristi? Assurdo, pure io andrei da Putin. Per Fogli umiliato all'Isola dei Famosi non ho dormito la notte. Sciogliere il nostro gruppo è stato un errore».«Leggendo certe notizie sembra di vivere su un altro pianeta, quello di Scherzi a parte. Al Bano trattato come un terrorista: ma per favore… Ragionando così qualcuno potrebbe prendersela anche con Toto Cutugno (poche ore dopo l'intervista un gruppo di deputati ucraini ha chiesto di vietare al cantante l'ingresso nel loro Paese, ndr) oppure con Angelo e la Brunetta dei Ricchi e Poveri per le loro frequentazioni russe. Sono artisti, cantano per far stare bene la gente. Non capisco quale sia il problema: anche io, se lo incontrassi, stringerei la mano al presidente Vladimir Putin». Lo dice sorpreso Dodi Battaglia, 67 anni, per cinque decenni chitarrista dei Pooh e ora solista di successo, dalla sua casa di Bologna, commentando la notizia dell'inserimento di Al Bano nella black list delle persone considerate una minaccia per l'interesse nazionale dell'Ucraina perché «amiche» della Russia. Rimaniamo a Est: la mano pesante del governo bulgaro la sperimentaste di persona durante il tour dei Pooh in Bulgaria negli anni Settanta in piena guerra fredda. Addirittura, si racconta, vi impedirono di utilizzare gli effetti speciali sul palco. Come andò veramente?«Un pomeriggio si presentarono nel backstage alcuni funzionari per comunicarci tassativamente che non avremmo potuto usare il laser e le lingue di fuoco che facevamo parte della nostra coreografia. Consideravano il laser uno strumento di eccitazione di massa. Giusto per descrivere l'atmosfera, prima di ogni spettacolo io spostavo la tenda del palco per capire se c'era qualcuno in teatro perché non si sentiva letteralmente volare una mosca. In realtà c'erano migliaia di persone immobili e silenti. Addirittura, durante i concerti, ai lati del palcoscenico si piazzavano alcuni soldati armati pronti a colpire con il calcio del fucile gli spettatori che si entusiasmavano troppo. Ricordo bene che un paio di ragazzi tentarono la fuga dalla Bulgaria nascondendosi tra gli strumenti sul nostro camion. Li beccarono subito al primo controllo lungo la strada… Da quei confini era impossibile uscire». Tornando alle leggendarie coreografie pirotecniche dei Pooh, in più di un'occasione avete fatto scattare l'allarme rosso tra i pompieri che vigilavano sui teatri dove vi esibivate.«Ci furono vari allarmi, ma una volta a Torino successe qualcosa di incredibile: spaventato dai fumi e dai fuochi un pompiere sganciò dal tetto del palcoscenico un enorme sacco pieno di polvere di marmo finissima che ricoprì il nostro batterista, Stefano D'Orazio, della testa ai piedi, trasformandolo in una statua vivente del Bernini. Ne abbiamo viste tante in 50 anni di palco. Anche i camerini talmente affollati di belle ragazze da farci dire: ma perché stasera dobbiamo esibirci?».Come ha reagito davanti alle lacrime del suo amico e collega, Riccardo Fogli, disperato all'Isola dei famosi per un gossip sul presunto tradimento da parte della moglie? «Quella scena mi ha devastato, non ci ho dormito la notte. Sono stato male nel vedere in quella situazione orrenda un uomo che considero mio fratello, che mi ha sempre chiamato Dodino da quando avevo 17 anni e che mi ha insegnato tante cose della vita. Mi sono trovato davanti a un amico sbeffeggiato a diecimila chilometri da casa senza alcuna possibilità di difendersi, di reagire. Non voglio entrare nemmeno per un secondo nel merito delle insinuazioni. Riccardo ha subito una grande ingiustizia e io come amico gli sono vicino. C'è poi un'altra considerazione secondo me molto importante: gli adulti hanno le spalle grandi, sono forti, ma bisogna rendersi conto che in questo caso c'era di mezzo sua figlia, una bambina di cinque anni… Certe cose non dovrebbero vedersi in televisione, ma invece è in atto una competizione a chi urla e insulta di più. Spesso senza un reale motivo. Credo che l'unica spiegazione sia nel titolo della canzone di Mahmood che ha vinto il Festival di Sanremo: Soldi». Al festival non hanno voluto in gara Un'anima, il brano firmato da lei e Giorgio Faletti.«Credo molto in quel brano perché è intenso e profondo. Non è una canzonetta. Avevo messo in moto un percorso di avvicinamento al festival… Diciamo che ci siamo annusati e non ci siamo piaciuti più di tanto: forse qualcuno ha pensato che non fosse adatta a quel contesto. Detto ciò, non mi sono disperato per l'esclusione. La canzone è appena uscita, sta piacendo e funziona in classifica. Quindi, nessun rimpianto. Certo, sarebbe stato bello portare Un'anima a Sanremo, proprio su quel palco dove Giorgio aveva conquistato il secondo posto con Signor tenente nel 1994». Una canzone italiana su tre nella programmazione radiofonica nazionale: è questa la proposta di legge presentata dell'onorevole Alessandro Morelli della Lega. Concorda? «Sì, sono totalmente favorevole a una legge che vada in questa direzione. Soprattutto perché ci allineerebbe finalmente a Paesi come la Francia e il Portogallo che davanti alla crisi della discografia locale hanno saputo reagire con prontezza, avendo come obiettivo quello di valorizzare la cultura della loro nazione». Che cosa ne pensa del governo in carica e di questa fase della politica italiana?«Non amo entrare nel merito, ma la buona volontà la vedo. Dico solo che, in generale, per risolvere i problemi di sistema di questo Paese i cinque anni di una legislatura non sono sufficienti». Nei testi della musica per teenager, trap o rap che sia, c'è lo sdoganamento di un linguaggio estremo con riferimenti espliciti a sesso, droga e violenza. Che effetto fa tutto questo ad un musicista che per 50 anni ha militato nella band di Pensiero e Dammi solo un minuto? «Santo cielo, per me è difficile da comprendere. Io sono un romanticone figlio dei Beatles e dei Bee Gees. E, non a caso, non cito i Rolling Stones. Per mia cultura, estrazione, e indole non sono incline alle trasgressioni». Dopo 50 anni di dischi e spettacoli i Pooh hanno deciso di sciogliersi: lei era d'accordo?«Diciamo che non sono stato uno degli sponsor di questa decisione. Per me non era una genialata… Ho fatto un po' buon viso a cattivo gioco. Poi, a me personalmente è andata bene, riempio i teatri da due anni suonando con una nuova band le canzoni dei Pooh ed è appena uscito un mio doppio disco dal vivo, Perle, che mi sta regalando tante soddisfazioni. Certo che oggi, senza nulla togliere ai nuovi musicisti che mi accompagnano, quando dopo quaranta canzoni dei Pooh vedo la standing ovation del pubblico, guardo il palco e mi chiedo: ma dove sono i miei colleghi?».Se la richiamassero per un concerto accetterebbe senza riserve?«Anche domani mattina e metterei pure i soldi della benzina. Porrei una sola condizione: gran parte del ricavato dovrebbe andare in beneficenza. Noi abbiamo ricevuto tanto e credo sia giusto restituire qualcosa facendo del bene». Non tutti sanno che la chitarra di tre classici di Vasco Rossi, Va bene, va bene così, Toffee e Una canzone per te l'ha suonata lei. «Sono orgoglioso di quel che ho inciso per Vasco. A quelle sessioni in studio è legato un episodio molto divertente: il giorno della registrazione di Va bene, va bene così, Vasco non si presentò. Così, un fonico mi chiese di cantarla, giusto per avere una traccia vocale di riferimento. Io lo feci a modo mio, tutto pulitino e con ogni nota al suo posto (imita se stesso e il suo stile di canto, ndr). Sembravo la Madama Dorè. Mentre cantavo vedevo che il fonico si rotolava per terra dal ridere… Ho compreso perché quando ho riascoltato il nastro in auto. Un minuto dopo ho richiamato tutti i presenti intimandogli di non far girare quella cassetta perché avrei fatto la figura del cantante-chierichetto». Qual è stato il momento più difficile della tua carriera?«Ne ricordo almeno due: il primo quando, a 17 anni, Valerio Negrini (fondatore e storico autore dei testi della band, ndr) disse che mi voleva nei Pooh ma a una condizione, e cioè che per sei mesi non avrei dovuto dire niente a nessuno, nemmeno ai miei genitori. Non so come ho fatto, ma ho mantenuto la parola. Il bello è che negli anni successivi mi sono sempre dimenticato di chiedere il motivo di quella richiesta. Il secondo momento hard è stato un incidente in autostrada quando ho perso il controllo dell'auto per evitare una cassa di bottiglie d'acqua minerale in mezzo alla corsia. Mi sono rotto la clavicola, ma per non perdere una serata all'arena di Verona ho preso un antidolorifico e non mi sono fatto ingessare. Un po' stoico e un po' deficiente, perché la clavicola non è mai più tornata come prima».
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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