2020-01-06
La maxinchiesta sul Csm rischia il flop. Ma intanto la sinistra si è presa tutto
Secondo la Cassazione, le intercettazioni di Luca Palamara e soci non potevano essere utilizzate. Però sono finite sui giornali, provocando le dimissioni di molti consiglieri moderati. Ora le toghe rosse sono maggioranza.Che fine ha fatto l'inchiesta sul Csm che sei mesi fa sembrava dovesse terremotare le istituzioni italiane? Nonostante la Procura di Perugia continui a indagare e abbia chiesto delle proroghe i giornali hanno smesso di interessarsene da mesi. Eppure, tra fine maggio e inizio luglio, avevano scodellato decine di scoop su notizie coperte da segreto che, in poche settimane, avevano portato alle dimissioni di cinque membri del Consiglio superiore della magistratura, tutti d'area moderata, oltre che a quella del procuratore generale della Cassazione e all'allontanamento da Roma di un pm che aveva osato sospettare della correttezza dei suoi superiori. Piazza pulita che ha portato al ribaltamento dei rapporti di forza dentro al Csm, spostando l'ago della bilancia dal centrodestra (la maggioranza era in mano alla corrente moderata di Magistratura indipendente) al centrosinistra (dopo il terremoto il cartello progressista Area, vero motore del nuovo corso, ha trovato un prezioso alleato nella corrente Autonomia e indipendenza di Pier Camillo Davigo).Il problema è che nel frattempo la Suprema Corte di Cassazione, che a marzo aveva convocato le sezioni unite per dirimere la questione, ha deliberato su un tema che potrebbe azzoppare l'inchiesta. I magistrati hanno stabilito che non è possibile intercettare qualcuno per reati diversi da quelli per cui quelle captazioni sono state richieste. Nelle motivazioni della sentenza i giudici biasimano le cosiddette «autorizzazioni in bianco», quelle che prima consentivano ai pm di pescare a strascico nelle conversazioni per contestare altri reati.Il provvedimento della Suprema Corte stabilisce ora rigidi limiti, introducendo due condizioni (entrambe necessarie) per l'utilizzabilità delle intercettazioni in filoni diversi: deve trattarsi di reati connessi dal punto di vista strutturale, logico e probatorio con quelli per cui si procede e deve trattarsi di reati puniti con pene superiori ai cinque anni. Esattamente l'opposto di quanto accaduto a Perugia, dove gli inquirenti hanno iniziato a indagare per corruzione il collega Luca Palamara, salvo poi contestare, grazie alle intercettazioni, anche i reati di rivelazione del segreto e favoreggiamento (puniti con pene massime di 3 e 4 anni). Ora i magistrati sotto inchiesta per queste ipotesi (Luigi Spina, Riccardo Fuzio, Stefano Fava e, in parte, lo stesso Palamara) potrebbero venire tutti prosciolti.A essere contestate sono anche le intercettazioni che hanno coinvolto due parlamentari (la cui privacy è garantita dalla Costituzione), Luca Lotti e Cosimo Ferri, i quali parteciparono ad alcuni incontri con Palamara e altri magistrati per discutere delle nomine negli uffici giudiziari. Per il Csm avvennero in modo causale, poiché gli investigatori non ascoltarono le chiacchierate in diretta, ma solo successivamente. Ferri si è rivolto alla Corte costituzionale per contestarne l'utilizzabilità. Anche perché per ben quattro volte in un mese si sarebbero ripetute captazioni «casuali», nonostante il 10 maggio, dopo la prima registrazione, la pm Gemma Miliani avesse raccomandato la massima attenzione.Addirittura l'8 maggio ci sono tre telefonate propedeutiche all'incontro con i due deputati, tutte giudicate «importanti» o «molto importanti» nei brogliacci. Alle 15.27 del pomeriggio (anche in questo caso non c'era nessuno all'ascolto?), gli investigatori riassumono: «Palamara al telefono… si vedranno nei pressi del Csm con Antonio, Cosimo e lui (la persona al telefono)». Alle 23.47 l'indagato parla invece di Luca, verosimilmente Luca Lotti. Perché i finanzieri ritengono queste conversazioni importanti? Qualcuno si era accorto che i citati Luca e Cosimo erano i deputati Lotti e Ferri?Sia come sia, quelle chiacchiere sub judice hanno terremotato il Csm, raggiungendo un risultato certo: hanno quasi azzerato la corrente moderata di Mi che aveva vinto le elezioni del Csm e ora tutte le nomine che contano vengono decise dall'asse Ai-Area (Unicost e Mi per ora si sono dovute accontentare delle procure di Salerno e Brescia). Davigo ha incassato il procuratore di Torino e il procuratore generale di Brescia (Anna Maria Loreto e Guido Rispoli, entrambi ex Mi), ma i colpi migliori li ha messi a segno Area. In attesa di piazzare la bandierina sulla Procura di Genova, ha ottenuto la nomina di Giovanni Salvi a procuratore generale della Cassazione al posto di Fuzio. Un incarico di primissimo piano: il pg del Palazzaccio è titolare dell'azione disciplinare e membro di diritto del Csm (in questa e in parte della prossima consiliatura). Eppure anche Salvi aveva incontrato più volte Luca Lotti per parlare di «questioni di lavoro» (anche se Lotti non era ministro della Giustizia), ma al contrario dei consiglieri dimissionari aveva smesso di vederlo quando si seppe dell'iscrizione del politico sul registro degli indagati per Consip. Ma torniamo alle nomine. Area è riuscita a far promuovere procuratore aggiunto di Roma Stefano Pesci, a discapito del più volte candidato Nicola Maiorano di Unicost. In passato persino il compagno di corrente Palamara aveva «tradito» Maiorano, sostenendo Giuseppe Cascini (portabandiera di Area al Csm) e sempre Palamara aveva sponsorizzato Pesci come procuratore di Grosseto. Mi a novembre aveva contestato la promozione: «Abbiamo ravvisato delicate questioni ostative alla nomina in questione (…) infatti la moglie del collega Pesci svolge le medesime funzioni di procuratore aggiunto». Area adesso punta a conquistare la poltrona più importante della Procura di Roma. Non è chiaro se continuerà a sostenere, come aveva fatto a maggio, il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, considerato all'epoca l'erede naturale di Giuseppe Pignatone, o se, come sembra più probabile, deciderà di confermare il procuratore facente funzioni di Roma Michele Prestipino. È proprio su questa nomina che ci sono state a giugno le più incredibili fughe di notizie, capaci di azzoppare la candidatura forte del pg di Firenze Marcello Viola. Purtroppo per lui venne fuori che il suo nome era sostenuto dal Giglio magico, in contrapposizione al nemico giurato di Matteo Renzi, Giuseppe Creazzo, sotto la cui direzione la Procura fiorentina ha ottenuto l'arresto dei genitori del fu Rottamatore e ha avviato altre inchieste su famigliari e finanziatori dell'ex premier.Ora che Renzi è tornato a essere un azionista del governo, sebbene le quotazioni di Viola siano in picchiata, quelle di Creazzo potrebbero non salire. Area, come detto, tiene ancora le carte coperte, mentre Magistratura indipendente ha spostato le sue fiches da Viola su Lo Voi, ma quello di Mi potrebbe essere il bacio della morte per il procuratore di Palermo. Insomma, siamo di fronte a una specie di stallo messicano in cui l'ultima parola potrebbe averla la corrente di Autonomia e indipendenza. A quanto risulta alla Verità, difficilmente i consiglieri di Ai, Davigo a parte, sosterranno Lo Voi e Prestipino, ritenuti vicinissimi a Pignatone. I due nomi sarebbero indigesti per consiglieri come Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, che nelle tradizionali antinomie della magistratura della Trinacria, si ispirano alla lezione antimafia di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giancarlo Caselli (che con Pignatone erano poco in sintonia). Per questo Davigo e i suoi quattro moschettieri potrebbero votare diversamente, come è avvenuto a dicembre per la nomina a presidente di sezione di un giudice di Forlì. Una frattura che in consiglio ha ribaltato il risultato della commissione.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)