2023-09-19
Il Verbo verde ricorda la lotta alla tv a colori
Oggi come allora, la sinistra combatte guerre ideologiche ignorando la realtà. Se prima ce l’aveva con il progresso, ora pretende di imporre la transizione ecologica nonostante le voci contrarie di molti scienziati. Lo dimostra il nostro libro «La truffa green».Pubblichiamo un estratto della prefazione di Maurizio Belpietro al libro La truffa green (Panorama edizioni, 7,9 euro) di Franco Battaglia, disponibile in edicola in allegato al quotidiano e al settimanale. Il volume, con interviste a esperti controcorrente, smonta le bufale sull’emergenza climatica.Non ricordo quando la sinistra ha iniziato a dirsi «progressista», tuttavia, so che per lungo tempo il Partito comunista italiano è stato contro il progresso, inteso come sviluppo tecnologico e potenziamento degli investimenti. Difficile dimenticare che nel 1964, quando Aldo Moro inaugurò l’Autosole che collegava Milano a Napoli, attraversando l’intera penisola, l’Unità, quotidiano diretto dal potente capo della Commissione cultura del partito Mario Alicata, giudicò inutile l’opera, con un editoriale in cui si sosteneva che di quell’infrastruttura non si sentiva il bisogno. L’autostrada realizzata quasi 60 anni fa è un esempio del partito antimoderno comunista, a cui però seguirono le battaglie della sinistra contro i grattacieli, gli aeroporti, la variante di valico Firenze-Bologna, il Mose, il ponte sullo Stretto, eccetera. Qualsiasi grande opera, per il Pci e per i partiti che nacquero dalle sue costole, era ritenuta uno spreco.Memorabile resta quando i comunisti si opposero all’introduzione della tv a colori, considerata una spesa per ricchi, a fronte di famiglie che ancora non avevano il televisore in bianco e nero. «La tv a colori è caldeggiata dagli industriali e dalla Rai» titolava la solita Unità, sostenendo la necessità di chiarire se «il Paese poteva sopportare questa spesa e quali vantaggi, se vantaggi ci sono, potrebbe dare per la nostra economia». Da Enrico Berlinguer a Luciano Lama, erano tutti convinti che lo schermo a colori fosse un insulto alla povera gente e gli interessi economici delle lobby fossero di gran lunga superiori ai benefici. «Guerra di miliardi per la tv a colori», «Corruzione ed intrighi dietro la scelta della tv a colori» furono i titoli del quotidiano del partito.Tuttavia, dopo aver combattuto per anni la modernità, ma anche l’evoluzione dei costumi, un bel giorno la sinistra si appropriò del sostantivo progressista, usandolo per ridefinirsi come forza riformatrice, innovatrice, modernista e illuminata. Il contrario dei conservatori, confinati ai margini della società in quanto oscurantisti, retrogradi e reazionari. Credo che il passaggio sia coinciso più o meno con il referendum sul divorzio nel 1974, con il Pci e i partiti a esso legati schierati contro e la Democrazia cristiana con i suoi alleati a favore dell’abrogazione della legge che regolava le separazioni. Sta di fatto che da allora in poi a sinistra hanno indossato l’abito del cambiamento, dividendo il mondo in due. Di qua il futuro, il progresso, la cultura, la modernità e di là il passato, la regressione, l’ignoranza, i nostalgici.Ho fatto questa lunga premessa per spiegare la posizione manichea adottata dai cosiddetti progressisti sul cambiamento climatico (ma si potrebbe estendere il concetto anche ad altri argomenti, come i vaccini, l’utero in affitto e così via). Di qua, cioè fra chi ritiene che caldo record, nubifragi, tempeste eccetera siano tutte colpe dell’uomo, c’è il bene. Di là, tra chi dubita, c’è il male. Di qui la cultura e la scienza, di là l’ignoranza e la malafede. Di qui il progresso, di là il regresso. Con la stessa determinazione con cui 50 anni fa consideravano la tv a colori il male assoluto e l’autostrada un’opera per arricchire la grande industria, oggi affrontano il surriscaldamento globale, accusando chiunque metta in dubbio la correlazione fra eventi naturali e attività umane di essere un negazionista. Con questo sostantivo, da anni si identificano coloro che negano la realtà storica e lo sterminio degli ebrei durante il nazismo.Dunque, etichettare di negazionismo chiunque critichi l’intransigenza ambientalista significa già classificarne negativamente il pensiero, in altre parole squalificare ogni suo ragionamento. Non importa che i dubbi sulla teoria delle responsabilità umane nel cambiamento climatico siano condivisi da importanti scienziati, tra i quali uno degli ultimi premi Nobel per la Fisica: a sinistra si considera reazionario ogni pensiero scettico.Insomma, con la stessa disinvoltura con cui il Pci riteneva un atto di fede combattere la tv a colori, preferendo un mondo in bianco e nero, oggi a sinistra non si ammettono esitazioni sulla transizione green. Il «climate change» non si discute: si accetta, e se lo si mette in dubbio si passa automaticamente dalla parte del torto. Chi è contro non ama l’ambiente, ma lo condanna. Naturalmente, dietro le affermazioni di principio poi non c’è alcuna svolta concreta. Infatti, dopo aver sentenziato che se un uragano si abbatte su Milano è a causa del cambiamento climatico (dimenticando episodi analoghi del passato, come per esempio la tempesta del luglio 1957) e dunque bisogna ridurre le emissioni inquinanti e rinunciare ai carburanti fossili, nessuno si affretta a spegnere l’aria condizionata o a cambiare macchina per passare dal diesel all’elettrico.Mi ha molto colpito qualche tempo fa un’inchiesta con cui il collega Antonio Rossitto raccontava le auto dei parlamentari. A sinistra, cioè fra i più tenaci sostenitori della necessità di una transizione green, nessuno aveva una vettura ecologicamente compatibile. Già: progressisti sì, ma solo nelle idee, non nel portafogli. Quando si tratta di investire i propri soldi, i compagni tornano quelli del 1964, cioè contro ogni modernità.
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