2024-10-14
Ora è necessario riportare a casa i nostri uomini
Si può essere filo palestinesi o filo israeliani, oppure spettatori senza un’opinione precisa del conflitto in atto a Gaza e a Beirut. Tuttavia, comunque la si pensi, una cosa appare certa: la missione Unifil che avrebbe dovuto impedire un’altra guerra in Libano ha fallito.La forza di interposizione Onu tra i territori occupati dai miliziani di Hezbollah e quelli controllati dalle truppe di Gerusalemme non è servita a disarmare i due fronti dove, sotto gli occhi dei caschi blu, si sono continuate ad accumulare munizioni su munizioni.Secondo il Corriere della Sera l’arsenale del movimento finanziato dall’Iran consterebbe di 30.000 o forse 60.000 missili di precisione. Considerando che l’artiglieria di Hezbollah spara all’incirca un centinaio di razzi al giorno sulla Galilea, di questo passo, per arrivare all’esaurimento delle scorte servirebbero almeno un paio d’anni, ammesso e non concesso che Teheran non riesca nel frattempo a trovare il canale per rifornire di altri missili il movimento che ha occupato le istituzioni di quello che un tempo era chiamato il Paese dei cedri.Ovviamente non voglio infilarmi in un dibattito sulle responsabilità degli uni e degli altri. Sulle trame a Beirut e sui molteplici interessi che ruotano intorno alla questione palestinese e, più in generale, sul futuro del Medio Oriente, ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia. Ma non penso che le pagine di un giornale siano le più adatte a ospitare un saggio composto di centinaia di pagine. Dunque mettiamo da parte per ora la questione di Gaza, il ruolo di Israele e gli errori compiuti negli ultimi decenni dall’Occidente e anche dai Paesi arabi. Rimaniamo sul tema del giorno, ossia su quelle truppe mandate a difendere la pace e a garantire il disarmo che da alcuni giorni sono nel mirino e delle quali fanno parte oltre mille nostri soldati.Dopo anni di presenza massiccia su un fronte che scotta, abbiamo una situazione che rischia di scappare di mano. Dal Libano si continua a sparare su Israele e Gerusalemme, a un anno di distanza dall’assalto da parte di Hamas di alcuni villaggi intorno alla striscia di Gaza, pare intenzionata a mettere fine al tiro a segno, colpendo senza esitazione tutto ciò che può pregiudicare la sicurezza delle sue forze armate, ma soprattutto dei suoi civili. Gli aerei con la stella di David hanno sparato missili contro le piattaforme di lancio dei razzi, mettendo fuori uso il sistema che teneva in scacco la parte nord di Israele. Nel frattempo, il premier israeliano ha invitato le forze Unifil a ritirarsi, lasciando intendere che il contingente Onu non serve più a nulla e farebbe bene a fare le valigie se non vuole cominciare a contare i morti.Certo, Netanyahu non è l’uomo più simpatico del mondo e quel che sta succedendo a Gaza non aiuta ad accrescere un sentimento positivo nei suoi confronti e in quelli del Paese che rappresenta. A un anno dalla strage del 7 ottobre e dopo decine di migliaia di morti fra i palestinesi, i responsabili dell’assassinio a sangue freddo di inermi israeliani non sono ancora stati assicurati alla giustizia. Nemmeno si è riusciti a ottenere la liberazione degli ostaggi nelle mani dei terroristi di Hamas. E a pagare è la popolazione civile. Tuttavia, a prescindere dal giudizio critico nei confronti del governo di Gerusalemme e pure nei confronti di sedicenti partigiani che in difesa del diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato sono pronti a sacrificare la vita di decine di migliaia degli stessi palestinesi, resta un fatto: che senso ha una missione di pace che, nonostante sia attiva da decenni, non garantisce la pace? Lo ha detto anche il generale Luciano Portolano, capo di Stato maggiore della Difesa, che ha parlato di modificare le regole d’ingaggio date ai militari. Personalmente ho sempre nutrito dubbi su una missione patrocinata da Massimo D’Alema il quale, da ministro del governo Prodi, si fece vedere a braccetto con il rappresentante di Hezbollah. Ma ora è chiaro che non sia servito a nulla fare la guardia ai bidoni al confine fra Libano e Israele e spendere centinaia di milioni per mantenere i soldati in quell’area.Dunque, una sola cosa credo sia necessaria: riportare a casa i nostri uomini. Anni di controllo del territorio non sono serviti a impedire che Hezbollah si armasse e preparasse una nuova guerra con Israele. Perciò, che altro c’è da attendere? Forse qualche incidente che giustifichi la retromarcia? Per quanto mi riguarda non serve alcun casus belli. La guerra è già in corso e se non vogliamo che nel nostro contingente ci scappi il morto è ora di suonare la ritirata.