
A parte i super renziani, lo scandalo sconcerta le correnti dem. Solo Nicola Zingaretti gode: ora può scalare le macerie del partito.La caduta degli dei si trasforma in un no logo impazzito: mi dispiace per quello che sto facendo soffrire ai miei genitori. Adesso mi arrabbio, anzi no. Sto pagando le conseguenze del mio impegno civile (sic!). Rispetto i magistrati, ma maledetta sia la giustizia ad orologeria. Domani alle quattro faccio una conferenza stampa al Senato e faccio venire giù il mondo, anzi no, l'appuramento annullato, ci vediamo venerdì a Torino.Pensavano di aver visto tutto ai tempi della Caporetto referendaria. E poi dopo la catastrofe delle politiche. E invece le 48 ore più lunghe della vita di Matteo Renzi sono cominciate due giorni fa con gli arresti domiciliari di babbo Tiziano e mamma Lalla, e non sono finite nemmeno con i proclami (revocati) alla capitan Fracassa. Si abbattono sul partito come una tempesta, si riverberano sugli equilibri sempre precarissimi del Pd come l'onda d'urto di uno tsunami. Renzi scriveva ancora ieri sui social, sforzandosi di esibire grinta da combattente: «Ripartiremo proprio da Torino appuntamento per venerdì 22 febbraio alle 18. Ho chiesto», annunciava, «di prenotare una sala grande il doppio di quella che avevamo fissato ieri. Perché deve essere chiaro», concludeva l'uomo di Rignano, «anche plasticamente che io non mollo. Che noi non molliamo». Ma la botta è arrivata, eccome. Ieri gli avvocati gli hanno chiesto di non esternare sull'inchiesta in un momento così delicato. Di dosare le parole. E i suoi compagni di corrente di non parlare come un dirigente di Forza Italia. Macché. E se è vero che alcuni ultras (pochi) si stringeranno intorno a lui, andando a rafforzare la mozione di Giachetti, è vero anche che la maggioranza degli elettori Dem, per cultura politica antica, restano sconcertati da un leader che alle loro orecchie sembra parlare con la più classica lingua anti toghe berlusconiana. La copia è sempre più sbiadita dell'originale.L'unico che si avvantaggerà di questa vicenda nel conflitto interno è Nicola Zingaretti, che si vede trasformato in un bene-rifugio senza nemmeno dire una sola parola (se non fosse stato per la situazione drammatica, la formula della «solidarietà umana a Matteo», ieri, sarebbe apparsa una elegante presa per i fondelli). Tuttavia nemmeno gli zingarettiani sono contenti, anzi, off the record raccontano tutto il loro sconcerto e la loro preoccupazione. Non guardano all'immediato, dove il voto del 3 marzo sembra messo in banca (i sondaggi dicono che il governatore del Lazio può superare il 50%) ma sono angosciati per l'affluenza delle primarie e per le elezioni europee. E se Zingaretti per ora non parla, i suoi uomini si chiedono: «Quanti elettori andranno a votare in un clima così avvelenato?». L'ultima considerazione non è esplicitata, ma è una conseguenza automatica. Il riflettore che da adesso si accende su Matteo Renzi rischia di oscurare il tentativo di costruire in una mese l'immagine del nuovo partito. Come accade dopo il 4 marzo, è Matteo che prova a strappare l'agenda mediatica ai suoi successori. Con Maurizio Martina il gioco gli riuscì, stavolta è più difficile.Tuttavia, qualsiasi cosa si pensi del renzismo gli arresti domiciliari di papà Tiziano segnano il punto di non ritorno nella storia politica di Matteo. La nuova strada non c'è, la vecchi sembra smarrita. Gli amici di un tempo sono sconcertati e distanti. Dietro le sale piene vagheggiate, c'è tanta solitudine. I pensieri sono avvelenati e l'ossessione del tradimento è un tarlo che scava implacabile nella testa dell'ex premier. La strada è finita, e non perché le inchieste sulla famiglia producano direttamente degli effetti immediati sullo scontro interno del Pd, ma proprio perché certificano un dato di fatto, sono il sigillo su una crisi che arriva da molto più lontano. Il nodo politico è questo. Dopo che nella sua testa in questi mesi ha ventilato, ipotizzato, programmato e disfatto dieci nuovi partiti, l'ex premier alla fine non ha scelto cosa fare prima delle europee, è rimasto intrappolato a metà del guado. Ma ora che il varco si è richiuso Un'altra strada in vista delle elezioni non c'è più. Renzi vorrebbe scendere di nuovo in campo. Gli spiacerebbe scontarsi, seguire il suo istinto innato di combattente, rigenerarsi in battaglia con un plebiscito, esattamente come fece dopo la sconfitta referendaria. Ma i tempi sono troppo stretti e l'ipotesi è diventata impervia.Restano sentimenti scomposti e conflittuali: il desiderio di un lavacro, un nuovo abbraccio con le masse che un tempo i sorridevano, e la grande solitudine di queste ore. E poi la debolezza. Vuole andare in tv, ma non può sostenere un contraddittorio serio su questa vicenda. Non può rispondere alle domande che gli arriveranno, inevitabilmente dai giornalisti. Ma non era lui che lavorava in quella società? Non era lui amministratore di fatto delle società coinvolte nelle cause di lavoro? Davvero Matteo non sapeva nulla di quello che suo padre e sua madre combinavano nelle aziende di cui lui era l'unico «dirigente» (con tanto di contributi figurativi) a libro paga? Difficile spiegarlo.Ecco perché Renzi ferito nelle viscere non sa se avrà la forza di risollevarsi. Ma i suoi ex compagni sanno che gli rimane quella che può portare a fondo il suo partito.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





