A Strasburgo si vota per scrivere sulle etichette che fa venire il cancro. Per l’Italia (già alle prese con spread, bollette e inflazione) un danno da 5 miliardi se prevale la maggioranza Ursula. Colpiti pure salumi e formaggi.
A Strasburgo si vota per scrivere sulle etichette che fa venire il cancro. Per l’Italia (già alle prese con spread, bollette e inflazione) un danno da 5 miliardi se prevale la maggioranza Ursula. Colpiti pure salumi e formaggi.La faccenda è seria e mette in imbarazzo la fede, cancella millenni di cultura e fa fuori per cominciare 5 miliardi dal nostro fatturato estero. D’accordo che l’Europa balbetta sulla Russia e non si domanda se davvero conviene far guerra alla più vasta nazione cristiana, magari spingendola in braccio alla Cina, ma far dire al parroco: prendete e bevetene tutti aggiungendo «a vostro rischio e pericolo» pare troppo. Eppure oggi a Strasburgo il vino che da circa 8.000 anni conforta e nutre l’uomo, che per i mediterranei è da sempre la bevanda sacra e per noi è un fattore economico imprescindibile potrebbe essere messo al bando dall’Unione europea.Si vota a Strasburgo, l’esito si saprà domani, se il vino è un nemico della salute. Se reggerà la maggioranza Ursula, quella che ha eletto la von der Leyen a presidente della Commissione attivissima nel fare spazio alle multinazionali della nutrizione nel mercato a discapito del nostro agroalimentare, per le nostre bottiglie il verdetto sarà infausto. E si aggiungerà ai guai che già abbiamo: lo spread vicino ai 170 punti base, i vincoli del Pnrr senza che si sia visto un euro investito, il comparto agricolo e agroalimentare in fortissima sofferenza e il manifatturiero in crisi per l’aumento dei costi di materie prime ed energia con un’inflazione che si sta mangiando i redditi e determina un rallentamento di domanda. Sui tavoli europei ci stiamo giocando - limitandoci solo all’ agroalimentare che tra annessi e connessi vale un quarto del Pil - la possibilità di ripresa e dunque di sostenibilità del debito. Se si cancella il vino crolla buona parte del made in Italy e una fetta considerevole di turismo. Ha cominciato l’Oms - piace tanto al ministro della Salute, Roberto Speranza - a dire che l’alcol fa male, ha proseguito la commissione Beca - anticancro - del parlamento di Strasburgo con il suo documento che oggi va in votazione. Nel mezzo ci si è messo Serge Hecberg , l’inventore della famigerata etichetta a semaforo adorata dalle multinazionali della nutrizione, che vuole mettere sul vino (ma anche sulla birra) il bollino dell’infamia; una F in campo nero per dire: tutto quello che contiene alcol non dovete consumarlo. Se il resto della dieta è pieno di pesticidi, di sostanze chimiche di sintesi per Hercberg non fa fatto perché è contrario agli interessi delle big pharma del cibo. All’epidemiologo (sarà un caso?) francese che ha la simpatia anche di Walter Ricciardi, consulente di Roberto Speranza, e strenuo sostenitore del Nutri-score, ha risposto il sottosegretario leghista all’Agricoltura Gian Maro Centinaio: «Vorrei sapere che ne pensa Emmanuel Macron di questa idea di bollare il vino con l’infamia. Ha detto che il vino è parte integrante dell’essere francesi». Staremo a vedere cosa succede oggi a Strasburgo quando va in discussione il Beating cancer plan. C’è scritto che l’alcol è cancerogeno indipendentemente dalle quantità e dallo stile di consumo. Perciò il vino deve essere ipertassato, il consumo non deve essere promosso con i soldi dell’Unione e sulle bottiglie devono comparire etichette dissuasive come quelle delle sigarette. Contro questa idea si sono schierati (quasi) tutti eppure l’Unione italiana vini ha un sospetto: «Il vino non è né di destra né di sinistra e non può essere utilizzato quale elemento divisivo tra opposti raggruppamenti politici». Perché la scelta che si pone domani è: stare con Ursula o stare con l’interesse italiano. Socialisti e Verdi hanno un afflato salutista-ecologista come già dimostrato dal Green deal e dal programma Farm to fork che mette al bando salumi e formaggi e promuove cavallette e carne di coccodrillo. Peraltro già sono state assunte decisioni punitive: il nuovo bando per la promozione dei prodotti agricoli ha fortemente penalizzato vino, salumi e formaggi italiani. Al testo che andrà in aula a Strasburgo hanno presentato emendamenti Herbert Dorfmann e Paolo De Castro (Pd) primi firmatari con altri 150 eurodeputati per chiedere che venga cancellato il riferimento all’ etichette dissuasive e sia affermato che «il consumo moderato e responsabile di vino e bevande alcoliche, in combinazione con diete e stili di vita sani quali la dieta mediterranea, può avere effetti positivi in particolare per quanto riguarda le malattie cardiovascolari». È la stessa linea sposata dal ministro agricolo (M5s) Stefano Patuanelli con la Coldiretti e soprattutto Filiera Italia, rappresentata da Luigi Scordamaglia, che hanno interpellato il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni, quello all’agricoltura Janusz Wojciechowski, gli europarlamentari italiani sostenendo: «È del tutto improprio assimilare l’abuso di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino». In ballo per l’Italia, come stima l’Unione italiana vini, ci sono almeno 5 miliardi di euro all’anno. Senza gli emendamenti al testo il vino subirebbe una contrazione dei consumi di almeno il 30%. Per l’Italia un danno enorme, considerando che siamo il primo Paese produttore e che per noi - dati di fine 2021 - il vino vale vicino ai 15 miliardi, ma con l’indotto si raddoppia, con un export di circa 7 miliardi con il Prosecco che è il più venduto al mondo. Ma forse è proprio questa la ragione che muove il Parlamento europeo. Perché altrimenti è strano che alzando i calici da noi si dica: alla salute. Evidentemente a Strasburgo la pensano diversamente.
Roberto Scarpinato (Imagoeconomica)
La presunta frode elettorale travolse i leghisti. Ma a processo è finito solo un «big» delle preferenze del centrosinistra. Il pm di allora conferma tutto. E va al contrattacco.
L’intervista a questo giornale della pm di Pesaro Anna Gallucci ha scosso il mondo politico e quello giudiziario. La toga ha denunciato il presunto indirizzo «politico» dato alla maxi inchiesta Voto connection della Procura di Termini Imerese, dove la donna lavorava, un’indagine che riguardava voto di scambio (riqualificato dal gip in attentato contro i diritti politici dei cittadini), favoritismi e promesse di lavoro in vista delle elezioni comunali e regionali del 2017. La pm ci ha rivelato che l’allora procuratore Ambrogio Cartosio (che ha definito la ricostruzione della ex collega come «falsa» e «fantasiosa») la avrebbe spronata a far arrestare due esponenti della lista «Noi con Salvini», specificando che «era un’iniziativa condivisa con il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato» e l’avrebbe, invece, invitata a chiedere l’archiviazione per altri soggetti legati al centro-sinistra. Ma la Gallucci non avrebbe obbedito. Un’«insubordinazione» che la donna collega ad alcune sue successive valutazioni negative da parte dei superiori e a una pratica davanti al Csm.
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Performance a tripla cifra per Byd, Lynk&Co e Omoda/Jaecoo grazie agli incentivi.
Byd +535,3%, Lynk&Co +292,3%, Omoda/Jaecoo +386,5%, «altre» +419,2% e fra queste c’è Leapmotor, ovvero il partner cinese di Stellantis che raggiunge l’1,8% della quota di mercato solo a novembre. Lo scorso mese le immatricolazioni auto sono rimaste stabili nei confronti dello stesso periodo di un anno fa, tuttavia c’è stato un +131% circa delle vetture elettriche, grazie agli incentivi che hanno fatto felici i principali produttori di veicoli a batteria: i cinesi. Come emerge appunto dalle performance a tripla cifra messe a segno dai marchi dell’ex celeste impero. La quota di mercato delle auto elettriche è volata così nel mese al 12,2%, rispetto al 5,3% del novembre 2024.
«La spinta degli incentivi ha temporaneamente mitigato l’anomalia del mercato italiano, riavvicinandolo agli standard europei», sottolinea il presidente di Motus-E, Fabio Pressi. «Appurato l’interesse degli italiani per la mobilità elettrica, strumenti di supporto alla domanda programmatici e prevedibili conseguirebbero anche da noi risultati paragonabili a quelli degli altri grandi mercati Ue», osserva ancora Pressi, citando a titolo d’esempio «l’ormai improcrastinabile revisione della fiscalità sulle flotte aziendali».
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
Pure Merz chiede a Bruxelles di cambiare il regolamento che tra un decennio vieterà i motori endotermici: «Settore in condizioni precarie». Stellantis: «Fate presto». Ma lobby green e socialisti europei non arretrano.
Il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che la Germania chiederà alla Commissione europea di modificare il regolamento europeo sul bando dei motori endotermici al 2035. Il dietrofront tedesco sul bando ai motori a combustione interna, storico e tardivo, prende forma in un grigio fine settimana di novembre, con l’accordo raggiunto fra Cdu/Csu e Spd in una riunione notturna della coalizione a Berlino.
I partiti di governo capiscono «quanto sia precaria la situazione nel settore automobilistico», ha detto Merz in una conferenza stampa, annunciando una lettera in questo senso diretta a Ursula von der Leyen. La lettera chiede che, oltre ai veicoli elettrici, dopo il 2035 siano ammessi i veicoli plug-in hybrid, quelli con range extender (auto elettriche con motore a scoppio di riserva che aiuta la batteria) e anche, attenzione, «motori a combustione altamente efficienti», secondo le richieste dei presidenti dei Länder tedeschi. «Il nostro obiettivo dovrebbe essere una regolamentazione della CO2 neutrale dal punto di vista tecnologico, flessibile e realistica», ha scritto Merz nella lettera.
Ansa
Per la sentenza n.167, il «raffreddamento della perequazione non ha carattere tributario». E non c’era bisogno di ribadirlo.
L’aspettavano tutti al varco Giorgia Meloni, con quella sua prima legge finanziaria da premier. E le pensioni, come sempre, erano uno dei terreni più scivolosi. Il 29 dicembre di quel 2022, quando fu approvata la Manovra per il 2023 e fu evitato quell’esercizio provvisorio che molti commentatori davano per certo, fu deciso di evitare in ogni modo un ritorno alla legge Fornero e fra le varie misure di risparmio si decise un meccanismo di raffreddamento della perequazione automatica degli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps. La norma fu impugnata dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna e da una ventina di ex appartenenti alle forze dell’ordine per una presunta violazione della Costituzione. Ma ora una sentenza della Consulta, confermando per altro una giurisprudenza che era già abbastanza costante, ha dato ragione al governo e all’Inps, che si era costituita in giudizio insieme all’Avvocatura generale dello Stato, proprio contro le doglianze del giudice contabile. Già, perché in base alle norme vigenti, non è stato necessaria la deliberazione di un collegio giudicante, ma è bastata la decisione del giudice monocratico della Corte dei Conti emiliana, Marco Catalano, esperto in questioni pensionistiche.






