2019-03-14
L’eterno inquisitore che vede solo colpevoli
Il «dottor sottile» di Mani pulite ha fatto una bellissima carriera: da pm è diventato presidente di sezione penale della Cassazione ed è anche componente del Csm. Ha il vizio un po' zitellesco di compiacersi con frasi acidule, come quella «non esistono innocenti». Stuzzicato dalla primavera, Piercamillo Davigo, ha ripreso a esternare. Nelle ultime settimane, il celebre inquisitore di Mani pulite ha riesumato dal suo antico repertorio alcune frasi preferite. 25 anni fa, coniò il celeberrimo: «Non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte prove». La generalizzazione gli è stata rinfacciata spessissimo e ha nuociuto al suo buon nome, come accade quando si fa di ogni erba un fascio. Più volte, ha rimproverato i cronisti di impiccarlo a un'affermazione fatta in una sola circostanza: «Io parlavo di un processo specifico, quello sulla linea 3 della Metropolitana milanese…». Uno dei tanti di cui fu protagonista nei primi anni Novanta del secolo scorso. Così, i miei colleghi della giudiziaria avevano smesso di punzecchiarlo con quella roba lì. Davigo, nel frattempo, è cresciuto. È passato dai suoi acerbi 40 anni ai 68 di oggi e ha fatto una bellissima carriera. Da pm tra i molti, sia pure stimato, del pool milanese capitanato da Francesco Saverio Borrelli, è diventato presidente di sezione penale della Cassazione ed è anche componente del Csm. Ha perciò compiti delicati nell'universo della giustizia di cui, non solo per fama ma per ruolo, è un simbolo. Anche perché è passato dal mestiere di accusatore a quello più prestigioso, delicato e neutrale, di giudice giudicante. Un presidente di Cassazione incarna la Giustizia. Fate conto di vedere in Piercamillo, anche se maschio, la giunonica Dea bendata che ostende la bilancia e impugna il gladio. E lui, benedett'uomo, che fa? Ci ricade. In un'intervista alla Stampa nei giorni scorsi, al giornalista che gli chiedeva il perché di tante ingiuste detenzioni e conseguenti risarcimenti, Davigo ha risposto irridente: «In buona parte non si tratta di innocenti ma di colpevoli che l'hanno fatta franca». Affermazione che si sovrappone come un lucido al «non esistono innocenti ma solo colpevoli non scoperti» di un quarto di secolo fa. Stavolta, però, non ha scappatoie. La sua è una recidiva, senza scusanti. Non è più un giovincello, né un semplice pm di una Procura agitata come fu quella milanese del pool. Appartiene al Gotha della Giustizia: consigliere di Cassazione, membro del Csm, presidente e fondatore di Autonomia e indipendenza, corrente dell'Anm. Perché nessuno redarguisce Davigo? Sergio Mattarella, che del Csm è presidente, lo inviti per un tè al Quirinale e gli si metta di fronte, torreggiando: «Ora, mi ascolti Davigo. Quando da pm affermò che per lei nessuno è innocente, andando contro la presunzione di legge, quale pensa fosse lo stato d'animo dei suoi indagati? Avevano fiducia nella toga che indossava, cui era attribuito anche il compito di scagionarli in assenza di prove, o la ritenevano piuttosto un cinico che gioca con le loro esistenze come il gatto col topo? E come osa, oggi che è giudice di Cassazione, reiterare lo sproposito “nessun innocente ma solo colpevoli che la fanno franca"? Come crede si senta l'imputato che si aspetta da lei la giustizia che gli è negata? Le centinaia di Enzo Tortora di cui pullulano le patrie galere? Lei, con la sua sfiducia nel prossimo e un pessimismo cosmico da curare con euforizzanti, le consiglio il cioccolato amaro, dovrebbe astenersi dal frequentare gli uomini, altro che deciderne i destini. Non mi guardi così Davigo. Sorseggi pure il suo tè. Profitto per rimproverarle un'altra frase di 2 anni fa: “Ho visto assoluzioni che gridano vendetta, il codice è scritto per farla fare franca ai farabutti". Che fa? Denigra il codice che, come presidente della Cassazione penale, dovrebbe applicare in ogni suo lemma? Con che spirito, dobbiamo pensare, lei si batterà, com'è suo dovere, per applicare le norme che pubblicamente disprezza come produttrici di ingiustizia? Se ritiene che il codice è fatto per i farabutti, lei, che di quel codice è custode, entra in conflitto con sé stesso e ha l'obbligo di trarne le conseguenze. Lo faccia o si scusi». Mattarella esausto, siede e fissa Davigo. Fantasia. Ma quanto meglio se accadesse. Questo per il vizio un po' zitellesco di Piercamillo di compiacersi con frasi acidule. Le dice perfino con ironia, come boutade. Intanto, però, incoraggia i tanti giustizialisti circolanti. A destra, a sinistra e nel mondo grillino dove Davigo ha numerosi fan. Un anno fa, corse voce che i 5 stelle lo volessero addirittura a Palazzo Chigi. Così come nel 1994, si disse che Ignazio La Russa aveva insistito per farlo Guardasigilli del primo governo di Silvio Berlusconi. Davigo è considerato di destra e le falene politiche gli hanno spesso girato attorno. Ma ha sempre rifiutato le avances, ripetendo che preferiva la toga al Palazzo. Non è di quelli che fanno la grancassa con le loro inchieste per finire in tv ed entrare in politica. Altra pasta, insomma, dai Pietro Grasso, Luigi De Magistris e, soprattutto, Totò Di Pietro. Eppure, di Totò fu il migliore amico all'epoca del pool, stimando che dalla sua energia primordiale le inchieste potessero trarre linfa.Nacque un'alleanza tra opposti: Di Pietro fu soprannominato il «troglodita», Davigo il «dottor sottile». Fecero squadra, cooptando il pm Gherardo Colombo. Il trio si divise i compiti: Di Pietro interrogava impaurendo gli imputati con urlacci, l'occhialuto Colombo compulsava le scartoffie, il più tecnico Davigo vergava richieste di carcerazione, rifiuti di scarcerazione, prolungamenti di carcerazione. Talvolta si scambiavano i ruoli. Quando interrogarono il dc, Enzo Carra, Di Pietro si tenne in ombra e Davigo recitò la parte del troglodita, roteando gli occhi e sbattendo a terra un codice, prima di ammanettarlo. Ci vorrebbe un libro per raccontare quante avventure hanno passato insieme e quante polemiche hanno intrecciato con la politica e la stampa sull'uso esagerato della carcerazione preventiva. Quando, tirata troppo la corda, Di Pietro si dimise dalla magistratura (dicembre 1994), Piercamillo scrisse questo generoso epitaffio: «Tu mancherai alla magistratura che, per tuo merito, ha acquistato credibilità e considerazione». Elogio che stride con le magagne di cui Totò ha disseminato la carriera e conferma la distanza di Davigo dal comune sentire. Lombardo del pavese, Piercamillo fu bravo figlio di una famiglia perbene. Il padre era rappresentante, la mamma impiegata. Il più autorevole era il nonno materno, segretario comunale. Ragazzo studioso, prese 2 lauree, in Legge a Genova e in Scienze politiche a Torino. Servì con orgoglio l'esercito da ufficiale e fece anche un richiamo alle armi. Una volta disse: «Ci sono punti in comune tra il magistrato e il militare, l'uno e l'altro sono al servizio dello Stato ed entrambi usano la forza». Ebbe il suo primo lavoro in Confindustria, all'Unione industriale di Torino. Si occupava di relazioni sindacali. «Stavo dalla parte del padrone», ha raccontato, «perciò, quando sento parlare di “toghe rosse", mi viene da sorridere». Una volta, dopo una dura trattativa, apparve sul muro di una fabbrica: «Davigo fascista, sei il primo della lista». Non era vita. Si buttò sui libri, perse qualche diottria, inforcò gli occhiali e vinse il concorso in magistratura. E qui lo lasciamo, avendone concluso il periplo.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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