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2020-05-02
L’estate dopo il Covid può far bene alle barche da diporto
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Un settore dinamico nel quale l'Italia compete per produzione anche con gli Usa (che sono il nostro primo mercato di esportazione con il 24% e quasi 500 milioni di dollari), con un tasso di crescita che nell'autunno scorso, durante il salone di Genova, aveva fatto registrare un promettente +20%. Questo valore, proiettato sul fatturato globale del comparto per il 2020 faceva prevedere il raggiungimento di un giro d'affari di oltre 4,5 miliardi di euro, e ricordando la situazione terribile che si verificò nel 2013, all'indomani della crisi globale e dei disastri fatti dalle governo Monti, che azzerò la domanda interna, l'aumento in pochi anni è stato del 75% (dati Ucina), con i posti di lavoro che sfioravano le 24.000 unità. Le vendite interne appena prima della pandemia erano tornate ad attestarsi attorno all'11% della produzione, valore che ora giocoforza sarà ridimensionato. Peccato, tra produzione di gommoni, scafi rigidi, componenti e accessori, la filiera delle piccole imbarcazioni costituisce il 70% della nautica italiana, offrendo soluzioni che possono andare da poche migliaia di euro (per un gommone a motore sotto i tre metri), fino a oltre 250.000 euro per un cabinato dell'ultima generazione. Ma rimanendo nel segmento dei natanti più piccoli ed economici, se da un lato la possibilità di leasing e di acquisti rateizzati permette di mantenere un buon livello di vendite, è nel mercato dell'usato che si registra il maggior numero di transazioni, con particolare facilità di scambi laddove unitamente al costo della barca si eredita dal proprietario precedente anche l'ormeggio (mediamente sugli 800 euro a stagione o 2500 euro l'anno), e il rimessaggio invernale (da 1.000 a 2.500 euro secondo la regione). Spese fisse alle quali bisogna aggiungere l'assicurazione (a stagione, da 150 a 500 euro), e ovviamente la manutenzione. Con la concentrazione della popolazione con più capacità di spesa nelle città, a frenare i desideri degli aspiranti marinai è la logistica più dell'acquisto.
Facendo confronto con quanto accade in altre nazioni a noi vicine, tipicamente Francia e Slovenia, da noi la nautica ha in generale un costo maggiore (tra il 20% e il 40%), motivato sia dall'estensione delle coste nazionali (7.400 km), sia dall'esclusività di determinati luoghi, siano essi marittimi (Liguria, Sardegna, Campania, ma anche Marche, Puglia-Salento ed Emilia Romagna), siano località rinomate delle acque interne come l'alto Garda o il lago di Como. Qui, per esempio, ormeggiare un gommone di 6 metri comporta una spesa annuale che va dai 300 euro sulle gradinate di Porto Sant'Agostino fino ai circa a 2.000 euro presso il Porto di Marina. Prezzi che calano del 15% circa per il lago Maggiore. Appena al di la del confine francese, presso il porto di Garavan (Mentone), per un natante della stessa lunghezza si spendono circa 150 euro al mese e fino a 6 euro a notte per stazionamenti provvisori (che comprendono però acqua, energia elettrica e WiFi). A contribuire a mantenere alti i prezzi in talune zone italiane è proprio la mancanza di ormeggi, come sul l'alto litorale toscano o in quello romano, dove sono frequenti le liste d'attesa e dove i posti barca vengono venduti e affittati a prezzi da monolocale nel centro storico delle città. Una breve ricerca online mostra che al Lido di Ostia il posto per una barca di 6 metri viene affittato a 115.000 euro l'anno. A San Lorenzo al Mare (Imperia), la richiesta si aggira intorno ai 3.400 euro l'anno. Una boa a Maccagno (lago Maggiore), viene ceduta a 4.000 euro. «L'Italia offre luoghi di grande bellezza che nessuna altra nazione possiede, come avere un appartamento in una città d'arte, dunque i prezzi più alti sono giustificati», spiega Gennaro Amato, presidente di Afina, l'associazione della filiera italiana della nautica, il quale spiega: «Il settore non è mai stato fermo, ha saputo riprendersi da momenti drammatici e creare posti di lavoro qualificati e trainare il Made in Italy».
Secondo l'annuario 2017 redatto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ultimo pubblicazione disponibile), i posti barca italiani in località marine erano 158.548 ai quali bisognava aggiungere i circa 2.500 posti disponibili nei bacini interni. Il numero, che tiene conto di approdo turistico (quindi limitato nel tempo), porto turistico (tipicamente stagionale) e punto di ormeggio (comprese le boe), limita ancora un settore che potrebbe espandersi ulteriormente e portare grande indotto. A parte dove le disponibilità sono tra 3.000 e 1.000 unità (Genova, La Spezia, Napoli, Monfalcone, Salerno, Alghero, Olbia e Palermo), se si pensa alla densità abitativa del nord Italia stride il confronto tra gli 801 posti di Pantelleria contro i 129 di Monopoli o i soli 455 di Alassio. Che cosa resterà della capacità di spesa italiana dopo la pandemia è da vedere, certamente come in altri settori sarebbe opportuno sfruttare questo momento per attuare qualche trasformazione che favorisca lo sviluppo ulteriore della nostra nautica, cominciando proprio dal basso, dal segmento popolare. Si sa, una volta seduti a tavola, l'appetito vien mangiando.
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Tutto fa presagire che le vacanze estive di quest'anno saranno all'insegna dell'italianità, e per gli amanti di mare e laghi la riconquistata libertà si celebra al meglio disponendo di una barca. Non i super yacht che in Italia sappiamo costruire meglio che ogni altra nazione (il 45,9% degli ordini mondiali per barche oltre i 24 metri è nel portafoglio di aziende italiane), bensì la nautica più popolare, quella basata su natanti non immatricolati, ovvero di lunghezza fino a 9,99 metri, la flottiglia che costituisce il 70% del naviglio italiano.Un settore dinamico nel quale l'Italia compete per produzione anche con gli Usa (che sono il nostro primo mercato di esportazione con il 24% e quasi 500 milioni di dollari), con un tasso di crescita che nell'autunno scorso, durante il salone di Genova, aveva fatto registrare un promettente +20%. Questo valore, proiettato sul fatturato globale del comparto per il 2020 faceva prevedere il raggiungimento di un giro d'affari di oltre 4,5 miliardi di euro, e ricordando la situazione terribile che si verificò nel 2013, all'indomani della crisi globale e dei disastri fatti dalle governo Monti, che azzerò la domanda interna, l'aumento in pochi anni è stato del 75% (dati Ucina), con i posti di lavoro che sfioravano le 24.000 unità. Le vendite interne appena prima della pandemia erano tornate ad attestarsi attorno all'11% della produzione, valore che ora giocoforza sarà ridimensionato. Peccato, tra produzione di gommoni, scafi rigidi, componenti e accessori, la filiera delle piccole imbarcazioni costituisce il 70% della nautica italiana, offrendo soluzioni che possono andare da poche migliaia di euro (per un gommone a motore sotto i tre metri), fino a oltre 250.000 euro per un cabinato dell'ultima generazione. Ma rimanendo nel segmento dei natanti più piccoli ed economici, se da un lato la possibilità di leasing e di acquisti rateizzati permette di mantenere un buon livello di vendite, è nel mercato dell'usato che si registra il maggior numero di transazioni, con particolare facilità di scambi laddove unitamente al costo della barca si eredita dal proprietario precedente anche l'ormeggio (mediamente sugli 800 euro a stagione o 2500 euro l'anno), e il rimessaggio invernale (da 1.000 a 2.500 euro secondo la regione). Spese fisse alle quali bisogna aggiungere l'assicurazione (a stagione, da 150 a 500 euro), e ovviamente la manutenzione. Con la concentrazione della popolazione con più capacità di spesa nelle città, a frenare i desideri degli aspiranti marinai è la logistica più dell'acquisto.Facendo confronto con quanto accade in altre nazioni a noi vicine, tipicamente Francia e Slovenia, da noi la nautica ha in generale un costo maggiore (tra il 20% e il 40%), motivato sia dall'estensione delle coste nazionali (7.400 km), sia dall'esclusività di determinati luoghi, siano essi marittimi (Liguria, Sardegna, Campania, ma anche Marche, Puglia-Salento ed Emilia Romagna), siano località rinomate delle acque interne come l'alto Garda o il lago di Como. Qui, per esempio, ormeggiare un gommone di 6 metri comporta una spesa annuale che va dai 300 euro sulle gradinate di Porto Sant'Agostino fino ai circa a 2.000 euro presso il Porto di Marina. Prezzi che calano del 15% circa per il lago Maggiore. Appena al di la del confine francese, presso il porto di Garavan (Mentone), per un natante della stessa lunghezza si spendono circa 150 euro al mese e fino a 6 euro a notte per stazionamenti provvisori (che comprendono però acqua, energia elettrica e WiFi). A contribuire a mantenere alti i prezzi in talune zone italiane è proprio la mancanza di ormeggi, come sul l'alto litorale toscano o in quello romano, dove sono frequenti le liste d'attesa e dove i posti barca vengono venduti e affittati a prezzi da monolocale nel centro storico delle città. Una breve ricerca online mostra che al Lido di Ostia il posto per una barca di 6 metri viene affittato a 115.000 euro l'anno. A San Lorenzo al Mare (Imperia), la richiesta si aggira intorno ai 3.400 euro l'anno. Una boa a Maccagno (lago Maggiore), viene ceduta a 4.000 euro. «L'Italia offre luoghi di grande bellezza che nessuna altra nazione possiede, come avere un appartamento in una città d'arte, dunque i prezzi più alti sono giustificati», spiega Gennaro Amato, presidente di Afina, l'associazione della filiera italiana della nautica, il quale spiega: «Il settore non è mai stato fermo, ha saputo riprendersi da momenti drammatici e creare posti di lavoro qualificati e trainare il Made in Italy».Secondo l'annuario 2017 redatto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ultimo pubblicazione disponibile), i posti barca italiani in località marine erano 158.548 ai quali bisognava aggiungere i circa 2.500 posti disponibili nei bacini interni. Il numero, che tiene conto di approdo turistico (quindi limitato nel tempo), porto turistico (tipicamente stagionale) e punto di ormeggio (comprese le boe), limita ancora un settore che potrebbe espandersi ulteriormente e portare grande indotto. A parte dove le disponibilità sono tra 3.000 e 1.000 unità (Genova, La Spezia, Napoli, Monfalcone, Salerno, Alghero, Olbia e Palermo), se si pensa alla densità abitativa del nord Italia stride il confronto tra gli 801 posti di Pantelleria contro i 129 di Monopoli o i soli 455 di Alassio. Che cosa resterà della capacità di spesa italiana dopo la pandemia è da vedere, certamente come in altri settori sarebbe opportuno sfruttare questo momento per attuare qualche trasformazione che favorisca lo sviluppo ulteriore della nostra nautica, cominciando proprio dal basso, dal segmento popolare. Si sa, una volta seduti a tavola, l'appetito vien mangiando.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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