2025-03-28
Lepore ci gira intorno per non dire che la sua piazza la pagano i cittadini
Il sindaco dem di Bologna, Matteo Lepore (Ansa)
Il sindaco di Bologna continua a glissare sui fondi per l’evento pro Ue e intanto dichiara: «Manifestazione non legata ai partiti, può partecipare pure il centrodestra». Il quale, invece, minaccia di fare una denuncia.Chi sborsa? Sarà mica che, per Matteo Lepore, se il Serra Pride di Bologna non si trasforma in una manifestazione di partito, allora si può pagarlo con i soldi dei contribuenti?Ieri, sentito da Giornale Radio, il sindaco ci ha tenuto a ribadire che la piazza del 6 aprile - già spostata di un giorno per non pestarsi i piedi con la protesta dei 5 stelle, a Roma, contro il riarmo - non sarà proprietà privata del Pd: «Sarà una manifestazione per un’Europa unita», ha garantito. «Non siamo contro nessuno, neppure dopo le parole di Meloni sul manifesto di Ventotene. Non sarà una piazza di partito, motivo per cui invitiamo anche il centrodestra a partecipare». Ma il centrodestra, da quando è venuto fuori lo scandalo dei soldi capitolini con cui è stata spesata l’iniziativa di Repubblica, non fa altro che chiedergli chiarezza: il capogruppo della Lega bolognese, Matteo Di Benedetto, ha promosso un’interrogazione al sindaco per sapere «se intende utilizzare risorse pubbliche per organizzare manifestazioni politiche di parte». L’astuta replica di Lepore alimenta i sospetti: egli glissa sulla provenienza dei fondi, mentre giura che la natura dell’evento non sarà partitica. E quindi? Paga Pantalone? Sì: ufficialmente, i partiti di sinistra resteranno fuori dai giochi. Non si ripeterà lo svarione della Capitale, dove il capolavoro di Roberto Gualtieri (350.000 euro per l’adunata di Repubblica) è finito sotto l’esame di Corte dei conti e Procura. Dopodiché, nessuno è così ingenuo da abboccare ai tentativi di dissimulazione: ad affiancare l’esponente dem ci sarà Sara Funaro, la sua collega di Firenze. «Abbiamo deciso di promuovere insieme l’iniziativa», aveva spiegato Lepore, «perché da sempre le nostre città hanno una vocazione alla pace e alla democrazia». Molto bello. Allora? Chi salderà il conto? La campagna progressista, truccata da gesto di civismo degli amministratori, finirà anche sul groppone di chi non è d’accordo con lo spirito dei dimostranti? Ai cittadini toccherà liquidare la psicanalisi collettiva della sinistra schizoide, per un pezzo a favore della svolta bellicista dell’Ue e per un altro pezzo, dalla Cgil ad Avs, ostile al piano di Ursula von der Leyen? «Seppur con tante contraddizioni», ha proclamato il sindaco di Bologna, «noi vogliamo un’Europa unita che metta al primo posto il lavoro e non le armi. Indosseremo la fascia tricolore, perché pensiamo che i sindaci siano gli europeisti più convinti». Il nodo vero, in realtà, non è se per strada compariranno o meno bandiere del Partito democratico. Se di mezzo ci sono contributi pubblici, l’obiezione più immediata è che bisognerebbe sancirne lo stanziamento tramite un atto amministrativo. E magari, dietro l’autorizzazione dei rappresentanti eletti. Lepore l’ha detto, no? Bologna e Firenze hanno una speciale «vocazione alla democrazia». Ce la mostrino. A Roma, appunto, gli esposti nei confronti del Campidoglio sono finiti subito al vaglio della Corte dei conti. Le carte mostrate dalla Verità provavano che i 349.942,15 euro messi da Gualtieri per palco, impianto audio, diritti d’autore, rimborsi ai Vip, trasporti, vitto e alloggio a 4 stelle di Claudio Bisio non erano passati manco da una delibera. I collaboratori dell’ex ministro dell’Economia assicurano che «è tutto regolare e rientra nelle prerogative dell’amministrazione». Fatto sta che, dopo l’intervento del capogruppo azzurro in Senato, Maurizio Gasparri, adesso ha aperto un fascicolo pure la magistratura, benché senza indagati e senza ipotesi di reato. Il numero uno del Carroccio all’Assemblea capitolina, Fabrizio Santori, ieri ha auspicato che «si approfondiscano i numerosi aspetti oscuri legati a questa vicenda. Per questo ho depositato un dettagliato esposto integrativo che evidenzia, tra i punti chiave, il possibile favoritismo verso un gruppo editoriale privato», cioè Gedi, che pubblica il quotidiano di Michele Serra; «il mancato passaggio in Giunta e Assemblea capitolina; la duplicazione sospetta degli appalti e il frazionamento delle spese e l’assenza del logo del Comune in un evento interamente pagato dai cittadini». Per quanto riguarda Bologna, pendono le minacce simili del consigliere Di Benedetto: «Non un euro dei contribuenti sia speso per finanziare piazze politiche, o saremo costretti a procedere con un esposto alla Corte dei conti».L’esibizione dei sindaci ricolmi di coscienza civile può essere forse apartitica, ma mai apolitica. Ha un chiaro orientamento ideologico, a dispetto dell’universalismo di Lepore. «Ha trovato il tempo di lanciare l’appello per riempire la piazza», l’ha incalzato ieri il leghista Di Benedetto, «ma non quello di rispondere alle nostre domande e alle nostre interrogazioni ufficiali. Si presenti domani (oggi, ndr) al question time».Insomma, Lepore svicola, però l’antifona si intuisce: il sottinteso pare essere che lui e compagni si stanno prodigando per una causa elevata, per cui non c’è problema se dovrà sobbarcarsene l’onere l’intera comunità. È il prezzo che la sinistra esige per la sua superiorità morale. Una scusa vecchia che non regge più.
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