2025-05-20
«Ho immortalato Warhol grazie a una bugia»
Andy Warhol immortalato nel 1987 da Leonardo Cendamo, nel riquadro (Leonardo Cendamo/Getty Images)
Il fotografo Leonardo Cendamo: «Inventai che mi servivano degli scatti per la copertina di una rivista e lui, in buona fede, scese dalla camera d’hotel. Per me hanno posato attori, registi, ma soprattutto scrittori, di cui ho l’archivio più importante al mondo. E i miei ritratti di Craxi...»Leonardo Cendamo è un vulcano di ricordi di una vita passata con la macchina fotografica a immortalare la Storia che passava sui volti delle persone. E che persone! Modelle, scrittori, attori, registi, politici, nella «Milano da bere» che aveva raggiunto fortunosamente dalla sua Puglia. Come in un film, vita e imprese di un fotografo.Lei è stato un emigrante…«Sono nato in Puglia, a San Nicandro Garganico. Quando avevo un anno, i miei genitori si sono trasferiti a Foggia e ho vissuto lì per tutta l’infanzia e adolescenza. I miei amici studiavano tutti, mentre io dall’età di 12 anni facevo il commesso in un negozio di tessuti e con Renzo Arbore facevamo a gara a chi si vestiva meglio. A 22-23 anni mi sono detto: “Devo andare via, qui per me non c’è nulla da fare”. Ho chiamato un mio amico che studiava alla Bocconi di Milano: “Ignazio, vorrei venire a Milano, c’è possibilità che tu mi ospiti?”. Aveva un appartamento a Milano perché era ricco di famiglia». A Milano com’è andata?«Appena arrivato, ho chiesto a Ignazio: “Io devo lavorare, cosa devo fare?”. “Vai al Corriere della Sera e fai un’inserzione”. Sono andato a via Solferino e con i soldi che mi ero portato dalla Puglia - ero partito con 12.000 lire in tasca - ho fatto un’inserzione, presentandomi come un commesso meridionale con delle nozioni sia in inglese che in francese. Non era vero!».Qualcuno ha risposto?«La mattina alle otto mi ha chiamato il commendatore Miani, che aveva tre negozi di tessuti in via Montenapoleone, in galleria Vittorio Emanuele II e in via Manzoni. Mi sono presentato in via Manzoni 40 nel negozio che si chiamava Larus. Era il negozio più importante della città. Il proprietario nel breve periodo in cui sono stato là ha organizzato una festa perché aveva raggiunto un miliardo di lire! Ero molto elegante perché, lavorando lì, avevo diversi vestiti e i milanesi credevano che fossi un ricco. Invece morivo di fame».Perché è rimasto poco nel negozio di via Manzoni?«È una storia incredibile! Dopo un paio di mesi il capo commesso, vedendo che ero un bel ragazzo, educato, mi voleva presentare sua figlia per farmela sposare. La domenica mi invitava a pranzo e io, accampando delle scuse, non ci andavo. Mi scocciava questa sua insistenza. È stata la mia fortuna perché me ne sono andato e ho cominciato a frequentare il quartiere Brera e il bar Jamaica». Al bar Jamaica c’erano fotografi e artisti...«E lì ho conosciuto Paolo Poli. Mi ha detto: “Ma perché non fai il fotomodello?”. “Come faccio a fare il fotomodello?”. “Non ti preoccupare, ti mando io da una fotografa e poi lei ti dice cosa devi fare”. Mi ha aiutato, dandomi addirittura i soldi per mangiare. Sono andata da questa fotografa e indovina chi era? Carla Cerati, la fotografa più importante di Milano. Mi ha fatto delle belle foto e mi ha dato dei contatti per lavorare nella pubblicità, per i Carosello. Così riuscivo a campare».E poi?«Un giorno stavo indossando dei vestiti per delle pose e il fotografo diceva: “Leonardo, quando ti dico di sorridere, mi sorridi, quando ti dico di girarti, ti giri”. A un certo punto mi è venuto un momento di genialità: è più bello stare da quella parte! Lo stesso giorno sono andato nella mia agenzia e ho chiesto se ci fosse una scuola di fotografia a Milano. Mi hanno indicato la Società Umanitaria, che esiste ancora. Avevo giusto i soldi per il biennio, 120.000 lire. Ho imparato subito».Poi ha avuto un grande maestro... «Quando ho finito la scuola di fotografia, volevo entrare per bene nell’ambiente e allora non potevo andare da un asino, dovevo andare da un professionista vero. Chi era il più bravo fotografo nella piazza di Milano? Franco Scheichenbauer, conosciuto come il fotografo che allungava e distorceva le foto. Io già collaboravo con la più importante agenzia di fotomodelle e ho chiesto al titolare, Athos Contarini: “Athos, dove va a mangiare Franco Scheichenbauer?”. “A Brera al ristorante Fiori Chiari”. “Facciamo una cosa: io ti pago il pranzo e tu me lo presenti”, perché Scheichenbauer prendeva le fotomodelle da lui».Com’è andata?«Appena me lo presenta, sono partito: “Senti, Franco, mi piacerebbe venire a fare il tuo assistente perché sei un bravo fotografo e sei una persona eccezionale, però non voglio soldi”. “Va bene, domani mattina vieni in studio, in via Bellini 11”. Franco aveva già un assistente, ma non era capace. Dopo una settimana facevo tutto io e l’altro se ne è andato. Alla fine del mese Franco mi ha detto: “Leonardo, questi sono 100.000 lire e te li meriti”. Poi da 100.000 lire è salito a 150.000 lire...».Ha impiegato mesi per poter vedere come sviluppava... «Per sei mesi non mi ha fatto entrare in camera oscura. Lui lavorava di notte, dopo aver finito di cenare. Non voleva svelare i suoi segreti agli altri. Devo ringraziare anche un altro fotografo, Mario Santana. All’inizio del 1970 ero da Franco, anche se non lavoravo più da lui, ma andavo a pranzo a casa sua, e ha telefonato questo Mario Santana: “Vieni che ti devo fare vedere una cosa”. Sono andato nel suo studio in viale Luigi Majno e io gli ho fatto i complimenti. Mi ha firmato un assegno di 10 milioni di lire: “Questi sono i soldi, apriti lo studio e comprati le macchine fotografiche”. Con quei soldi mi sono comprato anche una Due Cavalli. Un po’ alla volta glieli ho restituiti. È stata una persona fondamentale per me».Si è specializzato nei ritratti, come la bellissima foto a Eleonora Giorgi, che il Corriere della Sera ha pubblicato in prima pagina per ricordarla dopo la morte.«L’ho scattata alla Mostra del cinema di Venezia. C’eravamo conosciuti a Roma perché frequentava dei miei amici che vivevano a Villa Miani. Era una ragazza molto libera mentalmente. Dal 1982 ho cominciato ad andare a Venezia per l’agenzia Grazia Neri e ho fotografato tutti i grandi registi e attori dell’epoca. Poi ho capito che era più interessante immortalare gli scrittori».Perché?«Sono più intelligenti».Come ha cominciato a fotografarli?«Krizia invitava grandi scrittori per alcune presentazioni. Grazia Neri mi ha chiesto di andare lì ed è scattata la scintilla». Il primo che ha fotografato chi è stato? «Antonio Tabucchi. Poi Umberto Eco, Alberto Moravia, Arthur Miller, Gabriel García Márquez. Il mio archivio ora è gestito dall’agenzia più importante del mondo, Getty Images». Quali sono le foto che vendono di più? «Una foto ad Andy Warhol è molto quotata. Sono andato a fotografarlo all’hotel Principe di Savoia Milano. Sapevo che Warhol era lì ospite, allora sono andato in albergo e, non parlando bene l’inglese, mi sono detto: “Come cavolo faccio a farlo scendere?”. È arrivato un avvocato che conoscevo bene: “Mi devi fare una cortesia: questo è il numero della camera di Andy Warhol, lo chiami e gli dici che c’è il fotografo dell’Espresso per la foto di copertina”. Dopo tre minuti Andy Warhol è sceso e mi ha concesso due foto. Non era vero niente! La foto che vendo di più l’ho scattata durante un reportage, con lui di spalle, la famosa capoccia bianca e la folla attorno».Un’altra follia? «Sono stato tre volte-quattro volte in America per fotografare Philip Roth, ma non ci non sono mai riuscito. Mi è rimasto sulla gola, però pazienza, ho l’archivio più importante del mondo sugli scrittori».Andrea Camilleri invece? «Ho una bellissima storia su Camilleri. Io conoscevo benissimo il suo editore, Enzo Sellerio. Un giorno, al Salone del Libro a Torino, Enzo mi ha detto: “Leonardo, dovresti fotografare questo scrittore che si chiama Andrea Camilleri”. Non era ancora famoso. “Va bene, dammi il numero telefonico che poi lo chiamo”. Non l’ho mai chiamato. Dopo un po’ ho visto i suoi romanzi ovunque e mi sono detto: “Che schifezza che ho fatto!”. Allora ho richiamato Enzo e gli ho detto che avevo perso il numero di telefono. Lui mi ha detto: “Chiamalo entro le 8 del mattino, sennò non ti risponde più”. Ci siamo sentiti e così ho delle bellissime foto di Camilleri a casa sua». Parallelamente alla sua attività artistica, ha seguito anche il mondo politico.«Nel 1982 sono stato chiamato dal Partito Socialista come fotografo di Bettino Craxi e l’ho fatto per 11 anni. A Roma c’era Umberto Cicconi, invece al Nord ero io il fotografo ufficiale del partito».Come ha cominciato?«Casualmente. Bruno Pellegrino, segretario generale del Club Turati, mi ha presentato a Paolo Pillitteri: “Fagli delle belle foto perché a lui piace essere fotografato”. Per fortuna la televisione aveva messo una luce bellissima al Club Turati. Sono tornato a casa, ho sviluppato le foto e la mattina dopo ho chiamato la sezione del partito a Milano per parlare con Pillitteri. Invece mi ha risposto la sua segretaria. Mi ricordo ancora il nome: la signora Lina. Non solo ho portato le foto, ma anche il mio album di fotografie. Pillitteri, rimasto molto colpito, ha comprato le foto e mi ha detto: “Ok, allora lavorerai con noi”». Poi da Pillitteri è passato a Craxi.«Dopo un paio di mesi la segretaria di Pillitteri mi ha detto: “Tra una settimana Bettino Craxi inaugura la campagna elettorale a Quarto, vicino a Genova. Signor Leonardo, vai e fai delle foto a Bettino”. “Non è che Paolo si offende?”. “No, no, non ti preoccupare, vai”. Anche queste foto sono piaciute, però per fortuna ho continuato a seguire la Mostra del Cinema di Venezia e ho iniziato a fotografare gli scrittori. Avevo degli amici che ogni tanto mi dicevano: “Leonardo, stai attento al Partito Socialista”. “Perché?”. “Non si sa mai”».L’ha mai vista la figlia del capo commesso?«No, mi è rimasto un dubbio sulla sua bellezza, ma il destino ti aiuta nella vita, se agisci in modo straordinario. Da quel rifiuto di vederla la mia vita è cambiata».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)