L’elettrico affossa la Ford: per ogni auto venduta ha perso 132.000 dollari
Allarme rosso, anzi elettrico, in casa Ford. L’unità di veicoli elettrici del colosso automobilistico americano ha dichiarato che le perdite nel primo trimestre sono salite a 1,3 miliardi di dollari, ovvero 132.000 dollari per ciascuno dei 10.000 veicoli venduti nei primi tre mesi dell’anno, contribuendo a trascinare al ribasso gli utili dell’azienda nel suo complesso. Ford, come la maggior parte dei concorrenti, ha annunciato l’intenzione di passare dai veicoli tradizionali a gas ai veicoli elettrici nei prossimi anni. Ma è l’unica casa automobilistica tradizionale a rendere noti i risultati delle vendite del segmento dei veicoli elettrici (ModelE) che nel trimestre ha fatto registrare un altro -20% rispetto all’anno precedente.
Secondo Ford, le perdite vanno ben oltre i costi di costruzione e vendita di quelle 10.000 auto. Le perdite includono invece centinaia di milioni spesi per la ricerca e lo sviluppo della prossima generazione di veicoli elettrici per il gruppo. Si tratta di investimenti che non potranno essere ammortizzati per anni. L’azienda ha dichiarato che è sua «intenzione» far sì che i prezzi dei veicoli elettrici coprano i costi effettivi di costruzione di ciascun veicolo, anziché coprire tutti i costi di ricerca e sviluppo, entro i prossimi 12 mesi. Ma la guerra dei prezzi tra i veicoli elettrici in corso da circa un anno e mezzo ha reso molto difficile anche questa misura, ha sottolineato John Lawler, direttore finanziario di Ford. Aggiungendo che «le entrate stanno diminuendo più velocemente di quanto riusciamo a eliminare i costi».
La divisione ModelE non gestisce tutte le vendite di veicoli elettrici dell’azienda. Alcuni vengono venduti anche nella sua unità Ford Pro, che si occupa delle vendite di flotte alle aziende e agli enti pubblici. Ford ha dichiarato di avere forti richieste di vendita di veicoli elettrici in quell’unità, tra cui un ordine per 9.250 furgoni E-Transit da parte del servizio postale degli Stati Uniti, che saranno consegnati fino alla fine di quest’anno, e un ordine per più di 1.000 dei suoi pickup F-150 Lightning e SUV Mustang Mach-E da parte di Ecolab, una società di sostenibilità globale. Basteranno al colosso Usa per far diventare l’elettrico redditizio in futuro? Vedremo.
Intanto, le notizie che arrivano dagli States si aggiungono a quelle date qualche settimana fa dai costruttori dell’Acea in Europa dove il mercato delle auto nel mese di marzo ha frenato dappertutto ma con un dettaglio sostanziale: le ibride accelerano, le elettriche finiscono in panne. E questo ci porta a fare una riflessione sull’Italia. Perché la strategia del gruppo Stellantis sembra essere tesa a rifilare al nostro Paese i modelli elettrici e spingere sull’ibrido oltreconfine. A proposito di Stellantis, nata dalla fusione tra Fca (la ex Fiat) e Psa (la ex Peugeot), ci si chiede cosa avrebbe fatto Sergio Marchionne – scomparso nel luglio 2018 – in un mercato dove le politiche green hanno imposto l’elettrico senza prevedere le conseguenze di questo passo sui produttori. Come dimostra anche la raccomandazione della Corte dei Conti europea sul ritardo dell’industria europea delle batterie rispetto ai concorrenti asiatici che rischia di non far raggiungere i target al 2035 fissati da Bruxelles in termini di utilizzo di auto elettriche. Lo stesso Marchionne aveva molte perplessità sull’elettrico. Alla fine di maggio del 2014, durante una conferenza a Washington, aveva sorpreso molti dei presenti con questa dichiarazione: «Spero che non compriate la 500 elettrica, perché ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari. Sono abbastanza onesto da ammetterlo». Insomma, Marchionne era già convinto che produrre auto elettriche fosse antieconomico. Secondo il Marchionne dell’epoca, tutte le Case (ad eccezione della Tesla) vendevano le elettriche in perdita. In California, Fiat-Chrysler era costretta a commercializzare la versione elettrica della 500 - che vendeva lì e solo lì, e soltanto perché non poteva farne a meno - ad un prezzo inferiore al costo di produzione. Perché? Le leggi locali imponevano a tutti i costruttori che una certa percentuale delle loro vendite fosse composta da veicoli «zero emissioni allo scarico», pena la revoca della licenza di vendita nello Stato. E la California è uno Stato importante, che conta per circa un decimo dell’intero mercato statunitense. Per rispettare la legge, quindi, la Fiat non solo doveva avere a listino un modello elettrico, ma anche riuscire a piazzarlo a un prezzo competitivo, a costo di rimetterci del denaro: la 500e in quel momento era in vendita 32.300 dollari, ma grazie a sconti vari e incentivi il prezzo si era abbassato a 19.300 dollari, appena 2.000 in più rispetto alla versione a benzina. «Se vendessimo solo elettriche», aveva aggiunto Marchionne nel 2014, «dovrei tornare a Washington a chiedere un prestito: saremmo in bancarotta».
Nel frattempo, ieri è stato diffuso un nuovo rapporto dell’Associazione europea dei produttori di automobili (Acea) che rivela un divario allarmante tra l’attuale disponibilità di punti di ricarica pubblici per auto elettriche nell’Ue e ciò che sarà effettivamente necessario per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 del continente. Tra il 2017 e il 2023, le vendite di auto elettriche nell’Ue sono cresciute tre volte più velocemente rispetto all’installazione di punti di ricarica, secondo il rapporto di Acea. Guardando al futuro, secondo le stime dell’Acea, l’Ue avrà bisogno di otto volte più punti di ricarica ogni anno entro il 2030.

































