2020-06-11
Legnini piazzò il procuratore a Chieti scatenando l’ira delle altre toghe
Nei dialoghi tra Luca Palamara e Valerio Fracassi emerge il peso dell'ex capo del Csm. Che nella sua città natale riuscì a portare Francesco Testa e a scegliere anche il presidente del tribunale, Guido Campli. I colleghi: «Non hanno i requisiti».«Giovanni chi vuole?». La domanda compare sullo smartphone di Luca Palamara il 13 luglio 2018. A scrivere è Valerio Fracassi, suo compagno al Csm in quota Area, la corrente di sinistra delle toghe. La consiliatura è quasi agli sgoccioli, e si stanno chiudendo le ultime partite per le nomine. Fracassi s'informa con il boss di Unicost sulle indicazioni provenienti da Giovanni Legnini, appunto, per il posto di presidente del tribunale nella città in cui quest'ultimo è nato, Chieti. A quell'epoca Legnini è il vicepresidente del Csm. E Palamara ha tutto l'interesse a evitare possibili conflitti. Tant'è che scrive per primo al collega: «Ma su Chieti perché vuoi creare problemi a Gio Gio (soprannome di Legnini, ndr)?». Fracassi non coglie immediatamente e risponde con un punto interrogativo. Palamara spiega: «Hai presente la Pavese (Giulia Pavese, oggi presidente della Corte di assise del tribunale di Trani, ndr)??!!... la vuole proporre a Chieti Antonello... (probabilmente si tratta di Antonello Ardituro, pm napoletano e consigliere del Csm di Area, ndr)». A questo punto, Fracassi ribatte: «La Pavese è un'impuntatura di Ercole (il consigliere del Csm Ercole Aprile, ndr)... a perdere». E aggiunge: «Giovanni chi vuole?». La risposta del capocorrente Unicost è immediata: «Guido Campli... è anche amico mio personale». Fracassi termina la discussione: «Avevo chiesto informazioni amica di Giovanni e non era tra le scelte preferite. Vediamo che posso fare».Campli otterrà l'incarico dopo due settimane, il 27 luglio 2018, e si insedierà a novembre dello stesso anno. Da una seconda chat, allegata all'inchiesta di Perugia in cui è coinvolto Palamara per una presunta corruzione, scopriamo però il pressing che Rossella Calia Di Pinto, oggi presidente di sezione del tribunale di Bari, fece su Palamara per conto proprio di Giulia Pavese. Un pressing che inizia il 27 ottobre 2017 con questo messaggio: «Ciao Luca, quando potresti incontrare al Csm Giulia Pavese di Trani di cui ti ho parlato a Siena e che aspira al posto di presidente tribunale Chieti o Pisa? Per impegni di udienza lei potrebbe venire il lunedì. Mi fai sapere? Grazie. Rossella». E che prosegue anche nei giorni successivi: 3 novembre («Ciao, Luca, ti ricordi di farmi sapere quando puoi ricevere Giulia Pavese? Mi ha detto che a Pisa il terzo ha revocato e sono rimaste solo due domande, la sua e mi pare quella di Monteleone») e l'8 novembre («Ciao Luca, ti sarebbe possibile incontrare la Pavese lunedì 13? Lei verrà al Csm quel giorno perché ha appuntamento con Legnini nel pomeriggio. Mi fai sapere? Grazie e buona serata»). Il 18 luglio 2018, cinque giorni dopo lo scambio tra Palamara e Fracassi, la Calio Di Pinto si rifà viva e chiede al primo: «Ciao Luca, quando puoi mi chiami? Vorrei chiederti se ci sono novità per la nomina del presidente di Chieti al cui posto concorre Giulia Pavese di Trani di cui ti ho già parlato. Un abbraccio». Il pm sott'inchiesta in terra umbra le risponde il giorno dopo: «Rossella scusami ma oggi giornata convulsa il problema è che su Chieti si sta raggiungendo in commissione una convergenza sul nome di Guido Campli, il che crea problemi sul nome di Giulia Paese (probabilmente Pavese, ndr) fortemente portata da Area e da Aprile (Ercole Aprile, ndr) provo a chiamarti domattina prima del voto un abbraccio... Guido Campli è nostro e voluto dal territorio». Oltre che da Legnini, verrebbe da aggiungere. La spiegazione non convince la giudice che ribatte: «Sì, ma non ha i requisiti che ha Giulia che è in forte rottura con Area e con Fracassi. Sarebbe ancora una volta un'ingiustizia a scapito di una valorosa collega più volte sacrificata, da anni presidente di sezione, che è stata reggente del tribunale di Trani e che ha intenzione di fare ricorso al Tar in caso di soccombenza».Polemiche sui requisiti c'erano state anche in occasione della investitura di Francesco Testa a procuratore di Chieti, avvenuta un anno prima. In quel caso, addirittura, in pubblico con la sottoscrizione, a opera di quattro sostituti procuratori, di una lettera aperta al Csm per chiedere di rivedere la scelta. I pm firmatari dell'appello (Lucia Campo, Maria Domenica Ponziani, Giuseppe Falasca, Giancarlo Ciani) sottolineavano alcune anomalie procedurali che riguardavano tanto il merito quanto la legittimità della valutazione. Non solo perché Testa, entrato in magistratura nel 1997, all'epoca aveva una «anzianità che nel nostro ufficio, allo stato, non gli avrebbe consentito di ricoprire nemmeno il ruolo di procuratore della Repubblica facente funzioni (posto che tre dei quattro sostituti in organico sono ben più anziani del collega proposto)», ma soprattutto perché il Csm, di cui era sempre vicepresidente il chietino Legnini, non aveva preso in considerazione le «candidature di... colleghi che vantano una consolidata esperienza, anche di dirigenza, oltre che di conoscenza del territorio». Testa, peraltro, era stato fuori ruolo per quattro anni perché impegnato prima presso il ministero della Giustizia e poi all'Onu a Vienna, ed era stato indicato in precedenza come procuratore aggiunto a Genova dove, però, era stato revocato per lo stesso genere di contestazioni mosse dai magistrati teatini. Circostanza questa che spinse il pm di Pescara, Gennaro Varone, anch'egli candidato per la Procura di Chieti, a scrivere al Csm esprimendo forti perplessità sulla nomina e chiedendo «l'audizione personale dei candidati» con più anni di anzianità al fine di offrire ai consiglieri la possibilità di ascoltare le loro proposte organizzative, e di ricredersi su Testa. Richiesta rimasta senza seguito.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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