Con 20 Paesi a favore e 7 contrari, i ministri europei dell’Ambiente danno il via libera alla norma che impone altri limiti alle coltivazioni. I piccoli ritocchi non bastano a convincere Gilberto Pichetto Fratin. Sarà decisivo il voto del Ppe il 27 in Commissione.
Con 20 Paesi a favore e 7 contrari, i ministri europei dell’Ambiente danno il via libera alla norma che impone altri limiti alle coltivazioni. I piccoli ritocchi non bastano a convincere Gilberto Pichetto Fratin. Sarà decisivo il voto del Ppe il 27 in Commissione.Piccole modifiche, qualche emendamento e deroga in più. Viene licenziata così la nuova proposta di testo sulla Nature restoration law, ieri, dopo il vertice dei ministri dell’Ambiente europei. L’Italia vota no, non cede di un millimetro. Obiettivo: salvaguardare il territorio e attività produttive. La proposta passa con 20 voti a favore e 7 non a favore (due astenuti e cinque contrari). Oltre all’Italia, in questo drappello di sfavorevoli ci sono Paesi Bassi, Austria, Belgio, Polonia, Finlandia e Svezia.Come già spiegato ieri dalla Verità, il nuovo testo apporta alcune modifiche (anche grazie al contributo italiano) che senz’altro mitigano i contenuti della proposta iniziale, ma che non bastano a garantire l’applicabilità della legge. Lo ha spiegato lo stesso ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin: «L’Italia ritiene che il regolamento sul ripristino della natura sia uno strumento importante per arrestare la perdita di biodiversità e contribuire ad affrontare il cambiamento climatico e il suo impatto sulla società e sull’economia. Per questo ci siamo impegnati nel negoziato per definire uno strumento normativo che, nel rispetto dell’ambizione e della portata innovatrice del regolamento, possa essere efficace ed attuabile, garantendo la necessaria flessibilità agli Stati membri. Vi sono state introdotte alcune modifiche che riteniamo migliorative e che sono state inserite anche con il nostro sostegno, sul principio di non deterioramento, sull’approccio graduale nella elaborazione del Piani nazionali, sulla questione delle lacune di conoscenza. Ma il testo, com’è adesso, non fornisce le necessarie garanzie di efficacia e applicabilità», ha aggiunto.«Come ha detto il vicepresidente Frans Timmermans, abbiamo di fronte uno strumento legislativo “cruciale”. Proprio per questo, non possiamo permetterci che questo strumento non sia applicabile ed efficace e che non sia sostenibile da tutte categorie interessate, come per i settori dell’agricoltura e della pesca. Ad esempio, in materia di deroghe sulle energie rinnovabili, ma anche riguardo agli obiettivi quantitativi di ripopolamento dell’avifauna, quanto previsto dal testo continua a non essere soddisfacente».I nodi da sciogliere, per l’Italia, sono diversi. Prima di tutto, chiarito che l’obiettivo del ripristino della natura sia un obiettivo comune e condiviso, resta però da capire in che modo deve essere perseguito. I target della Commissione sono ritenuti dall’Italia molto ambiziosi e fortemente ideologizzati. Sostanzialmente, c’è la totale assenza di un approccio pragmatico alla questione. Per fare un esempio, il nostro territorio ha dei grossissimi problemi di dissesto idrogeologico e non si può prescindere da questo per il piano di ripristino della natura.Ne pagherebbero le conseguenze gli stessi cittadini, a volte, come già successo, anche con la vita in caso di forti alluvioni. Questo problema nei Paesi del Nord, invece, non esiste affatto ed è normale che, al contrario, non se ne tenga conto. Ogni Stato membro ha le sue specificità, questione che l’Unione europea troppo spesso dimentica. La posizione dell’Italia, quindi, è quella di chiedere che sia data più libertà sui metodi da perseguire per raggiungere questo obiettivo comune.Rimangono i due temi parzialmente affrontati nel nuovo testo come l’incompatibilità del regolamento con gli obiettivi energetici e quello del tema dei fondi. La Nature restoration law, infatti, rischia di scontrarsi con i piani d’investimento per la creazione di impianti di energia rinnovabile, come le pale eoliche in mare o gli impianti idroelettrici nei fiumi. Nel testo è stata introdotta una deroga che consente ai governi di stabilire se questi progetti si presumono di interesse pubblico prevalente.Sul piano dei fondi, il Consiglio ha introdotto una nuova disposizione che chiede alla Commissione Ue di presentare una relazione, un anno dopo l’entrata in vigore del regolamento, con una panoramica delle risorse finanziarie disponibili a livello Ue, una valutazione delle esigenze di finanziamento per l’attuazione e un’analisi per identificare eventuali lacune di finanziamento. La relazione includerebbe anche proposte adeguate, se necessarie, ma senza pregiudicare il prossimo quadro finanziario pluriennale (2028-2034).Il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans ha fatto della battaglia per il green deal europeo una questione di principio tanto che La Verità ha reso conto dei suoi tentativi poco democratici di influenzare gli eurodeputati contrari alla disposizione così come è scritta. Questo rischia di annullare ogni possibilità di sintesi. In ogni caso, siamo a un giro di boa e il traguardo è ancora lontano. Sarà decisivo, però, il prossimo incontro che si avrà il 27 giugno in commissione Ambiente all’Europarlamento. A fungere da ago della bilancia saranno i rappresentanti del Ppe. Lì il voto, però, rischia di svuotarsi di contenuti e di divenire prettamente politico, trasformandosi in un braccio di ferro, una prova di alleanze, in vista delle elezioni europee del 2024.
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