Lo scandalo delle mazzette, che vede al centro Antonio Panzeri, imbarazza big di Articolo 1 come Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza. Ma anche l’ex radicale Emma Bonino, coinvolta nell’Ong. E dem eccellenti come Alessandra Moretti, Brando Benifei e Federica Mogherini. Tra i progressisti è l’ora delle amnesie.
Lo scandalo delle mazzette, che vede al centro Antonio Panzeri, imbarazza big di Articolo 1 come Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza. Ma anche l’ex radicale Emma Bonino, coinvolta nell’Ong. E dem eccellenti come Alessandra Moretti, Brando Benifei e Federica Mogherini. Tra i progressisti è l’ora delle amnesie.Fino a un mese fa erano tra i più attivi su Facebook, con foto dei loro uffici a Bruxelles, con le immagini di John Kennedy e Bob Dylan, o della vittoria di Lula in Brasile. Ora dell’Italian connection di sinistra, come l’hanno ribattezzata in Europa, restano solo i ricordi. A volte neanche quelli, perché chi si è visto sigillare gli uffici, come Federica Garbagnati, assistente di Alessandra Moretti, ha deciso di cancellare ogni traccia sui social. Ma qualcosa è rimasto. E così, sul profilo di Giuseppe Meroni, storico assistente di Antonio Panzeri ora in forza all’azzurra Lara Comi, si può trovare una foto del 18 aprile 2019 dove si vedono i protagonisti del Qatargate, su cui stanno indagando le autorità del Belgio. Partendo da sinistra c’è Garbagnati, già assistente di Panzeri, mentre al suo fianco c’è il velista Francesco Giorgi, compagno dell’ormai ex vicepresidente dell’Europarlamento, la socialista greca Eva Kaili, sulla destra c’è Carola Bennato, figlia di Eugenio e pure lei assistente (estranea alle indagini). In mezzo c’è proprio Panzeri, l’ex segretario della Camera del Lavoro di Milano che in quei giorni terminava la sua terza legislatura europea. L’ex sindacalista bergamasco, che ha moglie e figlia ai domiciliari e a cui sono stati sequestrati altri 17.000 euro, è solo uno dei tanti politici di Bruxelles collegati al centrosinistra nazionale, in particolare ad Articolo uno di Pier Luigi Bersani (ora Roberto Speranza, che di Articolo uno è segretario, sostiene che il suo partito «è parte lesa») o al Partito democratico di Enrico Letta. Insieme con Luca Visentini, ex Uil e da poco nominato neosegretario generale della Confederazione sindacale internazionale (Ituc), manteneva il rapporto con il mondo dei sindacati. Cresciuto nel Pci, poi nei Ds con Massimo D’Alema e quindi nel Pd, Panzeri aveva seguito Baffino anche in Articolo uno nel 2017. Non era il solo. Perché nella rete su cui indagano le autorità è finito anche Davide Zoggia, ex dem poi passato anche lui nel piccolo partito di Bersani e D’Alema: gli hanno sigillato l’ufficio e sequestrato il telefonino. Zoggia è nello staff di Pietro Bartolo (che ieri si è dimesso da relatore ombra per S&D su liberalizzazione dei visti) ma anche in quello del capogruppo dei dem, Brando Benifei. Zoggia non è nuovo a indagini. Il suo nome spuntò nelle carte dell’inchiesta sulle presunte mazzette che erano circolate intorno al Mose di Venezia e poi finite al partito. All’epoca si era distinto come responsabile enti locali e organizzazione nelle segreterie nazionali del Pd sia di Bersani sia di Guglielmo Epifani. Poi fu subito archiviato. Meroni, invece, è stato un consigliere del Comune di Bollate, ma soprattutto in passato era tra i più attivi sostenitori di Rosy Bindi alla segreteria del Pd.Nel lungo elenco della socialdemocrazia europea scosso dall’inchiesta c’è poi il bassoliniano di ferro Andrea Cozzolino, europarlamentare dem napoletano che guida il gruppo di lavoro sul Maghreb (si è dimesso da coordinatore S&D per le urgenze) e che a Bruxelles è assistito da Giorgi. Cozzolino è tra i firmatari del testo confluito nella risoluzione denominata «Situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo in Qatar». L’intervento dei socialisti sottolineava che l’Europarlamento si compiaceva «del fatto che, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, il governo del Qatar abbia rimborsato 320 milioni di dollari alle vittime di abusi salariali». Ma di Cozzolino negli atti dell’inchiesta ci sarebbe finita anche un’email inviata ai colleghi del gruppo S&D il 24 novembre scorso: «Cari colleghi, in vista del voto sulla situazione dei diritti umani nell’ambito del campionato del mondo di calcio in Qatar, vi chiedo di votare contro [...]. Si sostiene che sia stata assegnato dalla Fifa al Qatar grazie ad abusi e corruzione. Il Parlamento europeo non dovrebbe accusare un Paese senza prove. E in ogni caso, se vogliamo discutere di corruzione nello sport, allora forse sarebbe necessario riflettere su tutto, compresa la Coppa del Mondo che si è giocata in Germania nel 2006». Ora Cozzolino mette le mani avanti: «Faccio parte di coloro che hanno votato a favore della mozione sul Qatar, io ho fatto una battaglia, perché spettava al Parlamento mettere in atto una mozione di interpellanza anzitutto sulla Fifa e poi sul Qatar». Coincidenza ha voluto, però, che Giorgi, in passato nella squadra di Panzeri, sia finito a seguire per Cozzolino i dossier sul Maghreb. Ma con la sua testa d’ariete la Procura belga è entrata anche in una rete tutta radicale. Tra i fermati c’è Niccolò Figà Talamanca, segretario generale dell’Ong No peace without justice, associazione fondata nel 1993 da Emma Bonino. Che ora preferisce non commentare. Ma l’inchiesta ovviamente imbarazza il panorama dei radicali convinti. Che nel board della Ong vedono presenti anche Antonella Casu, che dei Radicali italiani è stata segretario nazionale, ma anche l’ex eurodeputato radicale Gianfranco Dell’Alba (i due non sono coinvolti). Tra i collegamenti esteri della fondazione viene indicata la Partner arab democracy foundation, con sede in Qatar. E l’Ong fondata da Bonino condivide gli uffici a Bruxelles con un’altra associazione: Fight impunity, fondata nel 2019 da Panzeri e che annoverava tra i suoi membri pure Giorgi (e Bonino che era tra i soci onorari si è dimessa ieri). E oltre a lui, Donatella Rostagno, un’esperta di Medio Oriente, pure lei ex collaboratrice di Panzeri e ora con l’europarlamentare belga di origine italiana Maria Arena.
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Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.






