2019-01-15
Le ultime bugie di Battisti per cercare di salvarsi
Prima del blitz dell'Interpol il latitante Cesare Battisti aveva chiesto l'asilo politico in Bolivia: «Aiutatemi, voi siete una democrazia. In Italia la Cia tortura i prigionieri». Il terrorista è sceso dal jet sorridendo alle telecamere, poi è stato rinchiuso. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede: «Nessuno può sottrarsi alla giustizia italiana». Lo speciale contiene due articoli. Si sa che Cesare Battisti preferisce definirsi scrittore più che terrorista, ma il suo ultimo capolavoro, la richiesta di asilo in quattro pagine al governo boliviano, respinta dalla Commissione nazionale per i rifugiati, è uno straordinario esempio di letteratura fantasy. Una rivisitazione della sua vita e della storia degli anni di piombo per cui qualcuno dovrà certamente segnalarlo per il Nobel. L'immagine dell'Italia degli anni Settanta e Ottanta che il nostro ex latitante più famoso ha provato inutilmente a spacciare ai burocrati di Evo Morales è del tutto simile a quella che la memorialistica ci ha regalato dell'Argentina dei colonnelli, con i suoi giovani desaparecidos; del Cile di Pinochet con i suoi stadi stracolmi di dissidenti; o del Brasile degli squadroni della morte. Una macedonia che certo risulterà indigesta non solo ai nemici di Battisti, ma anche ai suoi vecchi compagni di lotta. Nell'incipit, Battisti racconta di provenire da «una famiglia comunista» e spiega che suo nonno fu «uno dei fondatori del Partito comunista italiano». Ma Battisti non racconta alle autorità boliviane la sua storia di giovane scavezzacollo di provincia, dedito alle scazzottate e alle rapine a mano armata. No: si descrive come un pensoso intellettuale disgustato dal mondo intorno a lui. «Alla fine delle scuole secondarie», si legge nella richiesta di asilo, «presi coscienza che il Partito comunista partecipava alla spartizione del potere e alla corruzione generalizzata nello Stato italiano. All'inizio del 1970, quando il Partito comunista espulse l'intellighenzia di sinistra, mi unii inizialmente a un'organizzazione di sinistra denominata Lotta continua e in quel periodo fui tratto in arresto durante alcune azioni di esproprio proletario per finanziare l'organizzazione e la pubblicazione del periodico Lotta continua». Da Lotta continua sarebbe transitato in Autonomia operaia e quindi, nel 1976, avrebbe «costituito un'organizzazione armata clandestina denominata Pac». La verità come detto è molto diversa: nel 1972 Battisti viene arrestato a Frascati per il furto di 31 macchine per scrivere, nel 1974 viene denunciato per lesioni personali e «sottrazione di minore a fini di libidine violenta su persona incapace» (una tredicenne con cui lui ventenne fece una fuitina); nello stesso anno viene arrestato per rapina aggravata e sequestro di persona ai danni di un dentista romano. Per questi suoi reati da delinquente comune finisce nel carcere di Udine (è l'inizio del 1977) e qui conosce Arrigo Cavallina (il vero fondatore dei Pac), che in quel momento si trova in galera con l'accusa di eversione e lo converte alla lotta armata. Tornato in libertà, Battisti assalta un ufficio postale in provincia di Latina. Quindi fugge, e trova rifugio a casa di Cavallina a Verona. «Se non fosse dovuto scappare, non avrebbe mai intrapreso la lotta armata» ci aveva detto Vincenzo Battisti, fratello maggiore di Cesare. Ai boliviani, Battisti dimentica di raccontare di aver partecipato a tre omicidi e di averne pianificato un quarto, e di aver indirizzato la lotta armata contro obiettivi civili come i commercianti (un macellaio e un gioielliere furono due delle sue vittime). Racconta un'altra storia: «Dopo l'omicidio di Aldo Moro», narra il romanziere Battisti, «nel maggio del 1979 (in realtà 1978 ndr), insieme a molte altre organizzazioni ci riuniamo per decidere se questa azione era compatibile con la linea del progetto politico. Con parte dei militanti dei Pac prendiamo le distanze da questa azione, segnalando che questa non era coerente con i nostri principi rivoluzionari e che anche costituiva un suicidio politico». Per questo si sarebbe allontanato «dal comitato centrale dell'organizzazione». Nel 1979 Battisti viene arrestato con l'accusa di «associazione sovversiva e possesso di arma da fuoco». A questo punto rientra in gioco la fantasia dello scrittore: «Nel frattempo agenti della Cia insieme con le agenzie di intelligence italiane intensificarono le pratiche di tortura e di sparizione dei prigionieri politici», scrive. Si arriva così all'evasione. Per Battisti non fu una fuga organizzata da ex compagni quasi a livello amicale e in cui lui portò con sé un camorrista. Per lo scrittore fu un clamoroso gesto politico: «Costituì un atto di giustizia di fatto e un'azione pulita giacché non fu necessario l'uso della violenza». Quasi un Martin Luther King degli anni di piombo. «E così», prosegue Battisti nella richiesta di asilo, «insieme a un gruppo di militanti che come me sostenevamo la ritirata strategica nel mezzo dell'avanzata fascista trovammo rifugio in Francia. Poi sono stato trasferito in Messico dove risiedetti sino al 1990». A questo punto Battisti riassume la sua biografia da latitante, il ritorno in Francia grazie alla cosiddetta dottrina Mitterrand. Arriva il 2004, il presidente francese Jacques Chirac concede l'estradizione, a Palazzo Chigi c'è Silvio Berlusconi. «In realtà», farnetica Battisti, «si trattò di un accordo milionario realizzato tra gli stati francese e italiano, governati dalla destra». Quindi la fuga in Brasile, la nuova famiglia, altri cinque libri, la residenza permanente concessa dal presidente Lula nel 2010. Ma ecco di nuovo la terribile internazionale sovranista: «Ancora una volta, altra nefasta coincidenza, nel 2018, un governo eletto di ultradestra in Italia e un altro in Brasile, quello del presidente Bolsonaro rendono necessario chiedere aiuto da un Paese di principi democratici come la Bolivia». Che domenica ce lo ha gentilmente rispedito a casa. Lui e le sue balle. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-ultime-bugie-di-battisti-per-cercare-di-salvarsi-2626000854.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lultimo-ghigno-del-killer-che-finira-i-suoi-giorni-in-isolamento-a-oristano" data-post-id="2626000854" data-published-at="1758065488" data-use-pagination="False"> L’ultimo ghigno del killer che finirà i suoi giorni in isolamento a Oristano Hanno aperto la gabbia per farlo allontanare dal Brasile, per catturarlo in un Paese dal quale lo avrebbero rispedito subito in Italia senza troppi fronzoli e intoppi burocratici. Così è stato: catturato in Bolivia, Cesare Battisti è stato immediatamente espulso e consegnato all'Italia. L'assassino così sconterà l'ergastolo, mentre se fosse arrivato dal Brasile la sua pena sarebbe stata di 30 anni, così come previsto dall'accordo firmato nell'ottobre del 2017 dall'allora ministro della Giustizia, Andrea Orlando del Pd, con il governo brasiliano. Fa sorridere che l'ex premier Matteo Renzi definisca «una bella notizia» la consegna del terrorista all'Italia: se non fosse stato per il nuovo presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, Battisti starebbe ancora brindando alla faccia delle sue vittime, tracannando una Caipirinha dopo l'altra, stravaccato in spiaggia a Rio de Janeiro. Lo stesso Renzi, infatti, conserva ancora gelosamente la maglia della nazionale di calcio brasiliana che Lula gli regalò nel marzo 2014. A Renzi toccò la maglia con il numero 9: Lula aveva già donato la 6 all'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton; la 7 a Fidel Castro e la 8 al fratello del lider maximo, Raul. Altro che «battaglia di tutti»: ogni volta che la lunga latitanza di Battisti è sembrata vicina alla fine, è stato ad opera di capi di Stato di destra, così come avvenne quando - tra l'estate e l'autunno del 2004 - l'allora presidente francese di destra, Jacques Chirac, diede il via libera all'estradizione di Battisti verso l'Italia, capovolgendo la «dottrina Miterrand»: il terrorista fuggì così in Brasile, lasciando la Francia, dove si trovava dal 1981, anno in cui evase dal carcere di Frosinone. Un carcere, quello di Frosinone, molto ma molto diverso da quello di Massama, frazione di 600 anime della città sarda di Oristano, dove Battisti è entrato ieri pomeriggio alle cinque e dove sconterà la sua pena. Battisti, come spiega alla Verità Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), sarà sorvegliato da guardie carcerarie e specialisti del Gom, il reparto mobile del corpo, che si occupa delle situazioni più delicate, comprese le rivolte nelle carceri e la custodia e il controllo dei detenuti ad altissimo indice di pericolosità. Il Gom stesso ha portato Battisti in Sardegna anziché nel penitenziario romano di Rebibbia, come era stato previsto in un primo momento, per «ragioni di sicurezza». Il carcere di Oristano è l'incubo dei galeotti: su sei sezioni, cinque rientrano nel circuito di alta sicurezza e una sola contiene detenuti comuni: Battisti alloggerà nella sezione As2 - comparto di massima sicurezza - riservata ai terroristi. Una sistemazione adeguata agli standard di vita che il criminale godeva in Francia e Brasile? Non esattamente: il luogo in cui Battisti trascorrerà gli anni che gli restano da vivere, stando ai racconti di qualche ex «ospite», pur essendo stato completato appena 7 anni fa è umido (l'intonaco presenta incrostazioni importanti), le attività per i detenuti sono scarse, la palestra è utilizzata come magazzino, le aree esterne di passeggio sono esposte alle intemperie. «Vedrete», confida alla Verità un testimone che quel carcere lo conosce, «che la voglia di sorridere gli passerà in fretta». Per i primi sei mesi Battisti resterà in isolamento diurno. Il suo rientra nei casi di ergastolo ostativo, ossia senza la possibilità di ottenere benefici nell'esecuzione della pena, come hanno spiegato il procuratore generale di Milano, Roberto Alfonso, e il sostituto pg Antonio Lamanna. Battisti è stato trasferito a Oristano dopo essere atterrato all'aeroporto di Ciampino alle 11.40 di ieri mattina, proveniente da Santa Cruz, in Bolivia. Ha viaggiato a bordo di un Falcon 900 del governo italiano. Ad attendere l'arrivo dell'ex terrorista, sulla pista dello scalo, c'erano il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. «Ora so che andrò in carcere», ha detto il prigioniero parlando con gli agenti dell'antiterrorismo. Al momento dell'arresto, aveva in tasca la tessera sanitaria, una carta di credito a suo nome, una banconota, cinque foto e otto fogli manoscritti. «Spero», ha commentato Salvini, «di non incontrarlo da vicino. Oggi penso che l'Italia debba festeggiare, con troppo ritardo. È una giornata nel nome della giustizia, dell'onore, del buonsenso. L'Italia ha ritrovato centralità, rispetto e rispettabilità. Sono contento che abbiate potuto vedere ovunque queste immagini, segnale di rinnovata fiducia e giustizia». Il ministro dell'Interno ha poi avuto una «lunga, cordiale e costruttiva telefonata» con il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro: «Gli ho ribadito», ha spiegato Salvini, «l'enorme grazie a nome di 60 milioni di italiani per averci permesso di chiudere positivamente la questione Battisti e ci siamo impegnati ad incontrarci presto in Brasile o in Italia per rinsaldare i legami tra i nostri popoli, i nostri governi e la nostra amicizia personale». Per il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, «è un risultato storico per l'intero Paese: quando le istituzioni italiane sono compatte non ci ferma nessuno. Parliamo di un pluriomicida che si è macchiato di reati gravissimi e con la sua fuga ha offeso il Paese. Il momento in cui la giustizia farà il suo corso è quando varcherà la porta del carcere: a quel punto sconterà la pena dell'ergastolo». Parole simili anche da parte del premier, Giuseppe Conte, che ha tenuto una conferenza stampa a Palazzo Chigi: «La cattura di Battisti è un grande risultato che dovevamo non solo in astratto, perché avesse effettività la giustizia, ma lo dovevamo ai familiari delle vittime». L'ex terrorista, a quanto si è appreso, durante la sua fuga ha usato anche il suo profilo Skype «Cesare 1900», pensando di riuscire a evitare le intercettazioni. Non è stato così: «In questo momento è prematura qualsiasi valutazione». Queste le poche parole di Davide Steccanella, l'avvocato difensore di Cesare Battisti. Ignazio Mangrano