Lo spread si riavvicina a quota 175, come a metà settembre. Idem per il Btp decennale Il panico organizzato non ha portato a nulla. E oggi i media che l’han creato rosicano.
Lo spread si riavvicina a quota 175, come a metà settembre. Idem per il Btp decennale Il panico organizzato non ha portato a nulla. E oggi i media che l’han creato rosicano.Titoli e commenti al limite del grottesco, quelli letti ieri su Repubblica, Sole 24 Ore e Corriere della Sera, a proposito della conferma della valutazione Baa3 - con prospettive migliorate da negative a stabili - emessa dall’agenzia Moody’s per il debito pubblico italiano. Si spaziava da «sorpresa positiva» a «pericolo scampato» a «venerdì 17 porta fortuna all’Italia». Tutti provenienti dalla stessa affollata tribuna - sarebbe meglio dire «curva» da stadio - che per due lunghi mesi non ha fatto altro che spargere timori sulle conseguenze di eventuali declassamenti, da parte di almeno una delle quattro agenzie (prima di quello di ieri, c’erano state le valutazioni di Standard & Poor’s, Fitch e Dbrs). Necessariamente ieri dovevano in qualche modo spiegare perché hanno paventato per otto settimane pericoli inesistenti, spacciando delle malcelate aspettative travestite da autorevoli previsioni. Che si sono rivelate per quello che erano sin dall’inizio: il nulla. E quindi la sorpresa è solo di chi ha sempre volutamente ignorato la realtà e ora non sa dove mettere la faccia. Giusto per avere un’idea del clima avvelenato ad arte, ci piace ricordare che Repubblica titolava lo scorso 4 ottobre: «Debito e spread: perché le agenzie di rating possono declassare l’Italia», in cui si prospettavano scenari con spread a 300 e oltre. Oppure il 29 settembre La Stampa favoleggiava che «tra le frizioni in Europa e la paura dei mercati, si teme un cordone di sicurezza intorno all’Italia».Intendiamoci. Qui non intendiamo posizionarci sull’altra «curva» per inneggiare a una valutazione del debito pubblico che riteniamo lasci comunque il tempo che trova. Non attribuiamo autorevolezza e credibilità a quelle valutazioni, quali che siano. Nel migliore dei casi, le agenzie di rating ci aiutano a comprendere, con il senno di poi, eventi ormai appartenenti al passato. I dubbi sulla loro capacità predittiva si sprecano, basti ricordarsi delle valutazioni emesse poco prima della grande crisi del 2008.I fatti sono qui ad attestare che venerdì lo spread è tornato ad adagiarsi intorno a quota 175, esattamente dov’era a metà settembre. Movimento speculare a quello del Btp decennale, il cui rendimento è tornato in area 4,30/4,40%, da dove era partito un rialzo che l’aveva portato a sfiorare il 5%. Come abbiamo spiegato in dettaglio già nelle scorse settimane, c’è consenso pressoché unanime sui mercati che tale movimento debba totalmente attribuirsi alle decisioni e orientamenti per il futuro che sono stati man mano resi noti dalla Banca centrale Usa. L’allarme lanciato a metà settembre a favore di ulteriori rialzi dei tassi ha fatto decollare i rendimenti di tutti i titoli governativi e, allo stesso modo, le evidenze sul rallentamento dell’economia d’oltreoceano hanno portato ad abbassare significativamente le probabilità di quei temuti rialzi. Né la Nadef prima, e la legge di bilancio dopo, hanno destato specifiche e ulteriori preoccupazioni sull’Italia. Al contrario, in uno scenario di rallentamento della crescita e, soprattutto, dell’inflazione, gli investitori si sono progressivamente convinti che il Btp offra un rendimento nominale e reale di tutto rispetto. Prima ancora delle agenzie di rating, avevano parlato gli investitori, comprando Btp o comunque non penalizzandoli quando lo scenario di rialzo dei tassi era ancora molto credibile.Va anche aggiunto che il tanto temuto declassamento da parte di Moody’s - che avrebbe fatto perdere ai nostri titoli la qualifica di «investment grade» (riservata a titoli con rischio di credito relativamente basso) - non avrebbe comunque portato a chissà quali terremoti. Infatti, per molti investitori è sufficiente che ci sia una valutazione «investment grade» da parte anche di una sola delle quattro maggiori agenzie, per conservare i titoli in portafoglio. E ce n’erano già tre.Ignorando tali evidenze e interpretandole ad arte, il coro variamente assortito ha cominciato a far sentire la propria voce a partire da metà settembre, quando era in preparazione la Nadef, e ha proseguito ricordandoci quotidianamente l’intero calendario di emissione dei rating. Come se fosse un imminente giudizio divino. Non si sono risparmiati nulla, perfino, a inizio ottobre, fantomatiche ipotesi di governo tecnico che avrebbe potuto sostituire il governo Meloni qualora lo spread avesse continuato a salire. A dare man forte - in un circolo vizioso, in cui le agenzie di stampa estere riprendono le «previsioni» fasulle propalate in Italia - a inizio ottobre, su Bloomberg si accusava il governo Meloni di «seminare inquietudine e spavento tra gli investitori» e si parlava di banche impegnate a disfarsi dei Btp. Se davvero qualcuno l’avesse fatto, non vorremmo essere al suo posto, perché è stato costretto a registrare significative perdite. A inizio ottobre il «future» sui Btp era sui minimi dell’anno a 107 circa e, da allora, ha recuperato circa il 7% in poche settimane arrivando a quota 114, da dove a settembre era partita la discesa. Nel frattempo qualcuno ha perso molti soldi, ma si vergogna di farlo sapere in giro.Quello che ci lascia interdetti è che i principali media nazionali non hanno sentito affatto l’esigenza di ammettere di aver parlato per settimane del nulla e, con la stessa sicumera, anziché fare ammenda, pretendono di continuare a spiegarci oggi ciò che non sono stati capaci di capire fino a ieri.
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