2022-05-31
Le Marche allontanano il Dragone. Il grano di qualità torna made in Italy
L’azienda Agroservice riconquista la bolognese Psb, inglobata nel colosso di Pechino Syngenta. E diventa, grazie all’aiuto di Barilla, leader del mercato dei semi ora che sull’«oro giallo» c’è una guerra commerciale.Parte dalle Marche, ancora una volta, il riscatto del grano. Da Crispiero, 1.000 anime, incastonato nell’Appenino camerte, 100 anni fa iniziò l’avventura di Nazzareno Strampelli, l’uomo che da una spiga ne produsse due, l’agronomo che fece vincere, e anche allora era questione di sanzioni, a Benito Mussolini la battaglia del grano. Strampelli avrebbe meritato il Nobel, non glielo dettero perché odorava di fascismo. Negli anni Sessanta però dovettero riconoscere che la rivoluzione verde, quella che ha sfamato interi continenti, era opera sua. Oggi farebbe comodo per risolvere la crisi alimentare, di certo ispira un’azienda che è riuscita a battere i cinesi e a recuperare all’Italia il primato del grano duro, proprio adesso che il mondo ha drammaticamente riscoperto la centralità dei cereali. È di San Severino Marche, sempre nel Maceratese, e come spiega l’attivissimo presidente e amministratore delegato, Tommaso Brandoni, «ci prefiggiamo di consolidare la leadership sia produttiva che di ricerca sul frumento duro, quello che serve per fare la pasta». È un mix di sana follia, di ricerca applicata da decenni, di alleanze strategiche. «La follia», dice Brandoni , «è che abbiamo sfidato un colosso come Syngenta che significa Chem-China, la ricerca è quella che noi di Agroservice con la nostra divisione Isea portiamo avanti da tre lustri, l’alleanza strategica è con 2.000 cerealicoltori e alcuni partner dell’industria alimentare di straordinaria lungimiranza e dimensione economica». «E c’è anche», interviene l’avvocato Andrea Celi, socio e figlio di uno dei fondatori del gruppo marchigiano, «la soddisfazione di aver recuperato all’Italia un patrimonio produttivo e di ricerca che era finito nella mani dei cinesi: la Psb di Bologna». A quanto ammonti l’affare non è dato sapere: certo gli zero sono tanti. «Abbastanza da non farci dormire la notte», specifica Brandoni, «e da averci fatto passare un ultimo dell’anno con le palpitazioni, ora resta la sfida da vincere». Alcuni anni fa la Psb di Bologna, il più importante attore in Europa per la selezione e la riproduzione di grano duro da seme, è finito nel portafoglio di Syngenta, svizzera, ma controllata dai cinesi al 100 per cento. Psb collabora da sempre con Barilla per riprodurre i grani nazionali che l’industria di Parma dà poi agli agricoltori che li coltivano e poi li usa per fare la sua pasta. Proprio Barilla ha suggerito l’affare ad Agroservice, dicendo: c’è l’occasione di riportare in Italia il grano, vi garantiamo l’assorbimento del seme che producete e anche un rapporto di collaborazione scientifica. Brandoni ha riunito il consiglio e ha buttato il cuore oltre l’ostacolo. «Abbiamo chiamato Deloitte perché ci facesse da advisor. Quando sembrava tutto fatto, il 31 dicembre dalla Svizzera ci chiamano e dicono: dalla Cina non è arrivato l’ok. Non abbiamo stappato spumante per la fine dell’anno». Poi l’affare è andato in porto e oggi il gruppo Agroservice-Psb (il fatturato dell’azienda marchigiana prima della fusione era oltre i 15 milioni) controlla il mercato europeo della riproduzione del grano duro: oltre 9.000 ettari impegnati per la propagazione del seme. Ma non si sono fermati lì: hanno rilevato anche la Veneto Sementi per rafforzarsi pure nel segmento del frumento tenero. In totale il gruppo lavora 400.000 quintali di grano da seme, ma soprattutto ha impianti di ricerca all’avanguardia. «Siamo i soli», spiega Brandoni, «a lavorare con i fitotroni. Sono camere speciali dove riusciamo in tre mesi a riprodurre l’intero ciclo di vita del grano per più che dimezzare il tempo delle ibridazioni, il lavoro che faceva Nazzareno Strampelli. Gli altri per arrivare a un seme nuovo e perfetto ci mettono dieci anni, noi in tre lo mettiamo sul mercato: abbiamo un catalogo con oltre 90 specie, senza contare il nostro lavoro sui legumi, di cui siamo leader assoluti». Per l’economia italiana e soprattutto in questi tempi di crisi del grano significa fornire alle aziende italiane il germoplasma necessario a produrre la pasta migliore e a coltivare ovunque i nostri grani per avere una riserva produttiva più ampia. In soldoni vuol dire liberarsi dalla dipendenza. «Uno dei grandi regali che abbiamo ricevuto è stato il grano monococco. È il più antico dei cereali, quello che hanno trovato come cibo nel tascapane di Otzi, la mummia del Similaun. Ce lo ha donato un grandissimo ricercatore purtroppo scomparso troppo presto: il professor Norberto Pogna. Il grano monococco sarà il grano del futuro: proteico, a basso indice di glutine e glicemico, è un super food. È la strada che stiamo intraprendendo per fare grande l’agricoltura e l’agroindustria italiane. Stiamo lavorando anche a orzi arricchiti da betaglucani. Con il marchio Verditerre facciamo pasta monococco, farine di legumi per affermare che quelli italiani sono i cerali e i legumi più proteici e migliori, capaci davvero di sfamare il mondo e ora abbiamo la forza produttiva per imporli». Nel segno di Nazzareno Strampelli San Severino batte Cina, se non è una rivincita questa…