2024-02-22
«Le cure palliative rendono liberi e ci fanno anche risparmiare»
Gianpiero Dalla Zuanna (Imagoeconomica)
Il prof Gianpiero Dalla Zuanna autore di uno studio sul suicidio assistito: «Questa pratica ha un costo e il malato, per decidere, deve poter non soffrire: i radicali non lo capiscono. A Medicina ci vorrebbero corsi specifici di terapia del dolore».Le persone chiedono di non soffrire, non di morire, per questo devono essere messe nelle condizioni di scegliere. «Se sulla carta due terzi della popolazione si dichiara favorevole a suicidio assistito ed eutanasia, solo una piccola minoranza lo è per esercitare il“’diritto individuale e non condizionato”, in realtà il motivo è porre fine a sofferenze inestinguibili», dice Gianpiero Dalla Zuanna, ordinario di Demografia all’Università di Padova, alla Verità. «Se aiuti le persone a togliere il dolore fisico e psicologico, il ricorso a suicidio e all’eutanasia è minore», spiega il professore che, sull’argomento, ha recentemente pubblicato uno studio su Population and development review. «Nell’Oregon e in California, quindi negli Stati Uniti, dove la legge è più restrittiva, simile a quanto prevede la sentenza della Corte costituzionale italiana, la richiesta di porre fine alla vita è 10 volte più basso rispetto alla Svizzera o all’Olanda dove eutanasia e suicidio assistito sono considerati esercizi della libertà del singolo, cioè basta dichiararsi “stanco di vivere” per ottenere l’autorizzazione».Quanto contano le cure palliative sulla richiesta di suicidio assistito? «Non azzardo percentuali, ma possiamo dire che in Belgio, Olanda e Svizzera, dove non sono previste, il ricorso al suicidio assistito è maggiore. La questione vera però è che le cure palliative aiutano il benessere delle persone e, in ogni caso, una persona deve essere libera di scegliere, come prevede anche la Costituzione».Cosa vuol dire, che senza cure palliative non c’è diritto di scelta sul fine vita? «La Corte costituzionale stabilisce delle condizioni per porre fine alla vita. Per esempio, la presenza di dolori inestinguibili dopo aver utilizzato tutti gli strumenti medici per curare il dolore. La questione è: come fa una persona a essere libera di scegliere se è oppressa da dolori inenarrabili? Intanto proviamo a togliere il dolore, allora la sua decisione sarà molto più serena. I dolori oncologici, quelli delle metastasi, sono allucinanti, insopportabili. Senza palliative si è in una situazione paradossale». Perché sarebbe un paradosso permettere il suicidio assistito senza ammettere le cure palliative?«La sentenza dice chiaramente che sarebbe “paradossale” liberalizzare il suicidio assistito, senza dare alle persone la possibilità di eliminare il dolore. Non mettere una persona nella condizione di poter scegliere non ha senso. Queste sono persone che non riescono a dormire, a stare sdraiate. E non sono solo persone con cancro terminale, ma anche con malattie neurodegenerative, per esempio. Se non dai loro la possibilità di non soffrire, come possono decidere in modo sereno come atteggiarsi davanti al fine vita? La Corte stabilisce che ci deve essere un contatto stretto tra il Servizio sanitario, la persona malata e la sua famiglia. È una situazione molto diversa da quella che prevede la proposta di legge che Coscioni presenta nelle varie Regioni». La proposta di Coscioni non prevede le palliative.«Si tratta di una legge libertaria: non c’è nessun riferimento alle cure palliative. Praticamente la Coscioni fa la stessa cosa che si era tentato di fare ancora quasi 50 anni fa, quando si era fatto il referendum sull’aborto: è sempre la stessa cultura. Oltre al referendum che è passato, c’era quello, che non è passato, che prevedeva l’aborto libero, senza dover passare per i consultori, quindi per una mediazione, una riflessione. È come dire che c’è libertà di informazione e intanto si chiudono i giornali. La libertà di informazione va costruita, così la libertà di cura: bisogna permettere alle persone di accedere alle cure migliori o, almeno, a quelle possibili, come priorità».È la condizione per una scelta consapevole.«La linea culturale della Coscioni è sempre la stessa: lasciamo che le persone decidano del loro destino in modo incondizionato. A dirlo sembra bello - l’essere padrone di sé stesso, decidere individualmente della propria vita - ma bisogna vedere se si è davvero nelle condizioni e nella serenità di decidere». Secondo il Comitato nazionale di bioetica, l’attivazione precoce delle palliative si associa a un significativo risparmio, in particolare in presenza di altre patologie. Come si spiega?«Il ricorso al suicidio assistito non è a costo zero. Numerosi studi dimostrano che, se le cure palliative sono attivate presto, i costi sono inferiori o, almeno, non superiori ai processi eutanasici. La questione però non è tanto economica, ma culturale e formativa». A cosa si riferisce?«Nei sei anni di laurea in Medicina non c’è un esame di Palliative, mentre c’è a Infermieristica. Una recente ricerca mostra che gli infermieri conoscono più dei medici queste pratiche. I medici chiedono di imparare, ma per diventare palliativisti ci vuole un corso di un anno. È un lavoro complicato. Inoltre, per il dolore, c’è una grande refrattarietà nell’utilizzo di oppiacei: se ne consumano metà della media europea. Poi è una questione di risorse. In un ospedale dell’Alto Vicentino con 600 posti letto c’è un solo psicologo che deve occuparsi di tutto: dalle depressioni post partum, ai pazienti, ai medici con il burnout. Come possiamo fare un intervento di palliative senza psicologo? Si tratta di accettare la propria morte, non basta un saluto. Per questo bisogna investire nelle palliative. Bisogna decidere che si devono mettere dei soldi, metterci la testa: non si costruisce in tre giorni, ma si può fare una legge nazionale sulla base della sentenza della Corte e inserire queste cure a Medicina, per esempio».