2021-01-06
Le carte confermano il bluff di Speranza: mai firmati i contratti con Astrazeneca
Il ministro si vantava in Aula dell'intesa con la ditta. Ma la Bild pubblica la lettera con cui lui e tre omologhi ammettevano il flop delle trattative, affidandole a Bruxelles.Il rimedio Reithera-Spallanzani supera la fase 1. Nicola Zingaretti ne approfitta per uno spot.Lo speciale contiene due articoli.Quella pubblicata lunedì in esclusiva dalla Bild non rappresenta solamente la lettera del «disastro europeo del vaccino», come l'ha definita il tabloid tedesco, ma anche la prova provata delle sparate del ministro della Salute, Roberto Speranza. La missiva scovata dai giornalisti del quotidiano berlinese aggiunge infatti nuovi e, per certi versi, eclatanti particolari alla vicenda del fantomatico contratto per l'acquisto del vaccino Astrazeneca. Un accordo più volte sbandierato - anche in Parlamento - dal numero uno di Lungotevere Ripa.Trattandosi di una vicenda complessa, conviene fare un passo indietro. Precisamente al 13 giugno 2020, giorno nel quale, dalla lussuosa cornice di Villa Pamphilj, Roberto Speranza annuncia festoso: «Insieme ai ministri della Salute di Germania, Francia e Olanda, dopo aver lanciato nei giorni scorsi l'alleanza per il vaccino, ho sottoscritto un contratto con Astrazeneca per l'approvvigionamento fino a 400 milioni di dosi di vaccino da destinare a tutta la popolazione europea». Nella durissima battaglia contro il coronavirus, l'orgoglio tricolore poteva dirsi salvo, perché il nostro Paese era capofila nell'Ue per aggiudicarsi le fiale dell'agognatissimo siero. Celebrando l'avvenimento, il premier, Giuseppe Conte, dichiarava in quell'occasione che «con questa notizia oggi dimostriamo che vogliamo essere in prima linea nell'approvvigionamento di un vaccino, nella ricerca e nelle terapie che allo stato risultano essere più promettenti».Noi, che agli annunci trionfali siamo abituati tanto quanto ai «pacchi» che di solito nascondono, decidiamo di vederci chiaro e, a fine giugno, inviamo una richiesta di accesso agli atti al ministero della Salute. Passati due lunghi mesi, arriva una risposta che ci lascia a dir poco a bocca aperta: «Si segnala che lo scrivente ministero non ha sottoscritto alcun contratto con la società Astrazeneca». Come si spiegano gli annunci in pompa magna della premiata ditta Speranza & Conte? Qualche riga più in basso il dirigente firmatario della risposta, Mauro Dionisio (poi assegnato ad altro incarico, ma sicuramente si tratta di una coincidenza), fornisce la spiegazione: «Stante l'importanza di procedere con un negoziato multiplo (in assenza di sufficienti certezze su efficacia e sicurezza di alcuno dei candidati vaccini) l'Italia, e gli altri Paesi partner, hanno ritenuto opportuno di far confluire il negoziato a suo tempo avviato con Astrazeneca con gli altri appena avviati dalla Commissione europea cui è, pertanto, attualmente affidata la totale gestione delle interlocuzioni». Ecco perché nell'apprendere la notizia della lettera pubblicata dal tedesco Bild, i lettori della Verità non saranno sicuramente sorpresi. La resa totale e incondizionata della sedicente «alleanza per un vaccino inclusivo» nei confronti di Bruxelles aveva trovato spazio su queste pagine già diversi mesi fa. Nel tentativo di mettere una pezza, il giorno successivo alla pubblicazione del nostro scoop, Lungotevere Ripa inviò l'ultima di 11 pagine, nella quale si riconoscono le firme dei quattro ministri e di Derek Seaborn, vicepresidente operativo di Astrazeneca per la Svezia. Sfortunatamente, non essendoci stato fornito il resto del documento, non abbiamo idea di cosa abbiano sottoscritto i firmatari. C'è qualcosa, però, nella missiva, che, se possibile, rende ancora più imbarazzanti le dichiarazioni di Roberto Speranza. Non va dimenticato, infatti, che lo stesso ha tirato nuovamente in ballo il suddetto contratto in Senato per ben due volte, vale a dire il 6 agosto e il 2 settembre dell'anno appena passato. «I partner dell'alleanza per un vaccino inclusivo non hanno ancora avviato i negoziati con Astrazeneca per un accordo sul pagamento», si legge in fondo alla lettera pubblicata lunedì da Bild, «saremmo lieti se la Commissione potesse portare avanti questi negoziati». Non serve essere esperti di diritto privato per capire che un contratto di acquisto senza un'intesa sul prezzo in realtà equivale poco più che a carta straccia. Quando i ministri della Salute di Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia hanno consegnato nelle mani di Ursula von der Leyen le delicatissime trattative per l'acquisto dei vaccini, in realtà i rapporti con Astrazeneca erano di fatto fermi ai preliminari. E allora di che contratto parlava Roberto Speranza? Perché nei mesi a venire, ripetutamente e per giunta in sede istituzionale, il ministro ha brandito quelle pagine senza che queste, di fatto, possedessero alcun valore legale? Non per niente, rispondendo al nostro quotidiano ad agosto, lo stesso ministero aveva specificato che l'Italia, insieme agli altri Paesi, aveva semplicemente «avviato contatti» con la casa farmaceutica, «senza addivenire alla stipula di un contratto vincolante».Non è dato sapere cosa sia successo nella manciata di giorni che vanno della firma dell'accordo «fantasma» tra i membri dell'alleanza e il subentro della Commissione nei negoziati. Qualcuno ipotizza che Bruxelles, seccata dalla fuga in avanti, abbia prontamente richiamato all'ordine i quattro. È ciò che pensano oggi in Germania, dove la lettera è stata giudicata «umiliante» e dal tono «sottomesso». Rimane un fatto, e cioè che dopo sei mesi dall'approvazione della strategia promossa da Bruxelles, l'Unione europea è a corto di vaccini. Solo un farmaco (sui sei per i quali è stato stipulato un contratto) risulta finora autorizzato dall'Ema, e anche considerando il vaccino sviluppato da Moderna, mancano comunque all'appello 1,5 miliardi di dosi. E su questa «Waterloo dei vaccini» c'è anche la firma di Roberto Speranza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-carte-confermano-il-bluff-di-speranza-mai-firmati-i-contratti-con-astrazeneca-2649751830.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="arriva-a-giugno-il-farmaco-italiano-e-ora-arcuri-riscopre-l-autarchia" data-post-id="2649751830" data-published-at="1609877818" data-use-pagination="False"> Arriva (a giugno) il farmaco italiano. E ora Arcuri riscopre l'autarchia Non vogliamo mica sminuire l'impresa compiuta dall'azienda farmaceutica Reithera (controllata da una società svizzera, ma a tutti gli effetti italiana), in collaborazione con lo Spallanzani di Roma. Finalmente, infatti, sta per vedere la luce un vaccino anti Covid tutto «tricolore». Certo, è un po' presto per cantare vittoria: il rimedio ha superato solo la fase 1 della sperimentazione. Per arrivare alla fase 3 e, poi, finire sul tavolo dell'Ema, occorreranno altri sei mesi. Ma dal momento del via libera dell'autorità, assicura il presidente di Reithera, Antonella Folgori, la ditta avrà «la capacità di produrre 100 milioni di dosi all'anno». I tempi ancora dilatati, comunque, non hanno scoraggiato la passerella politica. Nicola Zingaretti, che tenta di cavalcare i successi dello Spallanzani da quando, a febbraio 2020, i suoi ricercatori isolarono il Sars-Cov-2, si è tuffato sulla conferenza stampa di presentazione del farmaco: «Ringrazio la grande squadra che si è cimentata su questa scommessa. Sono orgoglioso di averla sostenuta». Entusiasta anche il commissario straordinario, Domenico Arcuri: «Oggi vediamo quanto stiamo combattendo per importare vaccini dagli altri Paesi. Sappiamo quanto valore abbia invece dotarci di una produzione direttamente in Italia». Non facciamo in tempo a tessere le lodi della «solidarietà europea», che già ci siamo rimessi in cerca dell'autarchia. Il tocco nostrano, poi, si vede quando il top manager annuncia che lo Stato ci metterà lo zampino: «Abbiamo previsto un'iniezione di equity e un ingresso pubblico nel capitale di Reithera». Un'azienda, peraltro, capacissima di camminare sulle sue gambe: nel 2019, ha prodotto un utile di quasi 2 milioni e mezzo. Finora, la ditta ha ricevuto 5 milioni dalla Regione Lazio e 3 dal Miur, investendone 12 di tasca propria, nella ricerca per il rimedio anti Covid. Ma come funziona il vaccino italiano? Con il farmaco, viene inoculato nel corpo umano un adenovirus disattivato, incapace di moltiplicarsi, però utile a trasmettere le informazioni genetiche corrispondenti alla proteina Spike, che è la chiave usata dal Sars-Cov-2 per penetrare nelle nostre cellule. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico del nosocomio capitolino, garantisce: «È sicuro, non ci sono stati eventi avversi gravi» nei primi 28 giorni dalle somministrazioni, iniziate il 24 agosto scorso. Qualche infiammazione «sul sito d'iniezione», qualche lineetta di febbre, ma tutte reazioni «inferiori a quelle di Moderna e Pfizer». In più, il farmaco autarchico agisce con una sola dose: «Gli anticorpi», sia quelli che bloccano il virus, sia le cellule T, che distruggono le consimili già infettate, «raggiungono il picco dopo 4 settimane, poi restano costanti. Potrebbe dunque non esserci bisogno di richiamo». Un grande vantaggio ai fini della distribuzione. E non finisce qui: le fiale possono essere conservate in normali frigoriferi, a una temperatura che oscilla tra 2 e 8 gradi. Una manna per la logistica. Certo, la platea della sperimentazione non è stata amplissima: 100 volontari (tra i quali la metà ha ricevuto un placebo), contro i 43.000 coinvolti da Pfizer e Biontech per i test su Comirnaty. D'altronde, a Dio piacendo, per quando le dosi di Reithera arriveranno alle strutture sanitarie (o alle primule), dovremmo aver già quasi raggiunto l'immunità di gregge. Non è vero, commissario Arcuri?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)