2020-09-10
Le aziende che hanno vinto la gara per i banchi a rotelle: «La Nexus? Mai sentita»
La ditta di Ostia del contratto da 45 milioni (saltato) è ignota a chi opera nel settore. Un imprenditore: «Per 180.000 pezzi servono centinaia di dipendenti, non uno solo».Chiedete a un giornalista se conosce il nome di una certa testata: molto probabilmente, vi risponderà di sì. Chiedete a un medico se conosce il nome di una certa casa farmaceutica: molto probabilmente, vi risponderà di sì. Chiedete a un professore se conosce il nome di una certa casa editrice: molto probabilmente, vi risponderà di sì. Lo stesso di scorso dovrebbe valere per una ditta che produce mobili: chiedetele se ha mai sentito parlare di un'altra azienda che opera in quello stesso settore e, molto probabilmente, vi risponderà di sì. Eppure, delle imprese che abbiamo interpellato ieri e che hanno vinto la gara per i banchi a rotelle, non ce n'era una che sapesse della Nexus made Srl. Ci riferiamo alla ditta di Ostia che aveva superato la selezione preliminare, da parte della struttura commissariale di Domenico Arcuri, per aggiudicarsi un contratto da 45 milioni per la fornitura di 180.000 arredi scolastici. Un'azienda che, stando all'ultimo bilancio, aveva un capitale di 4.000 euro, un fatturato di 400.000 e un solo dipendente, nonché suo socio di maggioranza, il signor Fabio Aubry. Classe 1964, incappato nel 2013 in una denuncia per insolvenza fraudolenta, a marzo di quest'anno è entrato in cassa integrazione. La società, il cui amministratore unico è il fratello Franco Aubry, lamenta infatti, per il 2020, una «sensibile contrazione del fatturato» causa Covid. Circostanza che l'ha costretta a ricorrere agli ammortizzatori sociali. La Nexus possiede un capannone nelle campagne di Pomezia, che dovrebbe corrispondere alla falegnameria. Per carità, conoscenti e vicini ci parlano degli Aubry come di una famiglia di lavoratori, specie il capostipite Orese. Nondimeno, la struttura non pare pullulare di attività. Soprattutto se consideriamo che, se anche la Nexus avesse pianificato di esternalizzare tutta la fornitura di materiali, per procedere esclusivamente all'assemblaggio dei 180.000 banchi, le sarebbe comunque servito «almeno un centinaio di operai». Così ci assicura l'ingegner Paolo Fantoni, dell'omonimo gruppo di Udine. La sua impresa, che conta un migliaio di dipendenti, non ha partecipato all'appalto: «Ci eravamo subito resi conto che la tempistica era impossibile». Tuttavia, la ditta fornirà dei materiali ad alcune delle altre dieci aziende aggiudicatarie. Su quali esse siano, formalmente regna il mistero. Si sa che una è l'abruzzese Vastarredo. Il suo presidente, Emidio Salvatorelli, già nei giorni scorsi ci aveva riferito di non aver «mai sentito parlare» della Nexus. Un'altra ditta impegnata nella lavorazione dei banchi è la trevigiana Quadrifoglio. Nemmeno da quelle parti conoscono la Nexus: «Non abbiamo minimamente idea di chi siano». E paiono pure convinti che, con l'organico dichiarato dalla società ostiense, non sarebbe possibile ottemperare a una commessa da 45 milioni: «Noi abbiamo più di 200 dipendenti». Peraltro, la Quadrifoglio, nonostante la dotazione di manodopera e un capannone da 30.000 metri quadri per le lavorazioni, non è ancora in grado di stabilire se la consegna degli arredi avverrà effettivamente entro ottobre, come promette Giuseppe Conte: «Su questo devono essere ancora chiariti degli aspetti, non possiamo darvene la certezza assoluta».A dar conto della nebbia fitta che aleggia sulla gara d'appalto, ci pensa la Estel group di Thiene, più di 200 dipendenti e due stabilimenti per la lavorazione del legno e del vetro: «Non potremmo rilasciare dichiarazioni sul bando». Insomma, l'ordine è di tacere. Anche Estel group, comunque, ignora l'esistenza dei colleghi della Nexus.Ma è plausibile che una ditta, con un unico dipendente (che ne è anche il proprietario) e un capitale di 4.000, euro realizzi nei tempi prescritti 180.000 banchi di scuola? «Se avessi i capelli, dopo questa domanda mi cadrebbero tutti», ci risponde un simpatico impiegato del gruppo Fantoni. Il quale, della Nexus, dice di aver scoperto l'esistenza solo per via degli articoli di stampa di questi giorni. Non c'è bisogno di sapere altro. Anzi, sì: come mai chi doveva vigilare non si è accorto subito che stava avendo a che fare con un'impresa priva della capacità produttiva necessaria a ottemperare alla commessa? Come mai noi ce ne siamo resi conto con un paio di giorni di verifiche e, invece, la struttura commissariale aveva già stilato un contratto da 45 milioni di euro, che poi ha dovuto rimangiarsi?I fratelli Aubry, intanto, continuano a essere irreperibili. I telefoni squillano a vuoto. Il silenzio di Franco, amministratore unico ed elettricista presso la Sater4show, con la quale la Nexus condivide il commercialista Proteo di Ostia, è di per sé eloquente: se proviamo a contattarlo, tronca la chiamata. Sul messaggio che gli avevamo inviato tramite Whatsapp, sono visibili le spunte blu: significa che lo ha letto. Non ci è arrivata alcuna replica. Eravamo riusciti a parlare solamente con Roberta, la giovanissima figlia di Fabio, che però sembra davvero estranea alle attività del resto della famiglia. Non ricordava nemmeno di esser stata presente dal notaio, nel 2015, all'atto della costituzione della Nexus, nelle casse della quale aveva versato 1.900 euro.Dai signori Aubry, sarebbe interessante sapere, ad esempio, come mai quest'impresa, che, ci dicono alcuni conoscenti, ha avuto qualche gloria ma pure parecchie difficoltà ( certificate nel bilancio), e che, per di più, dovrebbe occuparsi di eventi e impianti elettrici, abbia partecipato a una gara per realizzare arredi scolastici tanto grande e complessa. Persino Fantoni, che ha un migliaio di dipendenti, non se l'è sentita di concorrere. Gli Aubry, avventurieri dei Castelli romani, si sono lanciati. E la cosa più preoccupante è che stavano anche per farcela.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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