2020-11-12
L’Azerbaigian canta vittoria ma Putin riesce a sventare le mire di Ankara sul Caucaso
La tregua con l'Armenia è un trionfo per Baku, però sul territorio saranno dislocati solo militari russi. L'Iran chiede il ritiro dei foreign fighters siriani inviati dalla Turchia.È dalla mezzanotte di martedì (ora di Mosca) che vige il cessate il fuoco, concluso tra Armenia e Azerbaigian: un accordo che - mediato fondamentalmente dalla Russia- ha creato non poche fibrillazioni nelle ultime ore. Come riferito da Reuters, migliaia di armeni sono scesi in piazza, chiedendo le dimissioni del loro primo ministro, Nikol Pashinyan, «reo» di aver accettato un'intesa che ha garantito - dopo sei settimane di combattimenti- alcune significative conquiste territoriali all'Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh. Del resto, lo stesso Azerbaigian ha celebrato la tregua come una vittoria, mentre Pashinyan ha espresso frustrazione, definendo l'accordo un «disastro» e dicendo di essersi trovato costretto ad acconsentirvi. Tutto questo, mentre ieri il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato che Mosca e Ankara si sono accordate per istituire un monitoraggio comune della tregua. Ciò detto, va anche ricordato che - in base ai termini del cessate il fuoco- la Russia stia già dislocando sul territorio proprie forze di pace: si tratta, in particolare, di 2.000 soldati. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha comunque reso noto che - nonostante il monitoraggio in comune della tregua- non sia prevista la presenza in loco di forze militari turche. Tutto questo, mentre non mancano le preoccupazioni, con l'ambasciatrice armena in Italia, Tsovinar Hambardzumyan, che ha parlato di un «pericolo esistenziale» per il popolo dell'Artsakh. La diplomatica ha tra l'altro precisato che «la risoluzione definitiva del conflitto deve essere negoziata nella cornice della co-presidenza del Gruppo di Minsk dell'Osce e che l'Armenia continuerà i suoi sforzi a tal fine». Ricordiamo che il Gruppo di Minsk è una struttura, creata nel 1992, con l'obiettivo di placare lo scontro tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh. Ulteriore timore è quello di una cancellazione del patrimonio culturale armeno nell'area. In particolare, il ministro della Cultura dell'Azerbaigian, Anar Karimov, ha definito su Twitter il monastero di Dadivank un esempio dell'«antica civiltà dell'Albania caucasica», suscitando così le proteste degli armeni. È chiaro che, considerando la questione nel breve termine, questo cessate il fuoco sia una notizia favorevole per Azerbaigian e Turchia, con Erdogan che sta cercando di consolidare la propria influenza nell'area del Caucaso. Se guardiamo tuttavia al quadro completo, si scorgono elementi che mostrano come forse sia Vladimir Putin il vero vincitore della partita. Innanzitutto ricordiamo che sarà soltanto la Russia a disporre di soldati sul territorio: un fattore che, pur a fronte delle conquiste territoriali di Ankara, bilancia fortemente l'influenza turca nella regione e -almeno teoricamente- dovrebbe rappresentare una garanzia di sicurezza per la popolazione armena, rispetto alle minacce azere. Insomma, la presenza militare russa arginerà probabilmente il Sultano sia a livello locale che di influenza geopolitica. In secondo luogo, non va trascurato che è stato proprio il Cremlino a rivendicare la negoziazione del cessate il fuoco. Se reggerà, la tregua potrebbe quindi rivelarsi un significativo successo diplomatico per Putin, soprattutto di fronte all'atteggiamento timido tenuto dall'Unione europea sul Nagorno-Karabakh. Un atteggiamento, probabilmente dettato dai timori che a Bruxelles si nutrono per eventuali ritorsioni turche. Tra l'altro, l'eventuale vittoria diplomatica del presidente russo non dimostrerebbe la messa all'angolo soltanto dell'Unione europea, ma anche degli Stati Uniti. Infine si scorge un ulteriore potenziale problema per la Turchia. Nelle scorse ore, Teheran ha accolto con favore il cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh, con il ministero degli Esteri iraniano che ha invocato al contempo il ritiro dei foreign fighters sunniti presenti nella regione: foreign fighters che avrebbero sostenuto le forze dell'Azerbaigian con il benestare de facto di Ankara. Si tratta di una presa di posizione interessante: se da una parte infatti Mosca e Teheran sembrano consolidare i propri legami, è possibile scorgere tra le righe un elemento di critica della Repubblica islamica nei confronti della Turchia: una dinamica rilevante, soprattutto alla luce del fatto che -pur non senza attriti- le due nazioni si erano parzialmente avvicinate negli ultimi anni. Che il cessate il fuoco sia una vittoria russa, lo crede anche il politologo Evgeny Utkin, che a La Verità ha dichiarato: «Per come stava procedendo il conflitto, l'Azerbaigian -se fosse andato avanti- avrebbe preso a breve tutto il territorio del Nagorno-Karabakh. L'accordo è stato raggiunto, dopo il recente abbattimento di un elicottero russo: si temeva un intervento militare di Mosca, da parte di Azerbaigian e Turchia. Per la Russia questo accordo è una vittoria. Non solo è riuscita a fermare un conflitto sanguinoso, ma nell'intesa figurano solo tre Paesi: Armenia, Azerbaigian e Russia. Non ci sono né Turchia né Stati Uniti né Europa».