2020-05-01
Conte in guerra con l’Italia
Il premier vanesio sfida il Parlamento e rivendica i pieni poteri. Duro attacco all'autonomia delle Regioni. Prende in giro le imprese: «Bisognerà fare presto». Poi insulta l'intelligenza dei cittadini giustificando la segregazione con cifre campate per aria. Matteo Renzi avvisa: «Se continua così noi ce ne andiamo». Politicamente è un morto che cammina.Dovremo, potremo, avremo, emaneremo, riprenderemo, cercheremo, saremo, destineremo, valuteremo, punteremo, arriveremo. Ho contato il numero di verbi declinati al futuro che il presidente del Consiglio, per giustificare il suo operato nella fase di emergenza, ha usato ieri nel suo discorso in Parlamento. Beh, mi è venuto il mal di testa. Il signor Farò, al secolo Giuseppe Conte, avvocato di belle speranze e di ancor migliori ambizioni, ha letto 22 pagine di promesse, annunciando il programma del suo governo per fronteggiare l'epidemia di coronavirus e le conseguenze economiche che ne sono derivate.Oltre ad appellarsi al futuro, il presidente del Consiglio ha illustrato lo straordinario impegno del governo da lui guidato, ogni volta facendo precedere le sue parole da una frase illuminante: «Stiamo valutando». Sì, la valutazione è la parola chiave per capire che cosa stiano facendo a Palazzo Chigi. Tre mesi dopo aver appreso del terribile tsunami che si stava per abbattere sul nostro Paese, tanto da aver deciso - come ha rivelato il direttore generale del ministero della Salute, Andrea Urbani, di segregare il piano, cioè di nasconderlo agli italiani - il governo sta valutando. Naturalmente, tutto ciò non deve indurre il lettore a ritenere che Mister Farò stia sottovalutando la situazione o prenda sottogamba la faccenda del Covid e della crisi economica che porta con sé. Niente affatto. Come ha illustrato nell'aula di Montecitorio, l'esecutivo condivide l'urgenza, anzi è conscio di dover procedere con speditezza, perché i cittadini meritano risposte efficaci e tempestive. È per tale ragione che il decreto approvato l'8 di aprile, cioè quasi un mese fa, per dare «una poderosa e immediata liquidità» alle aziende messe in quarantena da Palazzo Chigi, non ha praticamente ancora avuto attuazione, né per quanto riguarda la cassa integrazione, né per quanto concerne i prestiti che il sistema bancario doveva erogare già il giorno seguente all'emanazione del provvedimento del governo. Sì, è per rispondere in maniera efficace e tempestiva che il nuovo decreto, quello di aprile, arriverà a maggio: perché, come ha detto il Signor Farò, Vedrò, Cercherò ed Emanerò, «dobbiamo procedere con speditezza».Lo ammetto, oltre alla declinazione al futuro dei verbi che mi hanno fatto sembrare le 22 pagine di Conte una specie di manuale delle belle promesse, ciò che mi ha colpito di più è l'assoluta mancanza di aderenza alla realtà del discorso del presidente del Consiglio. Il capo del governo italiano parlava ma sembrava il capo di un governo marziano, quasi fosse sceso sulla Terra per fare il suo ingresso nell'aula della Camera qualche minuto prima. Nell'intervento non gli è scappato di dire che all'estero ci copiano perché ci ritengono un modello, come ha detto domenica sera in tv, ma si capiva che sotto sotto pensava proprio a quello. Perché se c'è una cosa che distingue Conte da altri premier che ci è capitato di conoscere, è proprio la mancanza di umiltà. Conte è Conte e si ritiene una spanna sopra gli altri, prova ne sia quella certa dose di arroganza che mette a ogni suo intervento quando qualcuno osa contraddirlo. Ne è prova la risposta data a una giornalista che a Bergamo ha osato correggerlo, ricordando che in Lombardia da principio non era stata istituita una zona rossa, ma arancione. «Quando sarà presidente del Consiglio», le ha risposto Mister Faccio tutto io, «si scriverà i decreti che vuole». Averlo lievemente contestato evidentemente è per il premier un atto di lesa maestà.Anche ieri, la pochette con gli artigli (copyright di Roberto D'Agostino) ha sfoderato le unghie, minacciando le Regioni che non intendono allinearsi ai suoi diktat. E respingendo ogni dubbio di costituzionalità e di illegittimità sulle sue decisioni, tesi avanzate da più parti, anche da illustri giuristi, ha tirato diritto, ignorando le contestazioni.Ma al di là dalla sicumera mostrata in aula a Montecitorio, ciò che colpisce è il gelo con cui è stato accolto il suo discorso. Non che con il numero di decessi registrato in due mesi fosse concepibile un applausometro all'opera del governo, ma certo non era immaginabile un tale isolamento attorno a un premier che dice, e fa dire, di avere dalla sua il consenso della maggioranza degli elettori. La verità è che Mister Farò, dopo la prova di queste settimane in Italia e i disastri in Europa (ieri è risultato chiaro che a differenza delle balle raccontate il Mes non è senza condizioni, prova ne sia il titolo della Repubblica : «Nel Mes spunta la sorveglianza rafforzata. Commissione e Bce controlleranno Roma») è, politicamente, un morto che cammina. Matteo Renzi alla Camera gli ha dato l'ultimatum, strappandogli la pochette e scompigliandogli il ciuffo. Il leader di Italia viva, come lo ha fatto, ora lo vuole disfare. Ma il senatore semplice di Scandicci non è il solo a voler rottamare l'avvocato del popolo. Dentro il Movimento 5 stelle, pur non dichiarandosi, in tanti sognano la resa dei conti, anche solo per redistribuire un po' di poltrone. E poi c'è il Pd: fino a quando il fratello del commissario Montalbano farà finta di non vedere che un delitto è stato commesso, ignorando il colpevole?
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