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2022-06-08
Lavrov va a benedire la guerra di Erdogan
Sergej Lavrov e Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
L’asse tra Russia e Turchia è destinato a rafforzarsi? Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si incontrerà oggi ad Ankara con l’omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per colloqui che riguarderanno vari dossier interconnessi. Il principale problema a essere affrontato sarà quello della crisi ucraina. Ankara sta da tempo cercando di ritagliarsi il ruolo di mediatrice nel conflitto in corso ed è recentemente tornata a proporre l’ipotesi di un incontro tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, da tenersi a Istanbul. In questo quadro, l’altro ieri il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo ucraino, Oleksii Reznikov, auspicando un cessate il fuoco e discutendo l’invio di aiuti umanitari.
Nello specifico, al di là del lato puramente diplomatico, la visita di Lavrov si concentrerà sulla delicata questione dello sblocco dei porti ucraini: un obiettivo urgente, soprattutto alla luce della crisi alimentare che rischia di aggravarsi ogni giorno di più. Ieri, Mosca ha affermato che il porto di Mariupol «sta funzionando normalmente e ha iniziato a ricevere le navi da carico» .Sul tema è intervenuto lo stesso Akar, secondo cui Turchia e Russia si starebbero coordinando per approntare un piano volto a far riprendere l’export di grano dai centri portuali dell’Ucraina: un piano che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, punterebbe ad aprire un apposito corridoio marittimo nel Mar Nero, con le navi turche che - secondo il Daily Sabah - contribuirebbero allo sminamento e scorterebbero le imbarcazioni ucraine. «Sono stati compiuti molti progressi su questo problema», ha detto Akar.
La situazione resta tuttavia significativamente grave, mentre Kiev si mostra scettica sull’intesa russo-turca dedicata a risolvere la questione del grano. Secondo il Guardian, il viceministro ucraino per la politica agraria e l’alimentazione, Taras Vysotskyi, ha affermato ieri che, anche qualora la Russia revocasse il blocco, migliaia di mine rimarrebbero galleggianti al largo del porto di Odessa. Vysotskyi ha anche aggiunto che occorreranno non meno di sei mesi per completare lo sminamento e che al momento l’Ucraina sarebbe in grado di esportare circa 2 milioni di tonnellate di grano al mese: molto meno dei 6 milioni del periodo antecedente all’avvio dell’invasione russa.
Tuttavia, secondo quanto riferito dalla testata Al Monitor, la visita turca di Lavrov affronterà anche un altro problema: la futura incursione militare in Siria che Recep Tayyip Erdogan ha recentemente annunciato. Con questa mossa, il sultano punta a infliggere un duro colpo ai curdi e a ricollocare parte dei numerosi profughi siriani attualmente presenti in Turchia: profughi che hanno creato svariati problemi socioeconomici al Paese, pesando negativamente sul consenso di un Erdogan che l’anno prossimo punta ad essere rieletto. Tra l’altro, dal 2016, il presidente turco ha già effettuato tre incursioni in Siria. Ora, non è esattamente chiaro quale sarà la posizione di Mosca davanti a questo (pare imminente) attacco: quella stessa Mosca che, ricordiamolo, è una stretta alleata del presidente siriano Bashar Al Assad. Ieri Reuters riferiva di un rafforzamento delle truppe russe e di Damasco nel Nord della Siria: il che lascerebbe intendere una certa freddezza da parte del Cremlino verso le mire del presidente turco. «Ci auguriamo che Ankara si astenga da azioni che potrebbero portare a un pericoloso deterioramento della già difficile situazione in Siria», aveva d’altronde dichiarato la settimana scorsa il ministero degli Esteri russo.
Tuttavia, non è detto che Putin dirà automaticamente di no all’incursione turca. Innanzitutto Erdogan ha già fatto sapere di non essere intenzionato ad attendere alcuna concessione da parte di Washington; una Washington che, dal canto suo, ha già mostrato una certa irritazione verso l’ipotesi di un nuovo attacco turco in territorio siriano. Mosca potrebbe quindi dare il suo assenso con lo scopo di acuire la tensione nel già difficile rapporto che intercorre tra Turchia e Stati Uniti. In secondo luogo, lo zar sa bene che, nella situazione in cui si trova, ha bisogno della sponda politica turca. Un fattore che lo porterà prevedibilmente a evitare di irritare Erdogan, il quale, guarda caso, al momento non ha ancora revocato il proprio veto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. D’altronde, il sultano sa perfettamente che, in questo momento, il capo del Cremlino non può permettersi eccessiva ostilità nei confronti delle sue pretese: non è un caso che Ankara abbia annunciato l’incursione nel pieno della crisi ucraina.
Tra l’altro, nonostante gli interessi contrastanti, Putin ed Erdogan hanno già mostrato in passato di essere disposti a collaborare pragmaticamente sul dossier siriano. Bisognerà quindi capire che cosa partorirà il vertice tra Lavrov e Cavusoglu. È proprio questo significativo dossier che misurerà infatti la temperatura effettiva dei rapporti che attualmente intercorrono tra Mosca e Ankara. La Turchia conferma la sua condotta spregiudicata. Una condotta da cui l’Occidente dovrebbe guardarsi, ma che invece sembra sempre più disposto a subire.
Severodonetsk quasi in mano russa. Pronto pure l’assedio a Sloviansk
L’impianto chimico Azot, a Severodonestk, potrebbe diventare uno scenario simile a quello già visto per l’acciaieria Azovstal di Mariupol. Le forze ucraine, secondo quanto comunicato dall’ambasciatore dell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk, Rodion Miroshnik, sarebbero state quasi completamente cacciate dalla zona industriale della città contesa situata nel Lugansk e costrette a riparare, appunto, nella fabbrica chimica. I pesanti combattimenti continuano strada per strada. Le truppe russe hanno ripreso il controllo di diverse parti di Severodonetsk, dopo un primo tentativo di contrattacco da parte ucraina che sembrava aver dato qualche risultato. Secondo l’intelligence britannica Mosca mira d isolare ancora di più l’area della città sia dal Nord (Izyum) che dal Sud (Popasna). Notizie di pesanti bombardamenti vicino a Izyum indicherebbero che Mosca si sta preparando a riprendere l’offensiva lungo l’asse settentrionale: la Russia ha bisogno di sfondare su almeno uno di questi due assi - quello meridionale di Popasna o quello settentrionale di Izyum - per proseguire la sua marcia verso l’obiettivo politico di conquistare tutto il Donbass.
L’ultimo aggiornamento fornito dal capo militare regionale del Lugansk, Sergiy Gaidai, afferma comunque che gli attacchi russi in direzione di Novookhtyrka e Voronove sono stati respinti. Lo stesso governatore, però, annuncia che è in corso la «distruzione totale» della città di Lysychansk, uno degli ultimi bastioni ucraini nel Lugansk. «I bombardamenti russi si sono intensificati in modo significativo nelle ultime 24 ore e i russi stanno utilizzando tattiche di terra bruciata». Mosca, intanto, esulta per la conquista di Svyatogorsk. Il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, ha infatti annunciato la «liberazione» della città, che si trova nella parte settentrionale dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk nella regione di Kharkiv, che è già sotto il controllo russo. «Una parte significativa delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk lungo la riva sinistra del fiume Seversky Donec, comprese le città di Krasny Liman e Svyatogorsk, insieme ad altri 15 insediamenti, sono state liberate», ha annunciato Shoigu. Tra gli insediamenti conquistati dalle truppe russe, il ministro ha citato Studenok, Yarovaya, Kirovsk, Yampol e Drobyshevo. Presto potrebbe partire l’assedio alla città strategica di Sloviansk.
Nelle ultime 24 ore, come comunica la polizia nazionale ucraina, sono stati contati 21 bombardamenti russi nella regione di Donetsk e ci sono bambini tra le vittime. Non si arresta, dunque, l’avanzata di Mosca e Natalia Nikonorova, ministro degli Esteri dell’autoproclamata Repubblica popolare del Donetsk, ha affermato che i separatisti e i loro alleati russi controllano oltre il 70% del territorio della regione. In precedenza il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, aveva affermato che il Lugansk, l’altra Oblast contesa del Donbass, era «al 97%» sotto il controllo russo. Alle conquiste russe si affianca però una perdita notevole. Roman Kutuzov, uno dei più alti generali di Mosca, è morto durante i combattimenti nel Donbass, come confermato dal leader separatista a Donetsk, Denis Pushilin. Intanto, si registra anche il decesso del primo volontario tedesco. Björn C., 39 anni, era combattente nella Ildu - Legione internazionale di difesa territoriale dell’Ucraina. Il ministero degli Esteri tedesco si sta impegnando per chiarire il caso. Mariupol, nel frattempo, è sull’orlo di un’epidemia di colera. La città, come descritto dal vicesindaco Sergei Orlovio, «sta annegando nelle acque contaminate dai rifiuti e dalla decomposizione di sepolture improvvisate». Decine di corpi di combattenti ucraini uccisi nelle acciaierie Azovstal sono stati invece restituiti a Kiev. I cadaveri sono stati trasferiti nella capitale ucraina, dove è in corso il test del Dna per identificarli. Anche a Sud proseguono i bombardamenti dell’esercito russo. Due civili sono rimasti uccisi e tre feriti nella regione di Mykolaiv, al confine con l’Oblast di Kherson.
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Riduci
Benché sostenga il regime di Assad, il ministro di Putin, ad Ankara, potrebbe dare l’ok alla campagna contro i curdi in Siria Si dovrebbe sbloccare anche l’operazione di sminamento dei porti per far partire l’export di grano. Kiev, però, ancora non si fida.In città, milizie ammassate in una fabbrica come a Mariupol. Dove ora si teme il colera.Lo speciale contiene due articoliL’asse tra Russia e Turchia è destinato a rafforzarsi? Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si incontrerà oggi ad Ankara con l’omologo turco, Mevlut Cavusoglu, per colloqui che riguarderanno vari dossier interconnessi. Il principale problema a essere affrontato sarà quello della crisi ucraina. Ankara sta da tempo cercando di ritagliarsi il ruolo di mediatrice nel conflitto in corso ed è recentemente tornata a proporre l’ipotesi di un incontro tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, da tenersi a Istanbul. In questo quadro, l’altro ieri il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo ucraino, Oleksii Reznikov, auspicando un cessate il fuoco e discutendo l’invio di aiuti umanitari. Nello specifico, al di là del lato puramente diplomatico, la visita di Lavrov si concentrerà sulla delicata questione dello sblocco dei porti ucraini: un obiettivo urgente, soprattutto alla luce della crisi alimentare che rischia di aggravarsi ogni giorno di più. Ieri, Mosca ha affermato che il porto di Mariupol «sta funzionando normalmente e ha iniziato a ricevere le navi da carico» .Sul tema è intervenuto lo stesso Akar, secondo cui Turchia e Russia si starebbero coordinando per approntare un piano volto a far riprendere l’export di grano dai centri portuali dell’Ucraina: un piano che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, punterebbe ad aprire un apposito corridoio marittimo nel Mar Nero, con le navi turche che - secondo il Daily Sabah - contribuirebbero allo sminamento e scorterebbero le imbarcazioni ucraine. «Sono stati compiuti molti progressi su questo problema», ha detto Akar. La situazione resta tuttavia significativamente grave, mentre Kiev si mostra scettica sull’intesa russo-turca dedicata a risolvere la questione del grano. Secondo il Guardian, il viceministro ucraino per la politica agraria e l’alimentazione, Taras Vysotskyi, ha affermato ieri che, anche qualora la Russia revocasse il blocco, migliaia di mine rimarrebbero galleggianti al largo del porto di Odessa. Vysotskyi ha anche aggiunto che occorreranno non meno di sei mesi per completare lo sminamento e che al momento l’Ucraina sarebbe in grado di esportare circa 2 milioni di tonnellate di grano al mese: molto meno dei 6 milioni del periodo antecedente all’avvio dell’invasione russa. Tuttavia, secondo quanto riferito dalla testata Al Monitor, la visita turca di Lavrov affronterà anche un altro problema: la futura incursione militare in Siria che Recep Tayyip Erdogan ha recentemente annunciato. Con questa mossa, il sultano punta a infliggere un duro colpo ai curdi e a ricollocare parte dei numerosi profughi siriani attualmente presenti in Turchia: profughi che hanno creato svariati problemi socioeconomici al Paese, pesando negativamente sul consenso di un Erdogan che l’anno prossimo punta ad essere rieletto. Tra l’altro, dal 2016, il presidente turco ha già effettuato tre incursioni in Siria. Ora, non è esattamente chiaro quale sarà la posizione di Mosca davanti a questo (pare imminente) attacco: quella stessa Mosca che, ricordiamolo, è una stretta alleata del presidente siriano Bashar Al Assad. Ieri Reuters riferiva di un rafforzamento delle truppe russe e di Damasco nel Nord della Siria: il che lascerebbe intendere una certa freddezza da parte del Cremlino verso le mire del presidente turco. «Ci auguriamo che Ankara si astenga da azioni che potrebbero portare a un pericoloso deterioramento della già difficile situazione in Siria», aveva d’altronde dichiarato la settimana scorsa il ministero degli Esteri russo. Tuttavia, non è detto che Putin dirà automaticamente di no all’incursione turca. Innanzitutto Erdogan ha già fatto sapere di non essere intenzionato ad attendere alcuna concessione da parte di Washington; una Washington che, dal canto suo, ha già mostrato una certa irritazione verso l’ipotesi di un nuovo attacco turco in territorio siriano. Mosca potrebbe quindi dare il suo assenso con lo scopo di acuire la tensione nel già difficile rapporto che intercorre tra Turchia e Stati Uniti. In secondo luogo, lo zar sa bene che, nella situazione in cui si trova, ha bisogno della sponda politica turca. Un fattore che lo porterà prevedibilmente a evitare di irritare Erdogan, il quale, guarda caso, al momento non ha ancora revocato il proprio veto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. D’altronde, il sultano sa perfettamente che, in questo momento, il capo del Cremlino non può permettersi eccessiva ostilità nei confronti delle sue pretese: non è un caso che Ankara abbia annunciato l’incursione nel pieno della crisi ucraina. Tra l’altro, nonostante gli interessi contrastanti, Putin ed Erdogan hanno già mostrato in passato di essere disposti a collaborare pragmaticamente sul dossier siriano. Bisognerà quindi capire che cosa partorirà il vertice tra Lavrov e Cavusoglu. È proprio questo significativo dossier che misurerà infatti la temperatura effettiva dei rapporti che attualmente intercorrono tra Mosca e Ankara. La Turchia conferma la sua condotta spregiudicata. Una condotta da cui l’Occidente dovrebbe guardarsi, ma che invece sembra sempre più disposto a subire. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lavrov-va-a-benedire-la-guerra-di-erdogan-2657472079.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="severodonetsk-quasi-in-mano-russa-pronto-pure-lassedio-a-sloviansk" data-post-id="2657472079" data-published-at="1654638461" data-use-pagination="False"> Severodonetsk quasi in mano russa. Pronto pure l’assedio a Sloviansk L’impianto chimico Azot, a Severodonestk, potrebbe diventare uno scenario simile a quello già visto per l’acciaieria Azovstal di Mariupol. Le forze ucraine, secondo quanto comunicato dall’ambasciatore dell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk, Rodion Miroshnik, sarebbero state quasi completamente cacciate dalla zona industriale della città contesa situata nel Lugansk e costrette a riparare, appunto, nella fabbrica chimica. I pesanti combattimenti continuano strada per strada. Le truppe russe hanno ripreso il controllo di diverse parti di Severodonetsk, dopo un primo tentativo di contrattacco da parte ucraina che sembrava aver dato qualche risultato. Secondo l’intelligence britannica Mosca mira d isolare ancora di più l’area della città sia dal Nord (Izyum) che dal Sud (Popasna). Notizie di pesanti bombardamenti vicino a Izyum indicherebbero che Mosca si sta preparando a riprendere l’offensiva lungo l’asse settentrionale: la Russia ha bisogno di sfondare su almeno uno di questi due assi - quello meridionale di Popasna o quello settentrionale di Izyum - per proseguire la sua marcia verso l’obiettivo politico di conquistare tutto il Donbass. L’ultimo aggiornamento fornito dal capo militare regionale del Lugansk, Sergiy Gaidai, afferma comunque che gli attacchi russi in direzione di Novookhtyrka e Voronove sono stati respinti. Lo stesso governatore, però, annuncia che è in corso la «distruzione totale» della città di Lysychansk, uno degli ultimi bastioni ucraini nel Lugansk. «I bombardamenti russi si sono intensificati in modo significativo nelle ultime 24 ore e i russi stanno utilizzando tattiche di terra bruciata». Mosca, intanto, esulta per la conquista di Svyatogorsk. Il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, ha infatti annunciato la «liberazione» della città, che si trova nella parte settentrionale dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk nella regione di Kharkiv, che è già sotto il controllo russo. «Una parte significativa delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk lungo la riva sinistra del fiume Seversky Donec, comprese le città di Krasny Liman e Svyatogorsk, insieme ad altri 15 insediamenti, sono state liberate», ha annunciato Shoigu. Tra gli insediamenti conquistati dalle truppe russe, il ministro ha citato Studenok, Yarovaya, Kirovsk, Yampol e Drobyshevo. Presto potrebbe partire l’assedio alla città strategica di Sloviansk. Nelle ultime 24 ore, come comunica la polizia nazionale ucraina, sono stati contati 21 bombardamenti russi nella regione di Donetsk e ci sono bambini tra le vittime. Non si arresta, dunque, l’avanzata di Mosca e Natalia Nikonorova, ministro degli Esteri dell’autoproclamata Repubblica popolare del Donetsk, ha affermato che i separatisti e i loro alleati russi controllano oltre il 70% del territorio della regione. In precedenza il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, aveva affermato che il Lugansk, l’altra Oblast contesa del Donbass, era «al 97%» sotto il controllo russo. Alle conquiste russe si affianca però una perdita notevole. Roman Kutuzov, uno dei più alti generali di Mosca, è morto durante i combattimenti nel Donbass, come confermato dal leader separatista a Donetsk, Denis Pushilin. Intanto, si registra anche il decesso del primo volontario tedesco. Björn C., 39 anni, era combattente nella Ildu - Legione internazionale di difesa territoriale dell’Ucraina. Il ministero degli Esteri tedesco si sta impegnando per chiarire il caso. Mariupol, nel frattempo, è sull’orlo di un’epidemia di colera. La città, come descritto dal vicesindaco Sergei Orlovio, «sta annegando nelle acque contaminate dai rifiuti e dalla decomposizione di sepolture improvvisate». Decine di corpi di combattenti ucraini uccisi nelle acciaierie Azovstal sono stati invece restituiti a Kiev. I cadaveri sono stati trasferiti nella capitale ucraina, dove è in corso il test del Dna per identificarli. Anche a Sud proseguono i bombardamenti dell’esercito russo. Due civili sono rimasti uccisi e tre feriti nella regione di Mykolaiv, al confine con l’Oblast di Kherson.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il Capo della Polizia, Prefetto Vittorio Pisani, e altri vertici delle forze dell’ordine per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il Capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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