2019-07-10
L’autonomia può sbattere i sindacati fuori dalla scuola
I nuovi poteri di contrattazione in mano alle Regioni metterebbero all'angolo la Triplice. Che fa incetta di iscritti (solo) tra i prof.Quando negli anni Ottanta il ministro della Pubblica istruzione, la Dc Franca Falcucci, diceva chiaramente che «senza il permesso del sindacato, noi nelle scuole non possiamo neanche spostare un banco…», fotografava una realtà ingombrante per ogni governo. Un sistema di potere, rimasto immutato fino ai nostri giorni, che nessuna maggioranza politica ha potuto, o voluto, mettere in discussione. Questo spiega come mai alla vigilia della riforma delle autonomie che potrebbe coinvolgere, secondo le intenzioni della Lega, anche il sistema scolastico, a gridare di più sono i sindacati. E dal loro punto di vista non hanno torto. La prospettiva che numerose prerogative sulle quali da sempre mettono becco, passino alle Regioni, rappresenta una minaccia alla loro forza contrattuale.In nessun altro comparto industriale e della pubblica amministrazione i sindacati hanno mantenuta inalterata la capacità di condizionare le scelte del governo. L'origine del loro potere è nel numero degli iscritti che, in controtendenza rispetto al contesto generale, sono addirittura in crescita. Secondo i dati dell'Aran, l'agenzia che gestisce il rinnovo dei contratti pubblici, un docente su due fa capo a una sigla di rappresentanza. Non c'è settore più sindacalizzato della scuola. Per il triennio 2019-2021 gli iscritti sono aumentati del 9,2% rispetto ai precedenti tre anni e del 40% rispetto al 2001. Complessivamente formano un esercito di 659.542 persone, pronte a incrociare le braccia, senza batter ciglio, in modo compatto. Specie se lo sciopero è agganciato, come spesso accade, a ponti e festivi. La Cisl ha addirittura guadagnato un buon 15% tornando ad essere la prima organizzazione, con il 24,73% della platea scolastica e scalzando la Cgil che dal 27% del triennio precedente, ora è scesa al 24,01. Si difende la Uil scuola con 96.000 iscritti e il 15,65% della rappresentatività.Percentuali che spiegano i decibel della polemica contro la riforma delle autonomie e il vigore della minaccia con cui si brandisce il bastone dello sciopero. Ma soprattutto mostrano con chiarezza che la scuola è la roccaforte sindacale nel pubblico impiego. L'ultima rimasta nel mercato del lavoro. E soprattutto è un serbatoio, che ancora funziona, per il travaso degli iscritti nei consensi elettorali. Tessere che al momento opportuno possono trasformarsi in voti.Non c'è provvedimento nella scuola che per passare non abbia bisogno della «bollinatura» sindacale; dalle retribuzioni, alle assunzioni, allo spostamento degli insegnanti. Quel via vai di docenti, gestito senza curarsi delle ripercussioni per la continuità delle lezioni. La regionalizzazione del sistema scolastico rischia di far saltare questo meccanismo di strapotere o comunque di ridimensionarlo. Le Regioni potrebbero intervenire su alcuni aspetti nevralgici dell'offerta formativa: definire l'organizzazione didattica, il trattamento economico degli insegnanti, con l'obiettivo di garantire stipendi più alti ma anche decidere sull'orario, il fabbisogno di personale attraverso concorsi regionali, l'alternanza scuola-lavoro, l'assegnazione dei contributi alle paritarie. La loro competenza si estenderebbe anche sul personale amministrativo Ata. Il sistema delle graduatorie verrebbe modificato. Il sindacato vedrebbe sfilarsi molti ambiti in cui detta legge. A fare fuoco di sbarramento, con un potere di veto che non ha eguali, non ci sono solo Cgil, Cisl e Uil. Il numero di sigle nella scuola non teme confronti nemmeno con il settore dei trasporti che su questo campo ha sempre avuto un primato e una capacità senza eguali, di condizionare le decisioni governative. Numerose e agguerrite le rappresentanze autonome; Snals, i sindacati di base Cobas, Unicobas, Usb Scuola, Ugl, Gilda, Anief. Persino chi insegna religione ha il suo «angelo custode» nello Snadir. Non manca neppure un sindacato online, il Saese, con sensibilità ecologiste, che vanta un riconoscimento dall'Unione europea. È un esercito attrezzato sul quale avere la meglio, per il governo, non sarà facile.