Domani si riunisce la giunta delle Immunità sul caso Diciotti. Pd e M5s hanno i voti per autorizzare il processo al vicepremier. Se poi l'intesa si replicasse al Senato, sarebbe una mina sotto ai gialloblù. E la Lega avverte l'alleato: «Mandereste alla sbarra il governo».
Domani si riunisce la giunta delle Immunità sul caso Diciotti. Pd e M5s hanno i voti per autorizzare il processo al vicepremier. Se poi l'intesa si replicasse al Senato, sarebbe una mina sotto ai gialloblù. E la Lega avverte l'alleato: «Mandereste alla sbarra il governo».L'autorizzazione a procedere a Claudio Lotito, il presidente della Lazio indagato dai pm di Roma perché si sarebbe fatto levare multe per 26.000 euro, i grillini gliel'avrebbero probabilmente votata in cinque secondi. Ma il 4 marzo scorso Lotito, candidato al Senato per Forza Italia in Campania, ha mancato il colpo per una manciata di voti. E invece ai pentastellati, finiti nel frattempo al governo con la Lega, adesso toccherà votare l'autorizzazione per Matteo Salvini sul caso Diciotti. In ossequio al noto rispetto di M5s per la magistratura, ma con il rischio di far cadere il governo, perché la Lega ieri l'ha detto bello chiaro: «Chi vota contro Salvini vota contro l'esecutivo». E se si tornasse alle urne, sondaggi alla mano, la Lega si mangerebbe un bel po' di voti grillini, si ricompatterebbe con Forza Italia e, chissà, magari pure Lotito questa volta ce la farebbe. La giunta per le Immunità del Senato si riunirà domani per iniziare a esaminare il caso Diciotti, ovvero la richiesta del Tribunale dei ministri di Catania di poter procedere contro il senatore Salvini, che è indagato per abuso di potere e sequestro di persona. Da ministro dell'Interno avrebbe rapito nientemeno che 177 migranti impedendo loro di scendere dalla nave, mettendo a segno un'impresa indubbiamente poco eroica, perché facilitata dal fatto di avere a disposizione polizia e prefetti, per commettere i suoi reati e farla anche franca. Il capo della Lega sa che si trova a giocare la classica mano «win-win». Se gli alleati di governo lo faranno processare, andrà alle urne anticipate da martire della magistratura e dei 5 stelle, praticamente il sogno di Silvio Berlusconi. Se invece lo «salveranno», potrà far vedere ai pm di Catania, ma anche un po' a quelli di tutta Italia, quanto siano soli. E allora anche ieri Salvini ha ostentato fairplay: «I 5 stelle scelgano con coscienza, non impongo niente a nessuno e non ho bisogno di aiutini nascosti perché ritengo di aver fatto semplicemente il mio dovere». Da bravo vicepremier, ha ricordato ai co-firmatari del famoso contratto di governo le cose fatte insieme, dalla riforma Fornero smontata, alla pace fiscale, per poi giocare al gatto con il topo: «Ci sono talmente tante cose da fare che figuriamoci se metto in discussione il governo per la mia persona». E già, tanto poi ci hanno pensato i suoi colonnelli a metà pomeriggio con un bell'avvertimento alle anime belle a 5 stelle. «Processare chi, nell'esercizio delle sue funzioni di ministro dell'Interno, ha agito nel pieno rispetto delle leggi e della Costituzione e ottemperato al mandato ricevuto dagli elettori, quello cioè di garantire rispetto delle regole e delle normative, significa inequivocabilmente tentare di processare il governo». Questo il passaggio chiave di una nota dei capigruppo della Lega al Senato e alla Camera, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari.Nelle stesse ore, si riunivano i membri grillini della giunta del Senato, per decidere che fare. La previsione della vigilia è che potrebbero anche votare «sì» in giunta, per poi votare «no» in Aula. Come dire: tecnicamente M5s non ritiene infondata la richiesta della magistratura, ma poi si può anche fare una valutazione politica. E la valutazione politica è quella che fanno a mezza bocca un po' tutti i senatori pentastellati: «Ci vogliono dividere perché stiamo governando bene». Ma quali sono i numeri in giunta? I componenti sono 23 e il pronostico, sulla carta, è che vinca il «sì» all'autorizzazione. Il centrodestra è compatto per il «no», ma sommando i quattro forzisti, i quattro leghisti e il senatore di Fratelli d'Italia ci si ferma a 9 voti. Se invece si sommano i membri in giunta di M5s (7), Pd (4) e Leu (1), si arriva a 12 voti a favore dell'autorizzazione. Ieri si è fatto vivo anche Matteo Renzi in persona, per dire che lui le carte le ha lette tutte, «con attenzione e senza pregiudizio ideologico», e alla fine voterà a favore della richiesta (ma non in giunta, perché non c'è). Resta da capire come voteranno Gregorio De Falco (cacciato dal M5s e ora nel Misto) e Meinhard Durnwalder (Svp). Il comandante De Falco è stato espulso da M5s per non aver votato il decreto Sicurezza, provvedimento-bandiera di Salvini, e difficilmente si opporrà ai pm. Durnwalder è invece ancora un'incognita perché la Svp si era alleata con il Pd alle ultime politiche, accogliendo a braccia aperte la «migrante» Maria Elena Boschi, ma in provincia di Bolzano si è appena accordata con la Lega. La seduta di domani si aprirà in ogni caso con la relazione del presidente Maurizio Gasparri, di Forza Italia, che sarà anche il relatore del caso. Ci vorrà un mese per la decisione della giunta e Salvini avrà ovviamente tempo e modo di difendersi, di persona, o con una memoria scritta. E poi, sia in giunta che in aAula, niente rischio franchi tiratori per il governo, perché si vota a scrutinio palese. I sette grillini sono dunque decisivi e qui la partita promette di essere appassionante. La posizione ufficiale in questi casi è che il Movimento non mette mai i bastoni tra le ruote all'accertamento della verità da parte delle toghe. Ma la senatrice Elvira Evangelista ha già spiegato che ci sono «delle vicende tecniche da valutare in modo approfondito e nulla è deciso». Anche le senatrici Grazia D'Angelo (vicepresidente della giunta) e Agnese Gallicchio restano prudenti, e in attesa di istruzioni. Il più esperto dei sei è sicuramente Michele Giarrusso, catanese, durissimo su tutti i temi della legalità. Nei giorni scorsi ha definito in Aula «una vergogna e un insulto al presidente Sergio Mattarella e ai parenti delle vittime della mafia» la mostra in Senato che celebrava i 100 anni dalla nascita di Giulio Andreotti. Salvini però non è accusato di essere un amico dei padrini, anzi.
Friedrich Merz ed Emmanuel Macron (Ansa)
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Per intercettare dei mezzi piuttosto lenti la risposta occidentale è stata sproporzionata.
Getty images
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La madre dell’uomo: «Non andava liberato». Il Gop vuol rimuovere la toga responsabile.