2023-12-07
L’ascesa dai centri sociali ai vescovi del «ventriloquo» dell’ex no global
Veneto d’adozione (fu assessore a Venezia), Giuseppe Caccia, che teleguidava l’attivista come Gianni Boncompagni faceva con Ambra, è stato sindacalista (Fiom Cgil) e militante verde prima di trasformarsi in «pescatore» di migranti.Se tre filosofi come Gilles Deleuze, Félix Guattari e Massimo Cacciari avessero letto le chat in cui il loro allievo chiama quello scappato di casa di Luca Casarini «fratellone» e gli scrive «ti lovvo», probabilmente lo avrebbero incenerito. I primi due dall’alto dei cieli, il terzo da qualche studio tv. Ma Giuseppe Caccia, armatore della Mare Jonio e conducator della ong Mediterranea insieme all’ex leader delle tute bianche, è un tipo di multiforme ingegno e variopinto curriculum: operaio, sindacalista, antagonista da centro sociale, consigliere comunale e assessore a Venezia per i verdi, ricercatore, filosofo della politica e da cinque anni «pescatore di uomini», come direbbe il suo amico don Mattia Ferrari, cappellano di bordo del naviglio che solca il Mediterraneo alla ricerca di migranti. Cinquantacinque anni, bresciano ma veneziano d’adozione, Caccia Giuseppe detto Beppe ha una certa somiglianza fisica con l’ex direttore generale della Rai Pier Luigi Celli. Solo che ha l’aria più frugale. Chierica, occhialetti tondi, baffi e barbetta lo fanno sembrare un frate in libera uscita e forse questo sembiante lo ha aiutato, insieme al «Fratellone», a sedurre i vescovoni della Cei e a ottenerne il santo denaro. In questi giorni i lettori della Verità hanno potuto apprezzare che, almeno al telefono, Frate Mitra (nel senso del copricapo vescovile, non delle Brigate rosse) parla come mangia. Come faceva Gianni Boncompagni con la giovane Ambra, suggerisce a Casarini i testi nelle occasioni più importanti, sussurrandogli cose tipo «Stai calmissimo e amorevolissimo», manco dovessero andare in missione sulle orme di Paolo di Tarso a placare una rivolta di cristiani. Quando c’è da battere cassa con gli amici preti, è sempre Frate Mitra a ideare la strategia. Idem se c’è da far fuori i frondisti della ong, capitanati dalla figlia di Gino Strada, Cecilia, con il nostro armatore capo che alla fine passa agli insulti e parlando all’amico Luca definisce la Strada e la sua collaboratrice come persone che «fanno il lavoro sporco» e sarebbero pure «psicopatiche». Insomma, c’era del patriarcato tossico anche a bordo della Mare Jonio e non se n’era accorto neppure don Mattia, che Frate Mitra in un’intercettazione definisce comunque «un ectoplasma». Insomma, una parola buona per tutti, il compagno Beppe. Che però ogni tanto è un po’ nervoso perché da lui dipendono i conti della ong e allora a un certo punto scrive a Casarini, conosciuto vent’anni fa nei centri sociali del Nord Est: «Se la situazione finanziaria diventa drammatica, bisogna andare da Matteo Zuppi (presidente della Cei, ndr) e da Lorefice (Corrado, vescovo di Palermo, ndr) e battere cassa. Loro hanno i soldi e personalmente gli arcivescovi hanno sempre una dotazione di cui dispongono liberamente». Le indagini della Guardia di finanza non ci dicono se Casarini e Caccia hanno fatto anche due belle visure ai monsignori, giusto per inquadrarli meglio. Però alla fine il problema, come spesso accade, è nel curriculum. Quello di Frate Mitra è ricco, ricchissimo, ma non di esperienze gestionali o marinare. L’unica volta che ha lavorato veramente, ha fatto l’operaio alle Fonderie San Zeno Naviglio (Brescia). Erano gli anni tra il 1990 e il 1993, studiava filosofia, e in capo a pochi mesi è diventato sindacalista in quota Fiom Cgil, ma senza tessera. La precisazione è importante, perché il compagno Beppe non è di quelli che si fanno etichettare tanto facilmente. Non a caso, si laurea con una tesi sui filosofi Deleuze e Guattari, ricordati come i padri dell’antipsichiatria, ma soprattutto pensatori profondamente liberi e difficili da incasellare. Nel corso degli anni, il futuro Frate Mitra studia filosofia politica a Padova e Torino, prende un dottorato e inizia a collaborare con vari enti, dalla ong Rosa Luxemburg di Berlino (area sinistra, con cui lavora ancora oggi) alla Fondazione innovazione urbana di Bologna, passando per l’Istituto Antonio Gramsci del Veneto e il Mulino di Bologna. Nel 2011, fonda il Centro studi per l’Alternativa, presieduto dal suo amico Gianni Rinaldini, ex segretario della Fiom Cgil. L’ottima conoscenza di inglese e tedesco ha anche consentito a Caccia di lavorare come traduttore per Castelvecchi Editore e Manifesto libri. Una tessera, però l’aveva presa, ed è stato per entrare in politica dalla porta delle istituzioni. Dal 1998 al 2008, Frate Mitra si iscrive ai verdi italiani, una scelta tanto vaga quanto obbligata per chi con il cuore sta ben più a sinistra della sinistra istituzionale. Da rossoverde movimentista, è stato capogruppo in consiglio comunale a Venezia dal 1997 al 2001 con Cacciari sindaco e dal 2001 al 2005 ha fatto l’assessore alle politiche sociali con la giunta guidata dal prodiano Paolo Costa. Dal 2009 ha orgogliosamente comunicato agli amici di non avere più nessuna tessera politica in tasca. Ha fatto ancora il consigliere comunale fino al 2014 come cane sciolto, e poi è salpato intrepido verso il mondo dell’internazionalismo antagonista e umanitario, aderendo all’organizzazione European Alternatives, un’ong che promuove «democrazia, eguaglianza e cultura» e che è stata fondata a Londra nel 2007. Il cuore di Frate Mitra, nonostante le peregrinazioni e le avventure marinare, resta comunque nel Veneto, dove è una delle figure storiche dell’ultra sinistra e dei centri sociali e dove ha contribuito a far crescere Radio Onda d’Urto, l’emittente di area. Un’altra onda d’urto, quella dell’inchiesta della procura di Ragusa, rischia di rimandarlo a casa.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)