2024-07-23
L’arringa di Galli: lui non sbaglia, sbagliata è la regola
La virostar condannata per Concorsopoli critica i criteri italiani per reclutare i prof. «Da cambiare». Magari, prima di violarli...È la legge a essere sbagliata, non lui ad averla violata. Anche se privato del palcoscenico televisivo che ha così a lungo frequentato con pervicacia e ostinazione, l’infettivologo Massimo Galli non finisce di impartire lezioni al pianeta su come dovrebbe compiere la rotazione terrestre. Dopo aver insegnato a noi ignorantoni come comportarci durante la pandemia con lo scudiscio in mano, ecco che spiega al legislatore come dovrebbe legiferare e ai giudici come dovrebbero sentenziare. Del resto il suo motto preferito in tv era «Se non lo sa, si informi».Questa volta il tema non è il virus - con le sue amate parole chiave «lockdown, variante assassina, green pass, quinta dose» - ma il concorso universitario ideale. Che ovviamente per essere perfetto dovrebbe seguire le modalità dell’esimio prof in pensione, non quelle dello Stato che gli sono costate una condanna per falso. Dopo una settimana necessaria per riprendersi dal ko giudiziario, il Galli ha cantato di nuovo. Questa volta con una lettera al Corriere della Sera nella quale, armato di prosa impenetrabile come alcune aree della foresta amazzonica, ha tentato di giustificare pubblicamente il suo comportamento, di fatto spiegando che la legge 240 varata nel 2011 sulle «modalità di reclutamento dei professori universitari» è una schifezza. Praticamente la considera come tre anni fa considerava le cure con gli anticorpi monoclonali. Era il tempo delle ospitate permanenti davanti alle telecamere, quando cantava nel coro governativo diretto dal maestro Roberto Speranza il refrain «tachipirina e vigile attesa». Allora il virologo interista-leninista (in gioventù aveva avuto un debole per Mario Corso e Mario Capanna) mandava a quel paese chiunque osasse sollevare il minimo dubbio rispetto alle strategie del ministero, era il custode della provetta ufficiale, dava del tu agli «Rna a filamento positivo e ai nucleocapsidi di simmetria elicoidale», lessico sufficiente per terrorizzare qualche decina di milioni di italiani. Salvo poi farsi curare la variante Omicron, presa in coda alla pandemia, proprio con le monoclonali. E questa è coerenza.Ora l’obiettivo di Galli è scardinare con il piede di porco la legge 240, maledetto orpello che lo ha costretto a incartare e portare a casa una condanna in primo grado per falso (un anno e quattro mesi), al culmine di un imbarazzante processo a Milano, con l’accusa di avere pilotato un concorso universitario e di avere favorito l’assunzione di un ex collaboratore. Assolto dalla turbativa d’asta, lui ha subito rimandato al mittente l’intera sentenza secondo lo stile della casa («Se non lo sa, si informi») facendo sapere che «se per chiudere la questione bisognava avere una condanna per qualcosa, evidentemente restava solo la possibilità del falso». Nella lettera al Corriere, Galli sostiene che questo modo di allestire i concorsi è sbagliato. Arriva a difendere il bando baronale su misura perché «nessun docente si imbarca nell’impresa di ottenere un concorso per la sua disciplina se chi lo chiede non è certo dell’esistenza di un candidato interessato e in possesso dei titoli necessari». E aggiunge che «affermare il contrario è pura ipocrisia difensiva, esibita per non incorrere nelle censure della legge in vigore». Riassumendo, secondo lui bisogna cambiare la norma. E non dovrebbe essere illecito violarla prima di cambiarla. Un atteggiamento che non ha niente a che vedere con lo spirito guida del Galli fin qui conosciuto, ferreo difensore di un protocollo sanitario traballante, mascherato dietro il più subdolo dei luoghi comuni: «Lo dice la Scienza». Allora essere fedeli alla linea in silenzio era l’unico comportamento accettato. La critica non era ammessa, chi faceva jogging andava arrestato, chi non sventolava il green pass era un paria. Tutto ciò mentre lui, generale Mikhail Kutuzov dal volto pacioccone, ripeteva a nastro: «Vedo troppa gente per strada», «Abbiamo cominciato la battaglia di Milano». E lanciava siluri a tutti. Siluri agli scettici, ai perplessi, all’opposizione, alla Regione Lombardia (affiancando forse inconsapevolmente il meschino tentativo di ribaltone politico orchestrato dal Pd in piena pandemia). Roba da far venire i brividi solo a ricercarla in archivio.Poiché siamo più libertari del prof condannato, riteniamo che abbia ragione quando dice che «se si vuole che le nostre università siano in grado di competere scientificamente a livello internazionale e svolgano appieno i loro compiti formativi, tocca virare verso una modalità di reclutamento che garantisca una maggiore efficienza». E lo sosteniamo senza tentennamenti quando sottolinea che «tutelare i diritti individuali e il merito, senza ignorare le esigenze della collettività e della ricerca, non è impossibile». Anzi davanti a questa frase ci scende sulla guancia una lacrima di emozione. «Tutelare i diritti individuali senza ignorare le esigenze della collettività» finalmente è diventato un valore perfino per lui. Almeno quando gli fa comodo. Un outing in piena regola, una svolta sociale, civile, verso quel totem inalienabile (il diritto individuale) che il virologo mediatico per due anni aveva contribuito a picconare, massacrare, annientare, trasformandosi in sacerdote catodico della dittatura sanitaria. Senza mai un’incertezza, senza mai un tentennamento nei confronti di chi chiedeva il rispetto dei propri diritti individuali. Sempre pollice verso, vero professor Galli? Salvo cambiare idea quando un pollice vagante gli è finito in un occhio.
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