2020-02-14
«L’antica Roma? Una città aperta. Ai ricchi»
La regina dei best seller storici Emma Pomilio rivela virtù e depravazioni dei nostri antenati: «Nell'Urbe non si facevano discriminazioni razziali: contava il denaro. Era accettata anche l'omosessualità, così come la pedofilia. E le donne sparlavano delle etrusche».Da odontotecnica a scrittrice di successo. Ci credereste? Eppure l'abruzzese Emma Pomilio, laureata in lettere classiche e autrice di best seller storici, per quasi vent'anni si è occupata di protesi dentarie. Alla fine è entrata in crisi e ha deciso di abbandonare lo studio dentistico, che divideva col marito (un professionista molto affermato ad Avezzano e a Roma), per scegliere l'impervia strada della letteratura, cominciando con intensificare gli studi e le ricerche sull'antica Roma, di cui è stata da sempre appassionata. La Pomilio è considerata anche un'esperta di schiavitù dell'epoca antica. Un incoraggiamento psicologico le è sicuramente venuto dall'essere la nipote dello scrittore di grande successo Mario Pomilio. L'ultimo di una serie di libri (pubblicati da Mondadori) è I Tarquini. La dinastia segreta, un romanzo di quasi 450 pagine di agevolissima lettura, ricchissimo di sorprese e di piccoli imprevedibili eventi che fanno diventare quasi un thriller il lungo racconto sui re di Roma e, in particolare, sulle travagliate vicende del re Anco Marzio, che prende in simpatia il ricco mercante-guerriero di Tarquinia, Lucumone (figlio di Demarato, fuggito da Corinto), che aveva sposato la bellissima principessa etrusca Tanaquil, conosciuta anche per le sue doti di indovina. E che, alla fine diventerà il quinto re di Roma, col nome di Tarquinio Prisco.Emma Pomilio, come si è detto, non è alle prime armi come «inventrice di storie» sull'antica Roma. Fra i libri pubblicati vi sono La vespa nell'ambra, Il sangue dei fratelli, Il ribelle, La notte di Roma, Dominus. Lei ha scritto che spesso «costruisce» delle storie, frutto della sua fantasia, ma «senza alterare i dati storici». Come stanno le cose?«Ricordiamoci che racconto fatti della Roma dei Tarquini, quando cioè Roma cominciava ad affacciarsi sul Mediterraneo intorno al 600 avanti Cristo. Parlo di Roma, delle città etrusche, latine, sabine, del Lazio e delle zone limitrofe. I personaggi del mio romanzo sono quelli tramandati dalla tradizione. Di alcuni è stata dimostrata, da studiosi del passato, la storicità, altri sono considerati leggendari. Ho letto i testi di molti studiosi e ho seguito gli insegnamenti del maestro Andrea Carandini e della sua scuola».Ma sicuramente ha inventato delle storie, così come personaggi di fantasia: donne indovine, soldati di ventura che conquistano città e altri.«Certo, molte storie sono inventate, ma sono verosimili. Vi sono indizi, come le scoperte archeologiche, che confermano la loro verosimiglianza».Si capisce che lei ha molta simpatia per gli etruschi, definiti condottieri eccellenti, esperti nell'uso delle armi, ma anche come mercanti, coltivatori, navigatori, sacerdoti, oltre che chef e buongustai.«Gli etruschi erano molto bravi nell'uso delle armi, contrariamente a quanto ritiene qualche storico. Loro seguivano gli insegnamenti dei condottieri greci, bravissimi a quell'epoca. Avevano, ad esempio, inventato la falange e altre tecniche e strategie di combattimento. I romani li imitavano e impararono moltissimo dagli etruschi; hanno copiato da loro i segreti per costruire potenti fortificazioni per proteggere le loro città, oltre che le tecniche per produrre le armi più resistenti e più efficaci per arrecare i danni maggiori ai nemici».Le donne etrusche come venivano definite dai romani, virtuose o no? «In generale gli etruschi erano più colti e civili dei romani di quella fase storica. Le loro donne, soprattutto quelle dei ceti elevati (le aristocratiche in modo particolare), erano molto eleganti, indossavano gioielli costosi e utilizzavano profumi e cosmetici sofisticati per quell'epoca. Tenevano molto alla loro cura personale; nelle loro case erano le vere dominatrici e influenzavo moltissimo i loro mariti e genitori. Spesso imponevano il loro cognome ai figli, insieme a quello del marito. Le romane erano invidiose e cercavano di screditarle soprattutto per l'uso che le signore etrusche avevano a Roma di sdraiarsi vicino ai mariti o fidanzati su divani, cuscini e tappeti, e perché bevevano vino come gli uomini. Solo per questo loro comportamento le definivano dissolute e di facili costumi».Vi erano anche numerose donne sacerdotesse e indovine?«È vero. Anche gli uomini svolgevano quei ruoli, ma in certe località prevalevano le donne, anche molto giovani, come Tanaquil, Velia e Ocrisia, descritte nel mio romanzo».Le donne erano sacerdotesse molto richieste nelle comunità etrusche, come Veio, Vulci e Vezna, l'attuale Bolsena. In queste e altre località sono state trovate diverse tombe di donne sacerdotesse.«La dea Fortuna, originaria di Vulsinii, anche se con altri nomi, era molto seguita soprattutto da Servio Tullio, che la considerava la sua protettrice: fece costruire a Roma in suo onore ben 28 templi e altari nelle diverse zone della città».Nelle opere degli storici romani, come Tito Livio, si trovano poche tracce degli usi e costumi degli uomini e delle donne del tempo e delle relazioni tra le diverse componenti della popolazione romana.«Oltre ai pochi testi esistenti di storici più vicini a quegli eventi dell'antica Roma (anche se le distanze erano comunque almeno di tre-quattro secoli), si poteva attingere agli archivi delle grandi famiglie aristocratiche romane, che rappresentavano delle buone fonti. Ovviamente quando questo era possibile, perché, come è noto, gli incendi a Roma sono stati numerosi».Roma era una «città aperta», già all'epoca dei Tarquini: convivevano, oltre ai romani, etruschi, latini, sabini, greci e altri di varie nazionalità. Ricorda la Roma di oggi, con gli immigrati dalle più diverse origini etniche, culturali e religiose? «In un certo senso sì. Ma a quell'epoca non esistevano le discriminazioni, soprattutto se si possedeva molto denaro, rappresentato dalla disponibilità di molte strisce di oro, argento e bronzo. Non era però facile ottenere la cittadinanza, anche se era più facile a Roma che nelle città etrusche, se si poteva disporre di oro. Nel mio libro racconto come fosse difficile al mercante Lucumone (poi diventato Servio Tullio) diventare cittadino di Tarquinia, anche se aveva sposato una principessa etrusca. Vi riesce a Roma, col suo oro, ma solo perché lo decide il re Anco Marzio».Nella Roma dei Tarquini (ma anche dopo) ci si poteva sposare - per convenienza, conquista del potere o «ragioni di Stato» - anche tra fratello e sorella, come è accaduto a Servio Tullio con sua sorella Tarquinia.«Quei matrimoni erano considerati incestuosi e condannati dagli dèi. Le sacerdotesse li sconsigliavano ma spesso avvenivano ugualmente per ragioni dinastiche».Anche l'omosessualità, maschile e femminile, era tollerata. Lei ne ha parlato molto nel suo romanzo.«È vero, l'omosessualità, o meglio la bisessualità, come la pedofilia, erano accettate sia dagli etruschi che dai romani. Le prede di guerra, ad esempio, erano rappresentate da donne, uomini e, purtroppo, anche da bambini. Tutti diventavano schiavi, utilizzati nel lavoro dei campi, come domestici e guardiani; i bambini e le donne giovani anche come schiavi sessuali». Anche i bambini? «Vi sono testi, affreschi nelle tombe, sculture che parlano chiaramente. Gli schiavi sessuali erano anche minori, che subivano sevizie e torture. Se non le accettavano, rischiavano di essere venduti ad altri o addirittura la morte».Come quel bambino ucciso da un capo dei mercenari di Vulci, Aulo Vibenna? «Sì, come quel bambino considerato ribelle che cercava solo di andare dalla sorella e dalla madre, costrette a prostituirsi in quanto schiave di proprietà di un capo di condottieri vincitori. Era la regola della schiavitù di quel tempo».Purtroppo anche oggi nel mondo la schiavitù, che sopravvive anche se in forme diverse da quella dell'antica Roma, ha le stesse regole di sfruttamento, di dominio dell'uomo sull'uomo.
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