
Due documenti in possesso della Verità raccontano che padre Mussie Zerai, molto attivo nell'aiutare gli immigrati a sbarcare in Italia, fu condannato nel 1994 a due anni per smercio di due chili di hashish. Contattato, non ha risposto alle nostre domande.Quando si parla degli immigrati in arrivo in Italia (e delle relative polemiche) non è difficile imbattersi nel nome di Mussie Zerai. Nato ad Asmara, in Eritrea, nel 1975, «padre Mosé» è il sacerdote dei migranti per eccellenza. Adorato da Laura Boldrini, intervistato e celebrato dai giornali di mezzo mondo, nel 2015 è stato addirittura nominato al Nobel per la pace. Zerai ha fondato un'agenzia di stampa chiamata Habeshia, ha scritto libri ed è attivissimo a livello mediatico. Nei giorni scorsi, padre Mosè si è fatto notare per i suoi interventi riguardanti gli stranieri giunti qui a bordo della nave Diciotti. Zerai se l'è presa con Matteo Salvini, accusandolo di varie nefandezze. «Usare questi uomini, donne e bambini come arma di ricatto verso l'Europa è sbagliato, non si dovrebbe fare politica sulla pelle dei più vulnerabili», ha detto. La politica di questo governo, ha detto ancora Zerai in un'intervista, «invece di favorire soluzioni colpisce chi ha già sofferto ed è vulnerabile». Insomma, a suo parere Salvini e soci stanno sbagliando tutto, sono dei cattivoni che puntano a guadagnare consenso approfittando dei poveri migranti. Zerai ci va pesante, e per il suo interventismo pro migranti ha avuto qualche guaio non troppo tempo fa. Nell'agosto dell'anno scorso, si scoprì che il sacerdote era indagato dalla procura di Trapani per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Che il suo numero di cellulare fosse a disposizione dei migranti intenzionati ad arrivare in Italia è cosa nota, lui stesso l'ha rivendicato più volte. L'avviso di garanzia ricevuto, però, non gli ha impedito di partecipare a cerimonie ufficiali a Lampedusa, e non lo ha distolto dalla sua azione di propaganda a favore delle frontiere aperte. Zerai non è certo l'unico esponente della Chiesa a esibire un simile atteggiamento. Nel suo caso, diciamo, la lotta pro migranti è particolarmente dura. A leggere le sue dichiarazioni, sembra che l'Italia debba farsi carico di chiunque, in particolare degli eritrei. Ed è qui che cominciano i problemi. Perché far entrare migliaia e migliaia di persone e non riuscire a gestirle significa anche alimentare delle zone grigie. I migranti che finiscono nel torbido universo della criminalità non sono pochi, anzi. E lo stesso Zerai dovrebbe saperne qualcosa. Lui stesso, infatti, ha avuto qualche problemino. Ecco la storia. Pare proprio che Mussie Yosief Zerai, prima di prendere voti e abito talare, sia finito in carcere, a Roma, nel 1994. E sia stato condannato a due anni di reclusione, con rito abbreviato, per concorso in detenzione ai fini di spaccio di 2,2 chilogrammi di hashish. Aveva 19 anni. «La faccenda della droga non è mai stata citata nelle biografie di Zerai, che pure avrebbe potuto giocare la carta della redenzione con l'abito talare», ricorda Fausto Biloslavo sulle colonne del settimanale Panorama. La Verità ha cercato di andare a fondo di questa storia mai raccontata dal sacerdote. E sono saltati fuori due documenti. Il primo è datato 6 maggio 1994. Ed è il verbale di udienza con il quale viene convalidato l'arresto di Yosef Zerai (che risulta nato il 26 febbraio 1975). Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Antonio Trivellini, lo stesso giudice che nel 1997 assolse Luca Bianchini, accusato qualche anno dopo di essere lo stupratore seriale di Roma, da una imputazione di tentata violenza ai danni di una vicina di casa. Zerai in quel procedimento è stato difeso dall'avvocato Riccardo Fazioli, che pur non opponendosi alla convalida dell'arresto, chiese per il suo assistito gli arresti domiciliari. Il giudice Trivellini, però, ritenne la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, confermati dal ritrovamento della droga e dalle dichiarazioni di una donna che era con Zerai al momento dell'arresto (e che non è citata ulteriormente nel verbale di udienza, ma il cui nome è presente nell'altro documento dell'inchiesta di cui La Verità è in possesso). E decise di lasciare Zerai dietro le sbarre. A Regina Coeli. Il secondo documento (scritto apparentemente con una macchina da scrivere elettronica) riassume l'esito della sentenza. Ci sono impressi il numero del registro generale delle notizie di reato (il fascicolo di Zerai è il 6939 del 1994) e quello del registro dell'ufficio del gip (7307/94). In questo caso la data di nascita di Zerai è il 25 giugno 1975. E la sentenza, si dà atto nel documento, è diventata irrevocabile il 28 maggio 1995. L'accusa: Yosief Mussie Zerai era imputato di «concorso in spaccio di sostanze stupefacenti di tipo hashish» con una donna (molto probabilmente eritrea anche lei). Il giudice Vincenzo Ruotolo dichiara Zerai colpevole, e per la scelta del rito abbreviato lo condanna a due anni di reclusione e a una multa di 10 milioni di lire. Nella parte finale della sentenza è anche riportato che «a pena espiata» sarebbe stata ordinata l'espulsione di Zerai dal territorio italiano. Così non è stato. E l'eritreo ha avuto la sua seconda possibilità. Abbiamo cercato di contattare padre Mosè al numero di telefono che ha inserito tra le informazioni pubbliche della sua pagina Facebook. Gli abbiamo chiesto di spiegarci questa storia, e di smentire le fonti che l'hanno raccontata. Il sacerdote ha risposto una sola volta. E, dopo aver appreso che quella storia vecchia di 24 anni stava riaffiorando, ha negato tutto, ripetendo soltanto più volte «no». A suo dire, non sarebbe vero niente. Ma sullo specifico delle carte non ha dichiarato nulla. Poi, si è reso irrintracciabile. Nessuna risposta, nonostante tentativi di chiamata, sms e messaggi Whatsapp. È tornato rintracciabile solo per liquidare i cronisti. Rispondendo a un sms ha scritto: «Sono all'estero». Inutile tentare di ottenere anche solo una dichiarazione sulla vita precedente. Su quella donna che, poi, davanti ai giudici, lo ha accusato. E su quei due chili e passa di hashish da spacciare. Una storia che è ancora tutta da spiegare. Basterebbe che il sacerdote la raccontasse fino in fondo. Sarebbe utile a capire qualcosa di più anche sul fenomeno migratorio, e sulle difficoltà che gli stranieri incontrano nel nostro Paese. Ma parlare di certe cose, lo comprendiamo, non è facile. Con i giornali è più facile aprire bocca quando bisogna attaccare i populisti cattivi.
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