2021-03-16
«L’America amò mio padre per 50 anni. Adesso la sinistra vuole cancellarlo»
John Wayne e la figlia Aissa Wayne (Getty Images)
La figlia dell'icona di Hollywood, che nei suoi film difese gli indiani nativi: «Chi incarna un pensiero diverso, tutela famiglia e tradizione, viene distrutto. John Wayne era liberale, molto più di chi si professa così oggi».Tra i numerosi bersagli che la sinistra americana ha scelto di colpire nella sua ormai consolidata tendenza iconoclasta spicca il mito John Wayne. Finito nel mirino perché considerato «di destra» e per alcune sue dichiarazioni in un'intervista a Playboy risalente al 1971 (!), la battaglia contro questa icona hollywoodiana ha in realtà radici più profonde. Il tentativo di damnatio memoriae rientra infatti in una più ampia crociata, diretta contro il cinema western, considerato da qualcuno conservatore, troppo «bianco», finanche razzista. E pazienza se alcuni dei capolavori del genere (diretti soprattutto da John Ford e di cui lo stesso Wayne fu protagonista) andavano nella direzione opposta: da Il massacro di Fort Apache (che difende apertamente le ragioni dei nativi americani) a Sentieri selvaggi (che è un'aspra critica all'odio etnico), fino a Ombre rosse (che stigmatizza un certo perbenismo borghese, puntando sulla redenzione dei reietti). No: la realtà è che, pur con i suoi limiti, il cinema western aveva il «difetto» di mettere in risalto i valori della comunità, dell'appartenenza a una tradizione, addirittura -pensate un po'- della religione cristiana. Indubbiamente troppo per l'individualismo fighetto alla Netflix, che vive di atomismo asettico e di puritanesimo politicamente corretto. È quindi in questo quadro che La Verità ha deciso di intervistare la figlia di «The Duke», Aissa Wayne. Impegnata nella salvaguardia della memoria paterna, non ha mai nascosto le sue idee politiche, schierandosi con Trump fin dall'inizio, quando era ancora un semplice candidato alla nomination repubblicana. Era il gennaio 2016 (pochi giorni prima del caucus dell'Iowa), quando Aissa - in occasione di una visita dello stesso Trump al John Wayne Birthplace Museum - gli diede il proprio endorsement. Aissa Wayne, la figura iconica di suo padre è finita nel mirino degli attivisti progressisti e della tendenza «Cancel culture». Come se lo spiega? «L'immagine di mio padre è quella di un uomo forte e indipendente. Una persona che è affidabile per i suoi amici, per la sua famiglia e la sua comunità. Questo è il motivo per cui mio padre è stato così amato per 50 anni come attore e come uomo, perché potevi contare su di lui quando avevi bisogno del suo aiuto. Ha usato la ragione ed è stato imparziale in tempi di conflitto. Mio padre era anche di mentalità liberale. Molte persone non capiscono questo di lui. Alcuni dell'estrema sinistra (che non hanno una mentalità liberale), non vogliono ciò che è equo o indipendente: vogliono solo la loro visione o la distruzione totale. Se fossero di mentalità liberale (e molti di loro potrebbero esserlo) e se si fossero presi il tempo per capire John Wayne e ciò che rappresenta, sarebbero potuti arrivare ad amarlo e apprezzarlo come hanno fatto tante generazioni di spettatori». Secondo lei, quali sono i valori che i film di suo padre possono insegnare all'America di oggi? «Penso che il valore di trattare e rispettare ogni persona come individuo e con correttezza sia un messaggio importante nei suoi film. Fare la tua parte nel valorizzare la tua famiglia e il tuo Paese in modo che possiamo avere speranza in un domani migliore. Voleva sottolineare l'importanza di riconoscere i propri errori e sforzarsi di essere migliori. Voleva essere forte nei momenti di bisogno. Ed era sempre forte e affidabile. Era una persona veramente gentile». Che cosa pensa dell'esito delle ultime elezioni presidenziali? «Pareva che Trump dovesse vincere. Non sembrava che ci fosse entusiasmo per Biden. Non so che cosa sia successo. Forse più persone odiavano Donald Trump e Biden è stato eletto in quel modo. Mi pongo delle domande sul voto postale e sui balzi improvvisi di voti, registratisi nel cuore della notte. Ciò mette in luce che dobbiamo lavorare per rendere le nostre elezioni più sicure. Ogni persona ha diritto al conteggio equo del proprio voto». Qual è la sua opinione su Donald Trump e sul futuro del Partito repubblicano? «Penso che Trump abbia detto molte cose che gli americani pensavano e sentivano da anni ma non sapevano come esprimerle. A molti statunitensi non piaceva che le persone attraversassero i nostri confini illegalmente e portassero via posti di lavoro agli americani. Non ci piacevano accordi commerciali sleali con altri Paesi a scapito del popolo americano. Volevamo che l'America tornasse a prosperare. Volevamo che le persone avessero un lavoro, che ci fosse meno disoccupazione. Trump ha attinto a questi sentimenti essendo audace e ostinato al riguardo. Personalmente ho adorato il fatto che fosse sincero, schietto e una persona che non era di proprietà di nessuno. Credo che la maggior parte degli americani non sopporti la corruzione che ha permeato la classe politica. Il caratteristico slogan di Trump “Make America Great Again" è qui per rimanere. Tutto dipende dall'economia e dalla prosperità». Che cosa pensa delle prime settimane di presidenza di Joe Biden? «La prima cosa che ha fatto Biden come presidente è stato cancellare decine di migliaia di posti di lavoro americani nella sua prima settimana. Questo è crudele. Non mi è neanche piaciuto che non abbia mai detto al popolo americano quale fosse la sua agenda: lo ha fatto, sperando che l'odio per Trump lo avrebbe fatto vincere. Si tiene ancora nascosto dalla vista del popolo americano: non risponde quasi per nulla alle domande. Direi che è un comportamento vile o, per lo meno, non è una qualità che desidero in un leader. Spero che diventi presto più onesto e trasparente con l'America».
Jose Mourinho (Getty Images)