2023-05-21
L’alluvione spazza via l’utopia dell’elettrico
Se in Romagna il nuovo modello di mobilità fosse già reale tutto il territorio sarebbe a piedi, soccorsi compresi. Senza contare il tema della sicurezza e le migliaia di colonnine che andrebbero ripristinate. Basta un’emergenza per far affondare la teoria.Accettate una provocazione, pensate a cosa sarebbe accaduto se i mezzi di soccorso impiegati in Romagna fossero stati elettrici. Senza corrente sarebbe azzerata anche la potenza degli impianti di ricarica per decine di chilometri quadrati, e seppure le regole impongano ai costruttori di rendere compatibili le vetture elettriche alla possibilità di finire in zone allagate (ma quasi tutti i costruttori raccomandano di non andare in acque più alte di metà ruota), installando protezioni opportune, quando fossero trascinate a valle dalla corrente urterebbero contro ogni ostacolo danneggiandosi, e addio sicurezza. Per non parlare delle vetture colte dall’alluvione mentre sono sotto carica, strappate dai cavi di connessione ancora sotto tensione, e dei danni da ripristinare una volta passata la piena, ben più ingenti del dover verificare, e nel caso ripulire, le cisterne di carburante colpite dall’alluvione. Se per mettere in crisi le centraline dei cancelli elettrici basta un formicaio, è facile immaginare quali danni provocherebbe un’alluvione all’elettronica che controlla la distribuzione in alta potenza delle colonnine. Sarebbero tutte da sostituire. È soltanto qualche amara considerazione su quanto oggi si tenda a non pensare che, se per avere i motori a pistoni attuali e i fuoristrada che - guarda un po’ - tanta gente si ostina ancora ad acquistare, ci sono voluti quasi due secoli di evoluzione tecnica, un motivo ci sarà. E un mezzo 4x4 non serve soltanto a chi abita in luoghi remoti, perché nel nostro Paese, dopo due giorni di neve e tre di pioggia, senza un fuoristrada non si arriva in sicurezza da Pavullo nel Frignano all’Abetone ma neppure da Catania a Trecastagni. Eppure, nelle descrizioni dell’alluvione che vengono rese da alcuni media, il fatto che svariate decine di migliaia di utenze siano rimaste senza energia elettrica pare quasi un dettaglio, mentre oggi avere corrente nelle prese di casa fa la differenza tra poter resistere qualche giorno isolati o aver bisogno di aiuto costante perché, innanzitutto, senza energia non si può conservare il cibo né cuocerlo. Non ci si scalda e non si comunica, riducendo quasi del tutto la possibilità di chiedere aiuto come di dare notizie della propria situazione. E poi non resta che abbandonare la propria casa nonostante si vorrebbe già cominciare a rimettere a posto le cose. La società è diventata del tutto dipendente dalle infrastrutture tecnologiche, e non è un caso che nella giornata di mercoledì scorso, a causa di alcune delle frane che si sono verificate, che hanno sradicato alberi e anche cablaggi interrati, tubazioni dell’acqua, fognature e condutture del gas, ci fossero valli dell’Appennino completamente prive di copertura telefonica, al punto che la Protezione civile ha chiesto aiuto ancora una volta ai radioamatori. C’è di più, l’Emilia Romagna è anche la regione del Parco dei cento laghi, di quell’Appennino così fitto di vegetazione dove nell’inverno scorso c’è voluto oltre un mese per ritrovare i resti di un piccolo aeroplano e del suo pilota, che partiti da Reggio Emilia sono scomparsi come nemmeno fosse successo in Amazzonia. È quindi fin troppo evidente che stando nei salotti e nei centri congressi, ma anche sui social, molta politica abbia perso il senso della realtà, e per questo costringe la gente a usare mezzi tecnologici come auto elettriche e telefonini che poi, quando più servirebbero, sono completamente inutili perché dipendono dalla disponibilità di altre infrastrutture. Tornando a quanto è accaduto in Romagna, certamente bisognerebbe lasciare liberi i fiumi, ma serve anche liberarli dai tronchi che abbattono i ponti. E talvolta non basta. Semmai siamo noi a non dover costruire troppo vicino ai corsi d’acqua pensando che le riunioni comunali per definire i piani regolatori del territorio e le righe colorate sulle mappe, seppure rispettino le leggi, possano fermare un torrente che si rianima. Come l’orsa trentina ha fatto solo ciò che la natura prevede che faccia un animale spaventato, acqua e gravità trasformano corsie di sassi secche per mesi in fiumi impetuosi. Un vecchio adagio recita: «Preparati per il peggio e spera per il meglio», ma evidentemente dai salotti del potere si finisce per essere troppo ottimisti. Oggi un bel regalo da fare a tante famiglie isolate è un generatore di corrente con qualche centinaio di litri di benzina. Forse ci siamo già dimenticati che un anno fa ne abbiamo spediti migliaia in Ucraina. Servono per produrre l’energia elettrica per far girare le pompe drenanti, per il frigorifero sempre che si sia salvato, per l’illuminazione e per il calore di cui hanno bisogno. Poi, se avanza, anche per il resto.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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