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2025-04-25
La vera data da ricordare è il 18 aprile
Manifesti elettorali della Dc alle elezioni del 18 aprile 1948 (Ansa)
Sarebbe bene che quest’anno il premier Giorgia Meloni anticipasse le polemiche portando una corona di fiori sulla tomba di un partigiano, anzi di più di uno. Dovrebbe quindi recarsi a Porzus a ricordare i gloriosi partigiani cattolici della divisione Osoppo, massacrati dai partigiani comunisti. Poi per par condicio dovrebbe portare i fiori anche a qualcuna delle vittime «fasciste» dei partigiani comunisti. I partigiani comunisti a guerra finita, nell’ottica evidente di creare una dittatura comunista, hanno assassinato tre categorie di persone: fascisti ed ex fascisti, purtroppo a volte non risparmiando le donne e i bambini della loro famiglia, antifascisti, che si sarebbero verosimilmente opposti anche alla dittatura comunista, e sacerdoti e seminaristi. Noi seguiamo la narrazione che vede sovietici e nazisti come opposti. In realtà prima che Hitler scatenasse l’operazione Barbarossa sovietici e nazisti erano alleati. Il patto Ribentrof-Molotov sanciva non solo la divisione della Polonia, ma anche la vendita di materie prime indispensabili alla guerra come ferro, carbone e petrolio dall’Unione Sovietica alla Germania. Eppure tutti continuiamo la falsa narrazione che vede comunismo e nazismo come antitetici, e che ha permesso al partito comunista italiano e i suoi numerosi figli e nipoti di prima secondo letto di appropriarsi della resistenza. Gli assassinati dai partigiani comunisti sono ricordati in pochi libri, quelli di Giampaolo Pansa ricordano i fatti, quelli di Gianfranco Stella, il più famoso è Compagno Mitra, ricostruiscono anche i nomi e i volti degli autori delle stragi, riportano anche le terribili foto degli assassinati, il ricordo del sacerdote che è stato accecato ed evirato prima di ucciderlo. Ci informano di come questi assassini non siano gravi, perché sono stati fatti in nome della libertà. In realtà è il contrario: chiunque uccida innocenti, chiunque uccida senza processo, chiunque uccida civili, odia la libertà con tutta l’anima. I cortei del 25 aprile saranno come sempre profanati e devastati dall’odio contro Israele e contro il popolo ebraico, che è simpatico solo quando se ne sta ordinatamente in coda davanti le camere a gas. Nei cortei del 25 aprile le bandiere della Brigata Ebraica che valorosamente ha combattuto contro il nazifascismo saranno ingiuriate, e verranno alzate le bandiere palestinesi che sono state alleate del nazismo. Dato che la data del 25 aprile è molto divisiva, concordo in pieno con la proposta dell’avvocato Giovanni Formicola di fare festa nazionale il 18 aprile, quando con le elezioni il popolo italiano infranse il rischio di diventare un satellite dell’Unione Sovietica di Iosif Stalin. Nel caso non sia ancora possibile fare una festa nazionale, in effetti al momento sarebbe divisiva anche questa, che almeno sia la festa di noi, persone di buona volontà. L’avvocato Formicolaricorda che il travolgente risultato elettorale del 18 aprile 1948 non fu merito della Dc - che ne beneficiò non sussistendo in quel frangente alternative plausibili al voto per essa (i monarchici erano stati appena «sconfitti» al referendum istituzionale, e il Msi, ch’è comunque una amenità definire «paganeggiante», era l’erede di una sconfitta ben più seria e grave) - ma di Pio XII e di Luigi Gedda con i suoi Comitati civici. Il pontefice servo di Dio, non si fidava della Dc e di Alcide De Gasperi, e perciò si rivolse a Gedda per una mobilitazione cattolica contro la minaccia rossa, mobilitazione che fu ampia e decisiva. La Dc sin da subito non provò nemmeno a spendere il capitale enorme di consenso ricevuto in funzione di una società cristiana e di un anti-comunismo effettivo, ma aprì, senza necessità numerica per governare (per la quale sarebbero comunque utili i parlamentari monarchici e «qualunquisti") a partiti laicisti e anticlericali come il Pli, il Pri e il Partito socialista democratico). Gedda ch’era «troppo» - cattolico, anticomunista, vincente - fu immediatamente emarginato, anzi «licenziato», e non ebbe alcun ruolo né sostanziale né formale nell’opera di governo resa possibile dal suo impegno straordinariamente efficace. Mai la Dc - subito prona al mito della resistenza come costruito dai comunisti - ha celebrato il 18 aprile 1948, Gedda e i Comitati civici: non mi risulta, nonché un monumento, nemmeno un canto di città ad essi intitolato, e se ve ne sono, è cosa così rara da non fare testo. Tanto da far pensare che l’entità clamorosa del successo sia stata presa con disappunto, siccome «integralista» e «reazionaria» nei suoi intenti cattolici, e in quanto tali da arginare da parte di chi si concepiva partito «non cattolico e a-confessionale»(Cit. don Luigi Sturzo, il fondatore). In effetti, ricordando e celebrando il 18 aprile 1948 e auspicando che diventi data memorabile nella storia della nazione e quindi, chissà, prima o poi, festiva, non solo non neghiamo che la Dc sia stata una (al momento inevitabile) sciagura, ma ci sembra un modo per ricordarlo. Una data da subito dimenticata, insieme con il suo principale protagonista laico, Gedda. La Dc, che del 18 aprile fu la beneficiaria, costruendo su quella giornata elettorale una rendita di posizione politica più che quarantennale, ha preferito celebrare il aprile il 25, e lo ha celebrato cedendo ogni anno di più alla fantastica narrazione di comunisti, figli di comunisti, nipoti di comunisti, cognati di comunisti, figliastri di comunisti, compagni che sbagliano, simpatizzanti, centri sociali e palestinesi che la resistenza sia stata importante dal punto di vista militare, che sia stata comunista, atea, anticristiana, antiisraeliana e antiamericana. La resistenza fu in molti casi eroica, ma comunque non fondamentale dal punto di vista militare. La guerra al nazifascismo fu vinta dagli alleati, inclusi Stati Uniti e Brigata Ebraica le cui bandiere sono sbeffeggiate in bizzarri cortei che a questo punto non si sa cosa stiano commemorando, mentre è drammaticamente chiaro cosa stanno istigando. Le ricorrenze anniversarie, poi, consentono di riportare all’attenzione non solo cruciali temi storici, ma anche dottrinali: il rapporto tra la Chiesa e la politica, e cioè tra la missione e l’ordine civile. Detto in parole molto povere la plurisecolare opposizione tra chiesa e stato, tra papato e impero, è stata risolta da una totale sconfitta della Chiesa, quindi le straordinarie libertà che ci ha regalato non la vittoria sul nazifascismo, ma la folle narrazione della cosiddetta resistenza, c’è la libertà di noi cristiani di essere calpestati con gli scarponi chiodati e di essere costretti a finanziare peccati contro la nostra religione che infangano la nostra anima e che la dannano. Con le tasse di tutti noi, tutti, inclusi noi credenti, finanziamo i Pride che manifestano l’orgoglio, che secondo la nostra religione è un peccato capitale, e l’orgoglio è quello della sodomia: oooops, è un peccato capitale anche questo, moltiplica malattie sessualmente trasmissibili, malattie a trasmissioni orofecale, dall’epatite A alla Covid 19, e malattie proctologiche. Hanno insultato a sangue noi non vaccinati, ci hanno espulso dalla vita pubblica, dal lavoro alla possibilità di usare il bagno di un bar, e noi paghiamo cifre folli a finanziare Pride che cantano giulivi la trasmissione e la moltiplicazione delle malattie. Dopo i grandi pride abbiamo picchi di epatite A e un’impennata di antivirali, tanto li pagano i contribuenti. Nei Pride vengono sistematicamente derisi Cristo e la Madonna. Non è solo un bestiale insulto alla religione di cittadini che vengono quindi a questo punto inevitabilmente classificati come cittadini di serie B, è anche un bestiale insulto a un uomo torturato a morte e a sua madre che ha dovuto vederlo morire. Nulla è così ripugnante come dividere il dolore umano. Grazie alla vigliaccheria democristiana che ha ceduto ogni discussione sull’etica a marxisti, post marxisti, simil marxisti, pseudo marxisti, cessione impossibile senza la narrazione folle sulla cosiddetta resistenza, presentata come solo marxista e anticristiana, noi credenti con le nostre tasse dobbiamo finanziare l’aborto, il più squallido degli omicidi contro la creatura umana più indifesa, che viene incredibilmente eseguito a spese dello Stato, negli ospedali pubblici, da medici che uccidono creature umane con regolare stipendio statale. Vogliamo non finanziare più aborti e pride. Pretendiamo i diritti civili anche se rifiutiamo l’inoculazione di farmaci sperimentali, tossici e sostanzialmente inutili. La «libertà» nata il 25 aprile non ha impedito e non impedisce questi scempi. Il fascismo ha fallito. L’antifascismo eterno fine solo a sé stesso nega le libertà più elementari. Vogliamo qualcosa di meglio.
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La circostanza che ha cambiato la storia d’Italia è quella delle elezioni che, grazie alla vittoria della Dc, hanno impedito che il Paese diventasse un satellite dell’Urss di Stalin. Un risultato figlio dell’impegno dei Comitati civici che mobilitarono il mondo cattolico.Sarebbe bene che quest’anno il premier Giorgia Meloni anticipasse le polemiche portando una corona di fiori sulla tomba di un partigiano, anzi di più di uno. Dovrebbe quindi recarsi a Porzus a ricordare i gloriosi partigiani cattolici della divisione Osoppo, massacrati dai partigiani comunisti. Poi per par condicio dovrebbe portare i fiori anche a qualcuna delle vittime «fasciste» dei partigiani comunisti. I partigiani comunisti a guerra finita, nell’ottica evidente di creare una dittatura comunista, hanno assassinato tre categorie di persone: fascisti ed ex fascisti, purtroppo a volte non risparmiando le donne e i bambini della loro famiglia, antifascisti, che si sarebbero verosimilmente opposti anche alla dittatura comunista, e sacerdoti e seminaristi. Noi seguiamo la narrazione che vede sovietici e nazisti come opposti. In realtà prima che Hitler scatenasse l’operazione Barbarossa sovietici e nazisti erano alleati. Il patto Ribentrof-Molotov sanciva non solo la divisione della Polonia, ma anche la vendita di materie prime indispensabili alla guerra come ferro, carbone e petrolio dall’Unione Sovietica alla Germania. Eppure tutti continuiamo la falsa narrazione che vede comunismo e nazismo come antitetici, e che ha permesso al partito comunista italiano e i suoi numerosi figli e nipoti di prima secondo letto di appropriarsi della resistenza. Gli assassinati dai partigiani comunisti sono ricordati in pochi libri, quelli di Giampaolo Pansa ricordano i fatti, quelli di Gianfranco Stella, il più famoso è Compagno Mitra, ricostruiscono anche i nomi e i volti degli autori delle stragi, riportano anche le terribili foto degli assassinati, il ricordo del sacerdote che è stato accecato ed evirato prima di ucciderlo. Ci informano di come questi assassini non siano gravi, perché sono stati fatti in nome della libertà. In realtà è il contrario: chiunque uccida innocenti, chiunque uccida senza processo, chiunque uccida civili, odia la libertà con tutta l’anima. I cortei del 25 aprile saranno come sempre profanati e devastati dall’odio contro Israele e contro il popolo ebraico, che è simpatico solo quando se ne sta ordinatamente in coda davanti le camere a gas. Nei cortei del 25 aprile le bandiere della Brigata Ebraica che valorosamente ha combattuto contro il nazifascismo saranno ingiuriate, e verranno alzate le bandiere palestinesi che sono state alleate del nazismo. Dato che la data del 25 aprile è molto divisiva, concordo in pieno con la proposta dell’avvocato Giovanni Formicola di fare festa nazionale il 18 aprile, quando con le elezioni il popolo italiano infranse il rischio di diventare un satellite dell’Unione Sovietica di Iosif Stalin. Nel caso non sia ancora possibile fare una festa nazionale, in effetti al momento sarebbe divisiva anche questa, che almeno sia la festa di noi, persone di buona volontà. L’avvocato Formicolaricorda che il travolgente risultato elettorale del 18 aprile 1948 non fu merito della Dc - che ne beneficiò non sussistendo in quel frangente alternative plausibili al voto per essa (i monarchici erano stati appena «sconfitti» al referendum istituzionale, e il Msi, ch’è comunque una amenità definire «paganeggiante», era l’erede di una sconfitta ben più seria e grave) - ma di Pio XII e di Luigi Gedda con i suoi Comitati civici. Il pontefice servo di Dio, non si fidava della Dc e di Alcide De Gasperi, e perciò si rivolse a Gedda per una mobilitazione cattolica contro la minaccia rossa, mobilitazione che fu ampia e decisiva. La Dc sin da subito non provò nemmeno a spendere il capitale enorme di consenso ricevuto in funzione di una società cristiana e di un anti-comunismo effettivo, ma aprì, senza necessità numerica per governare (per la quale sarebbero comunque utili i parlamentari monarchici e «qualunquisti") a partiti laicisti e anticlericali come il Pli, il Pri e il Partito socialista democratico). Gedda ch’era «troppo» - cattolico, anticomunista, vincente - fu immediatamente emarginato, anzi «licenziato», e non ebbe alcun ruolo né sostanziale né formale nell’opera di governo resa possibile dal suo impegno straordinariamente efficace. Mai la Dc - subito prona al mito della resistenza come costruito dai comunisti - ha celebrato il 18 aprile 1948, Gedda e i Comitati civici: non mi risulta, nonché un monumento, nemmeno un canto di città ad essi intitolato, e se ve ne sono, è cosa così rara da non fare testo. Tanto da far pensare che l’entità clamorosa del successo sia stata presa con disappunto, siccome «integralista» e «reazionaria» nei suoi intenti cattolici, e in quanto tali da arginare da parte di chi si concepiva partito «non cattolico e a-confessionale»(Cit. don Luigi Sturzo, il fondatore). In effetti, ricordando e celebrando il 18 aprile 1948 e auspicando che diventi data memorabile nella storia della nazione e quindi, chissà, prima o poi, festiva, non solo non neghiamo che la Dc sia stata una (al momento inevitabile) sciagura, ma ci sembra un modo per ricordarlo. Una data da subito dimenticata, insieme con il suo principale protagonista laico, Gedda. La Dc, che del 18 aprile fu la beneficiaria, costruendo su quella giornata elettorale una rendita di posizione politica più che quarantennale, ha preferito celebrare il aprile il 25, e lo ha celebrato cedendo ogni anno di più alla fantastica narrazione di comunisti, figli di comunisti, nipoti di comunisti, cognati di comunisti, figliastri di comunisti, compagni che sbagliano, simpatizzanti, centri sociali e palestinesi che la resistenza sia stata importante dal punto di vista militare, che sia stata comunista, atea, anticristiana, antiisraeliana e antiamericana. La resistenza fu in molti casi eroica, ma comunque non fondamentale dal punto di vista militare. La guerra al nazifascismo fu vinta dagli alleati, inclusi Stati Uniti e Brigata Ebraica le cui bandiere sono sbeffeggiate in bizzarri cortei che a questo punto non si sa cosa stiano commemorando, mentre è drammaticamente chiaro cosa stanno istigando. Le ricorrenze anniversarie, poi, consentono di riportare all’attenzione non solo cruciali temi storici, ma anche dottrinali: il rapporto tra la Chiesa e la politica, e cioè tra la missione e l’ordine civile. Detto in parole molto povere la plurisecolare opposizione tra chiesa e stato, tra papato e impero, è stata risolta da una totale sconfitta della Chiesa, quindi le straordinarie libertà che ci ha regalato non la vittoria sul nazifascismo, ma la folle narrazione della cosiddetta resistenza, c’è la libertà di noi cristiani di essere calpestati con gli scarponi chiodati e di essere costretti a finanziare peccati contro la nostra religione che infangano la nostra anima e che la dannano. Con le tasse di tutti noi, tutti, inclusi noi credenti, finanziamo i Pride che manifestano l’orgoglio, che secondo la nostra religione è un peccato capitale, e l’orgoglio è quello della sodomia: oooops, è un peccato capitale anche questo, moltiplica malattie sessualmente trasmissibili, malattie a trasmissioni orofecale, dall’epatite A alla Covid 19, e malattie proctologiche. Hanno insultato a sangue noi non vaccinati, ci hanno espulso dalla vita pubblica, dal lavoro alla possibilità di usare il bagno di un bar, e noi paghiamo cifre folli a finanziare Pride che cantano giulivi la trasmissione e la moltiplicazione delle malattie. Dopo i grandi pride abbiamo picchi di epatite A e un’impennata di antivirali, tanto li pagano i contribuenti. Nei Pride vengono sistematicamente derisi Cristo e la Madonna. Non è solo un bestiale insulto alla religione di cittadini che vengono quindi a questo punto inevitabilmente classificati come cittadini di serie B, è anche un bestiale insulto a un uomo torturato a morte e a sua madre che ha dovuto vederlo morire. Nulla è così ripugnante come dividere il dolore umano. Grazie alla vigliaccheria democristiana che ha ceduto ogni discussione sull’etica a marxisti, post marxisti, simil marxisti, pseudo marxisti, cessione impossibile senza la narrazione folle sulla cosiddetta resistenza, presentata come solo marxista e anticristiana, noi credenti con le nostre tasse dobbiamo finanziare l’aborto, il più squallido degli omicidi contro la creatura umana più indifesa, che viene incredibilmente eseguito a spese dello Stato, negli ospedali pubblici, da medici che uccidono creature umane con regolare stipendio statale. Vogliamo non finanziare più aborti e pride. Pretendiamo i diritti civili anche se rifiutiamo l’inoculazione di farmaci sperimentali, tossici e sostanzialmente inutili. La «libertà» nata il 25 aprile non ha impedito e non impedisce questi scempi. Il fascismo ha fallito. L’antifascismo eterno fine solo a sé stesso nega le libertà più elementari. Vogliamo qualcosa di meglio.
La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa dell'8 dicembre con Carlo Cambi
È stata confermata in appello la condanna di primo grado pronunciata nei confronti di Mario Roggero (Ansa)
Nel 2015 Roggero subì una rapina devastante. «Naso, tre costole, operato alla spalla destra il mese dopo, oltre 6 mesi di terapia molto dolorosa», racconta ora davanti alle telecamere del programma condotto da Mario Giordano su Rete 4. «Mi hanno aggredito con una tale aggressività che non ho potuto fare niente. Erano due picchiatori e mi hanno sopraffatto completamente». È il passaggio che demolisce la lettura della Corte, secondo cui nel 2021 Roggero avrebbe «agito con la stessa modalità del 2015». Il gioielliere commenta: «Penoso. Ma stiamo scherzando?». Nel 2015 fu massacrato da due individui che continuarono a picchiarlo quando era a terra. «Chiunque ha visto il video di quella rapina», aggiunge Roggero, «è rimasto profondamente impressionato». E infatti le immagini mandate in onda mostrano un’aggressione brutale, con l’uomo inerme a terra e sangue ovunque. Una scena che per Roggero è trauma puro. Ma per i giudici non è ammissibile che un uomo massacrato nel 2015, che vive un dramma simile nel 2021, abbia reazioni difensive. Il salto di cornice che Roggero mette in evidenza è questo: nel 2015 non si difende, viene pestato, finisce in ospedale. Risultato: innocente, vittima. Nel 2021 reagisce, neutralizza chi minaccia con la pistola e fugge. Risultato: imputato, condannato, trattato da aggressore. Roggero fotografa senza filosofia: «Le vere vittime siamo noi».
Lui lo dice in modo semplice: «Con la pistola in alto non avrei sparato, ma quando lui me la punta in faccia, me la punta in fronte, che faccio?». L’ultimo passaggio delle sue parole è dedicato alla Suprema corte. Sembra un atto di fede laica: «Per la Cassazione», dice Roggero, «si presuppone e si spera che abbiano buon senso i giudici». Per comprendere il percorso dei giudici d’Appello, bisognerà attendere le motivazioni. Già in primo grado, però, era emersa una doppia narrazione: con Roggero nel ruolo di vittima durante la rapina e di aggressore fuori dal negozio. La moglie ha riferito che uno dei rapinatori, «soggetti con plurimi precedenti penali per reati contro il patrimonio» riconoscono i giudici, dopo averla colpita al volto le puntava il coltello al collo e minacciava di uccidere tutti. Alla figlia erano stati legati i polsi dietro la schiena. Roggero ha riferito che il rapinatore gli ha puntato la pistola in faccia, urlando «ti ammazzo». Entrano, lo afferrano, lo spingono verso il registratore di cassa. Lo portano nella zona ripresa dalle telecamere e, mentre afferra il rotolo dei gioielli, l’altro continua a strattonarlo. Poi lo spostano nell’ufficio in cui c’è la cassaforte. Lui ha ancora l’arma puntata alla testa. La scena non dura pochi secondi. Va avanti finché il gioielliere, approfittando di un attimo di distrazione, riesce a schiacciare il pulsante dell’allarme antirapina. Uno dei malviventi se ne accorge e torna verso la cassa. Roggero sente di nuovo la moglie urlare. Riesce a prendere la sua pistola e a spostarsi nel retro. Un gesto istintivo, dettato, dirà in aula, dalla convinzione che la moglie fosse stata presa in ostaggio. I giudici evidenziano anche che la famiglia «è stata sicuramente vittima di una rapina connotata da uso di armi e anche dai citati atti di violenza fisica; condotte che hanno sicuramente generato una forte e comprensibile paura nelle vittime». Fuori c’era un’auto parcheggiata. Ed è a questo punto che la Corte introduce un teorema: quando i rapinatori escono dal negozio, con armi e refurtiva, il pericolo svanisce. Quando si tratta di qualificare la reazione di Roggero all’esterno, i rapinatori diventano di colpo soggetti in fuga, innocui e vulnerabili. Per i giudici, «ha deliberatamente deciso di affrontare i rapinatori con il precipuo fine di assicurarli, lui, alla giustizia, o meglio alla sua giustizia privata, con immediata “esecuzione” della pena nei confronti dei colpevoli». La prova? Da ricercare, secondo i giudici, in alcune interviste, non perfettamente allineate alla ricostruzione giudiziaria, rilasciate dal gioielliere a giornali e tv dopo i fatti. L’azione, in primo grado, è stata giudicata punibile con 17 anni di carcere. Ora lo sconto di pena: 14 anni e 9 mesi (più 3 milioni di euro richiesti dalle parti offese). «Praticamente un ergastolo per una persona di 72 anni», aveva detto Roggero in udienza. E a Fuori dal coro ha aggiunto: «C’è qualcosa che non quadra».
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Maurizio Landini (Ansa)
Al capo della Uil non è giunta neppure una lettera di scuse. Agli aggrediti neppure una manifestazione di solidarietà dai sindacalisti rossi. Ufficialmente è come se l’aggressione nei confronti dei colleghi sindacalisti da parte di quelli dei metalmeccanici della Cgil non fosse mai avvenuta. Eppure, molti giornali ne hanno parlato anche perché gli aggrediti sono finiti in ospedale ed è anche stata presentata una denuncia, affinché il caso non finisca nel dimenticatoio.
Tuttavia, nonostante quanto accaduto sia assai grave e riguardi la vertenza per la sopravvivenza dell’Ilva, ovvero della più grande acciaieria italiana che - grazie all’inchiesta della magistratura - rischia di fallire, Landini di fatto non ha trovato il tempo di commentare. E neppure di prendere le distanze dai suoi. Il che significa solo una cosa, ovvero che il leader del principale sindacato italiano, per convenienza politica, ha imboccato una deriva pericolosa, che rischia di consegnare alcune frange della Cgil all’estremismo più violento.
Su queste pagine abbiamo più volte criticato il linguaggio radicale del segretario della Cgil. Non parliamo solo delle parole usate contro Giorgia Meloni, che venne definita una «cortigiana» di Donald Trump. Tempo fa Landini chiamò gli italiani alla «rivolta sociale», che in un Paese devastato da un terrorismo che ha provocato centinaia di morti non può certo essere lasciato passare come un invito a un pranzo di gala. «Rivolta» è un sostantivo femminile che sintetizza un «moto collettivo e violento di ribellione contro l’ordine costituito». Il significato non lascia dubbi: si parla di insurrezione, sommossa, rivoluzione. Insomma, si tratta di una chiamata se non alle armi quantomeno alla ribellione. Landini in pratica reclama una sollevazione popolare, con le conseguenze che si possono immaginare. Dunque, vedere un manipolo di squadristi rossi che dà la caccia a sindacalisti che su una vertenza la pensano in maniera diversa, suscita preoccupazione.
Pierpaolo Bombardieri, capo della Uil, ha parlato di metodi «terroristici», una definizione che mette i brividi soprattutto in un momento in cui l’Italia è percorsa da manifestazioni ed espressioni che proprio non si possono definire pacifiche. Mentre alla fiera di Roma dedicata ai libri si discute della presenza di un singolo editore non allineato con il pensiero di sinistra (per questo lo si vorrebbe cacciare), a Pietrasanta è comparso un invito a sparare a Giorgia, con la stella a 5 punte delle Br, e ovviamente non si parlava della cantante. Si capisce che sia nel linguaggio sia nelle manifestazioni è in atto un cambiamento e un inasprimento della lotta politica.
A questo punto Landini deve solo decidere da che parte stare. Se di qua o di là. Se con chi difende la democrazia e la diversità di opinione o con chi usa metodi violenti per affermare le proprie idee. Il silenzio non si addice a chi denuncia ogni giorno il ritorno del fascismo. Qui l’unico pericolo viene da sinistra. È a sinistra che si invoca la rivolta. Se Landini non vuole finire nella schiera dei cattivi maestri ha il dovere di parlare e di denunciare chi riesuma lo squadrismo. Con i compagni che sbagliano sappiamo tutti come è finita.
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