2018-06-07
La Tunisia attacca il nostro ministro ma alla fine manda a casa il proprio
Dopo aver polemizzato con Matteo Salvini, il Paese nordafricano silura il suo titolare dell'Interno per inefficienza. Intanto il leader leghista promette di blindare i Cie, mentre il pentastellato Danilo Toninelli apre a norme contro le Ong nei porti.Il popolo tunisino insorge contro il ministro degli Interni. Quello italiano? No, quello tunisino. Mentre i nostri giornali davano la colpa dell'ultimo, tragico naufragio al largo delle coste del Paese africano a Matteo Salvini, i diretti interessati si mostravano molto più oculati, prendendo di mira Lotfi Brahem, omologo del leader leghista a Tunisi. Alla fine, il primo ministro tunisino Youssef Chahed ha dovuto rimuovere il proprio ministro degli Interni (al momento, il titolare della Giustizia, Ghazi Jeribi, lo ha sostituito ad interim). Il governo non ha motivato la scelta, ma appare evidente come sia stata bocciata la gestione dell'emigrazione verso l'Europa. Il premier nordafricano aveva affermato che le guardie della sicurezza tunisina non fossero riuscite a fermare l'imbarcazione di migranti irregolari, partita sabato dalla costa tunisina e poi rovesciatasi, provocando la morte di 112 persone. Si tratta del più grave naufragio di quest'anno, in termini di vittime, nella rotta che collega il Nord Africa con l'Europa attraverso il Mar Mediterraneo. L'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) ha confermato la morte di almeno 60 persone, mentre 52 risultano ancora disperse e 68 sono state tratte in salvo (tra cui 61 tunisini). Brahem aveva annunciato di aver licenziato dieci uomini della sicurezza, tra cui responsabili della polizia e di agenzie locali, nella città costiera di Sfax e nell'isola di Krekennah. Troppo poco, per il primo ministro, che ha tagliato la testa (metaforicamente, si intende, ma vista l'area geografica è meglio specificare) al primo uomo agli Interni, anche per placare un certo malcontento relativo alla tragedia. Nei giorni scorsi, le città di El Hamma e Tataouine, da dove erano partiti molte delle vittime del luogo rimaste uccise nel naufragio, sono state attraversate da due cortei popolari di protesta contro il governo. Non è l'unico motivo di tensione, in un Paese in crisi economica cronica e in cui la gioventù ha sempre meno sbocchi. Ancora a inizio anno c'erano state imponenti proteste per il carovita, con centinaia di arresti. La «primavera araba» del 2011 si è rivelata un bluff, come peraltro molti avevano già intuito. Insomma, dietro la tranquillità tunisina si cela una situazione incandescente. Tanto vale non rischiare, quindi, e dare alla folla un capro espiatorio. Tanto più che la tragedia è sembrata tutt'altro che inevitabile: l'imbarcazione in questione era una trappola galleggiante, non avrebbe mai avuto alcuna possibilità di attraversare il Mediterraneo. Sembra, anzi, che fosse sul punto di rompersi già prima della partenza. Perché, certo, si può ridurre tutta la vicenda alle virtù telecinetiche del perfido Salvini (parla dei barconi e questi affondano), oppure bisogna ammettere che qualche colpa nella gestione disastrosa dei flussi ce l'hanno anche i Paesi di partenza. Né si fa un buon favore alla verità trasformando in un paradiso di buon governo, etica civile ed efficienza svizzera ogni Stato che venga criticato dagli esponenti dell'attuale governo, solo per il gusto di dar contro ai populisti nostrani. I quali, del resto, non sembrano intimoriti dalle polemiche di questi giorni e, anzi, rilanciano contro il governo di Tunisi, non solo dal lato leghista, ma anche da quello pentastellato. Gli europarlamentari grillini hanno infatti rilanciato la «battaglia dell'olio», presentando un'interrogazione alla Commissione europea «per chiedere una valutazione d'impatto delle importazioni dalla Tunisia negli anni 2018 e 2019 sugli equilibri del mercato interno e le quotazioni dell'olio di oliva italiano», ha annunciato l'europarlamentare del Movimento 5 stelle Ignazio Corrao, che ha aggiunto: «Il primo ministro tunisino ha chiesto di rinnovare di due anni l'import a dazio zero concesso in passato dall'Unione europea. Errare è umano, perseverare è diabolico. In Italia il settore è già in ginocchio, dobbiamo evitare una umiliazione del made in Italy».Ma la battaglia all'immigrazione si gioca anche nei luoghi di arrivo, non solo in quelli di partenza. Insomma, in casa nostra. Anche in questo caso, almeno dal punto di vista degli annunci, l'esecutivo sembra fare sul serio. È stato lo stesso Salvini ad annunciare che «il governo realizzerà dei Centri per i rimpatri chiusi, affinché la gente non vada a spasso per le città». Parlando con i cronisti in Transatlantico, il titolare del Viminale ha sottolineato che «la gente non vuole avere dei punti dove uno esce alle 8 della mattina, rientra alle 10 la sera e durante il giorno non si sa cosa fa e fa casino». Quanto alle possibili opposizioni delle Regioni alla realizzazione dei Centri, Salvini ha detto di aver già parlato «con tutti i governatori leghisti che non vedono l'ora di avere centri chiusi».Un altro fronte è quello delle coste. L'ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, ovvero il responsabile del dicastero competente sulla Guardia costiera e le autorità portuali, era stato uno dei più strenui difensori dell'accoglienza, anche quando il precedente governo faceva finta di mostrare i muscoli. «Nessun porto chiuso, lo dico da responsabile della Guardia costiera e delle operazioni di soccorso ai migranti. La nostra fermezza è per chiedere che l'Inno alla gioia si suoni anche quando sbarcano le navi dei migranti e non solo per celebrare il sogno europeo», aveva detto Delrio, facendo un po' il controcanto allo «sceriffo» Marco Minniti. Ora, anche da questo punto di vista, le cose potrebbero cambiare. Ieri il successore di Delrio, il grillino Danilo Toninelli, è stato interrogato dai cronisti, fuori Montecitorio, sulle indiscrezioni circa un piano del governo per provare a impedire l'accesso ai porti italiani alle Ong. Il ministro non ha confermato né smentito, limitandosi a dichiarare che il governo farà «la scelta migliore per l'Italia». Ma, a chi faceva notare che un'eventuale chiusura alle Ong violerebbe il diritto del mare, Toninelli ha replicato: «Oltre al diritto del mare esiste quello alla sicurezza». Il che può voler dire tutto o niente, ma certo, in linea di principio, marca una discontinuità col precedente esecutivo decisamente netta. Niente più Inno alla gioia, quindi. Ma, se si riuscirà davvero a togliere l'ossigeno agli scafisti e ai loro complici, di sicuro sul Mediterraneo non risuonerà più nemmeno la marcia funebre.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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