2023-03-21
La toppa svizzera sulle banche tiene. Per ora
Alain Bercet e Mohammed Bin Salman (Ansa)
Per salvare Credit Suisse è stato sacrificato il mercato delle obbligazioni; una nazionalizzazione del credito che chiude il cerchio disegnato da Obama. Le Borse reagiscono bene, però si temono colossali cause legali.Nel day after del salvataggio del Credit Suisse gli occhi erano puntati sulla reazione delle Borse che tutto sommato ieri hanno tenuto. A tremare sono, invece, gli obbligazionisti e il mercato europeo dei bond. Perché l’operazione di sistema messa su in pochissimi giorni dalle autorità svizzere coinvolgendo la prima banca del Paese, Ubs, ha ribaltato le gerarchie consolidate secondo cui, in caso di liquidazione, gli obbligazionisti hanno la priorità rispetto agli azionisti. Domenica, infatti, la Finma (la Consob svizzera) ha dichiarato in una nota che circa 16 miliardi di franchi svizzeri delle cosiddette obbligazioni Additional Tier 1 di Credit Suisse saranno completamente svalutate. Tradotto: i detentori di questi bond non riceveranno nulla, mentre gli azionisti otterranno 3 miliardi di franchi. Tra questi, anche i soci qatarini e la Saudi national bank controllata dal fondo statale saudita e personalmente dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Come è stato possibile? La Finma ha agito in base alla clausola «Point of Non Viability». Si tratta di una situazione in cui una banca o un altro istituto regolamentato subisce un grave stress finanziario a causa di liquidità o capitale insufficienti, provocando il sequestro e la risoluzione da parte dell’autorità di regolamentazione. Eppure molti analisti sostengono di non aver mai visto azzerare i bond At1 prima di aver cancellato le azioni, nonostante in alcuni prospetti informativi sia contemplata questa possibilità. E c’è chi definisce la decisione della Svizzera come «un arbitraggio normativo totale» aggiungendo il timore che possa crearsi un precedente. Il problema, intanto, è gestire l’impatto di questa mossa sul mercato del debito subordinato. Le obbligazioni At1, note anche come obbligazioni convertibili contingenti, o Coco, sono state introdotte dopo la crisi finanziaria come un modo per trasferire il rischio bancario dai contribuenti agli obbligazionisti. Sono diventate anche un popolare prodotto di investimento che i gestori di fondi e le banche, inclusa Credit Suisse, hanno presentato ai clienti come un modo relativamente sicuro per aumentare il rendimento dei portafogli obbligazionari. Di solito si tratta di titoli di tipo perpetuo, senza rimborso pianificato, se non dopo un certo numero di anni prestabiliti (call), a discrezione dell’emittente. In caso di perdita, non pagano alcuna cedola. Per questo sono considerati una costosa, ma comoda, stampella in caso di necessità di capitale.L’effetto rischia di essere dirompente: le perdite probabilmente spingeranno gli investitori individuali e istituzionali a vendere titoli simili di altre banche europee. Parliamo di circa 254 miliardi di dollari di obbligazioni At1 in circolazione che ora rischiano di diventare più costose da emettere per le banche, riducendo la loro capacità di concedere nuovi prestiti. Intanto, a scendere sul piede di guerra sono anche gli investitori svizzeri che hanno annunciato azioni legali su un’acquisizione per la quale l’assemblea degli azionisti è stata bypassata. La fondazione Ethos, che rappresenta i fondi pensione svizzeri, denuncia «un enorme spreco per gli azionisti e per l’economia svizzera nel suo complesso» e non esclude la possibilità di percorrere vie legali per determinare la responsabilità di quella che viene definita, senza mezzi termini, una «débâcle». Secondo Ethos, i fondi pensione svizzeri sono doppiamente penalizzati da questa operazione: «In primo luogo, in quanto azionisti di entrambe le banche, non potranno votare sull’acquisizione all’assemblea generale, poiché un’ordinanza federale consentirà di derogare a questa disposizione della legge svizzera sulle fusioni. In secondo luogo, le casse pensioni svizzere dovranno confrontarsi in futuro, come tutti i clienti (fondi pensione, Pmi, privati), con i rischi legati a una posizione dominante di un’unica grande banca sul mercato svizzero», spiega la fondazione, lamentando come una serie di alternative «strategiche» siano state di fatto ignorate, «come la separazione e la quotazione della banca svizzera dal Credit Suisse».C’è un altro aspetto del salvataggio che sta ricevendo forti critiche in Svizzera. Il governo di Berna ha infatti convinto Ubs a rilevare Credit Suisse per 3 miliardi di franchi svizzeri «per ripristinare la fiducia nella stabilità dell’economia e del sistema bancario» elvetico. Ma a spese di chi? La Banca nazionale svizzera concederà a Credit Suisse l’accesso a linee di credito per 100 miliardi di franchi, mentre la Confederazione elvetica sosterrà fino a 9 miliardi di franchi di perdite che Ubs potrebbe subire. Il che suona come una sorta di nazionalizzazione indiretta. La mano pubblica è evidente: mentre Ubs (il privato) acquisisce il Credit Suisse, è la Confederazione (cioè lo Stato) con un pacchetto di sostegno non indifferente che ha agevolato, per usare un eufemismo, il fidanzamento tra i due colossi finanziari. I titoli della stampa elvetica già ieri mattina riflettevano lo shock della Svizzera che della solidità delle sue banche ha sempre fatto un vanto, oltre che uno dei suoi pilastri economici. Il Corriere del Ticino arriva a definire il Credit Suisse «un rottame radioattivo» e la Neue Zuercher Zeitung lo descrive come «una banca zombie». Per la Tribune de Geneve, si tratta di «un disastro sociale, economico e una vergogna politica per i dirigenti che sono stati troppo lenti a reagire». Per le pubblicazioni del gruppo Tamedia si tratta di uno «scandalo storico», con tutti i vantaggi per Ubs, mentre i danni li pagheranno i dipendenti e i contribuenti.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi