2020-02-28
La tendenza ribassista non è una reazione isterica. Ormai è calo strutturale
Tutte giù le Borse europee e anche quella Usa. Non si tratta più di vendite da panico. E molti scommettono che le banche centrali dovranno armarsi di un nuovo bazooka.Il tentativo di rimbalzo è fallito. E ieri nelle sale operative a qualche broker incollato agli schermi dei terminali di Bloomberg è tornata in mente quella scena dell'aereo più pazzo del mondo. Mentre sta precipitando il display in cabina rassicura i passeggeri: «Niente panico». Fin quando la scritta cambia e diventa: «Ok, panic!». Ecco, in Borsa ieri è successo qualcosa di simile. Segno che l'impatto del coronavirus non è più solo una reazione istintiva all'emergenza italiana. Anzi, le preoccupazioni si sono fatte più acute dai primi segnali di diffusione dell'epidemia agli Stati Uniti che ieri hanno affossato Wall Street con l'indice Dow Jones arrivato a cedere il 3,5% nel corso della seduta per poi ridurre le perdite sul finale. Non a caso ieri Piazza Affari ha perso il 2,66% scivolando sui minimi da inizio dicembre dello scorso anno con 14 miliardi di euro andati in fumo. Lo spread tra Btp e Bund è sopra la soglia dei 160 punti base, a 161,7, contro i 150 della chiusura di mercoledì. Nel corso della giornata la forchetta si è allargata fino a 166 punti base, livelli già riagganciati a gennaio scorso. Ma peggio di Milano hanno fatto gli altri listini europei: Parigi ha lasciato sul terreno il 3,32%, Francoforte il 3,19%, Madrid il 3,55% e anche Londra ha chiuso in profondo rosso con un -3,49 per cento. Il sottoindice stoxx del settore viaggi ha registrato la peggiore prestazione a livello continentale perdendo il 5,68%, mentre le vendite hanno colpito le principali compagnie aeree. Il bilancio è quindi pesante con l'indice Euro stoxx 600, dove sono riuniti i principali gruppi quotati del Vecchio Continente, in calo del 3,75%, che corrisponde a 328 miliardi di euro di capitalizzazione persi in una sola seduta. Di fronte a questo allarme crescente scoppiato nel ben mezzo dell'era dei tassi negativi, cominciano a chiedersi analisti e gestori, cosa faranno le banche centrali? Armeranno un nuovo bazooka contro il Covid-19? In molti scommettono che Bce e Fed potrebbero rispondere a dati economici particolarmente deboli con manovre espansive, come ha già fatto la People's Bank of China. C' è inoltre la possibilità che vengano attuate iniziative coordinate di natura fiscale in caso di una battuta d'arresto dell'economia globale, sottolinea Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs Wm Italy.Per riportare l'orologio indietro al 19 febbraio, ovvero quando i mercati ancora viaggiavano sui massimi, anche gli analisti di Dws mettono in evidenza la necessità che vengano soddisfatte tre condizioni: la diffusione del coronavirus deve essere contenuta rapidamente, la produzione deve essere riportata ai livelli pre crisi il più rapidamente possibile, le banche centrali e i ministri delle finanze devono fornire lo stimolo aggiuntivo che i mercati stanno cercando. «Nell'ultima di queste tre condizioni, c'è una buona ragione per essere ottimisti», sottolineano gli esperti. Aggiungendo che «le prime iniezioni di liquidità e tagli ai tassi di interesse sono stati erogati, in particolare dalla Cina. Tagli fiscali, aiuti pubblici e altre misure fiscali e normative completano il quadro. Altri paesi, principalmente asiatici, si stanno unendo. Thailandia, Filippine e Indonesia hanno già tagliato i tassi di interesse, così come Brasile e Messico. L'elenco potrebbe allungarsi nei giorni a venire». E proprio ieri la Banca centrale cinese ha dichiarato che garantirà un'ampia liquidità attraverso tagli mirati del coefficiente di riserva obbligatoria (Rrr) per le banche al momento opportuno e manterrà una politica monetaria prudente e flessibile a sostegno dell'economia.Convinto che il coronavirus avrà un effetto sulla crescita globale è anche il Fmi, sicuro che «un'azione coordinata» sarebbe utile ad affrontare l'emergenza. Le attese per un taglio dei tassi da parte della Fed sono quindi schizzate a oltre il 60% per la riunione di marzo, e molti chiedono almeno tre riduzioni del costo del denaro quest'anno per limitare i danni all'economia. Di certo, la banca centrale Usa monitora gli sviluppi ammettendo che il virus è una minaccia significativa per la crescita ed è pronta ad agire qualora cambiasse in modo sostanziale lo scenario: «La politica monetaria», ha spiegato mercoledì il vicepresidente Richard Clarida, «non è su una traiettoria predefinita, e sui tassi la Fed deciderà di riunione in riunione». Per il presidente della Federal reserve bank di Dallas, Robert Kaplan, mancano alcune settimane prima che la Fed sia in grado di giudicare se sarà richiesta una modifica dei tassi di interesse. I radar restano bene accesi anche all'Eurotower ma ieri Christine Lagarde in un'intervista al Financial Times ha detto che «al momento» il coronavirus «non richiede una risposta» da parte di Francoforte perché «non è in una fase che può avere un effetto duraturo sull'inflazione e quindi richiedere una risposta di politica monetaria. Segno che Lagarde spera di mantenere i tassi fermi alla prossima riunione nonostante il pressing degli economisti per un taglio dei tassi. Nel frattempo, la liquidità pompata a gran ritmo sui listini (15.000 miliardi negli ultimi dieci anni) è pronta a ritirarsi in modo molto rapido se la paura diventerà panico.