2024-12-01
La strategia di Landini per fare rete con cattolici, Cobas e antifascisti
L’ex Fiom vuol tenere insieme il pacifismo di Sant’Egidio e «le guerre» degli autonomi.Ma dove vuole arrivare Maurizio Landini? Il giorno dopo lo sciopero generale che nelle intenzioni del segretario della Cgil rappresenta un primo passo del piano per «rivoltare l’Italia come un calzino», è la domanda, in assenza di una vera opposizione, che il mondo politico si sta facendo. Per provare a dare una risposta bisogna partire dall’origine dell’epopea sindacale landiniana che ha sempre avuto tre caratteristiche ben precise: la saldatura con il movimentismo (dai centri sociali fino agli studenti e ai pacifisti, va tutto bene), un morboso ostracismo contro la firma di qualsiasi tipo di accordo o contratto e il presenzialismo televisivo, quasi sempre nei talk amici, che più si prestano al comizio, la vera specialità della casa. Ai tempi della Fiom (diventa segretario dei metalmeccanici rossi nel 2010 e resterà in carica fino al 2017), si prende le prime pagine dei giornali per lo scontro con il segretario della Cgil dell’epoca, Susanna Camusso, che aveva schierato il sindacato a favore della Tav «perché porta posti di lavoro». Dettaglio di poco conto per il nostro che alla stregua di un partito antagonista qualsiasi spalleggiava i «No Tav» contro la Torino-Lione e le grandi opere. Del resto, il buongiorno si vede dal mattino. Anno 2010, Fiat. Referendum a Pomigliano per l’approvazione del cosiddetto piano Marchionne (Fabbrica Italia), che potremmo riassumere così: investimenti e produzione (il trasferimento della nuova Panda dalla Polonia in Campania) in cambio di 18 turni di lavoro (dal lunedì al sabato compreso), maggiore flessibilità e norme antiassenteismo (fenomeno dilagante all’epoca). La Fiom di Landini, manco a dirlo, si smarca da Cisl e Uil e si schiera per «il no» saldandosi a questo giro con il mondo dei centri sociali. Il referendum passa (con il 63%), ma non è un plebiscito e alla fine per il sindacalista duro e puro si tratta di un successo. Aumentano le ospitate televisive, per lui è tutto un bianco o nero, le vie di mezzo non sono ammesse. Landini mediaticamente funziona, e se nel frattempo perde la battaglia nelle fabbriche (la Fiom molla delegati in molti siti industriali di peso) poco importa. Così come importa poco ricordare un altro grande flop, l’appoggio alla Rivoluzione Civile dell’ex pm Antonio Ingroia, finita nel peggiore dei modi possibili. Il metalmeccanico nel 2019 scala il sindacato e diventa segretario della Cgil. Format che vince non si cambia. Paradossalmente il Covid gli toglie margini d’azione, ma l’occasione buona arriva con la guerra in Ucraina, febbraio del 2022. Il segretario, che c’azzecca poi la Cgil con la guerra è difficile da capire, si schiera per la pace senza se e senza ma. Che nella sua visione del mondo vuol dire non sto né con l’Ucraina né con la Nato. Del resto, trovare una soluzione concreta al conflitto poco importa. A Landini basta manifestare. E manifestando si avvicina al mondo della comunità di Sant’Egidio dell’ex ministro montiano per la cooperazione, Andrea Riccardi. I due si notano insieme, in occasione di convegni, cortei e marce per la pace. Parlano lo stesso linguaggio vacuo e antigovernativo a prescindere. «Penso che la pace debba essere un obiettivo anche del governo e delle forze politiche», dice per esempio il segretario nel corso di un incontro organizzato dalla Comunità, come se invece la Meloni tifasse per la guerra. A moderare è l’ex direttore dell’Espresso Marco Damilano, che pochi giorni fa ha ospitato nel suo programma Il cavallo e la torre Landini che stava facendo il tour dei salottini per sponsorizzare lo sciopero. Si creano sinergie. E si parla di un partito cristiano sindacale che si allarga. Per esempio al cardinal Zuppi, complice per esempio la marcia per la pace a Bologna del 2023. Sempre in quel periodo il segretario porterà in Vaticano 5.000 attivisti del sindacato per un incontro storico: la prima volta della Cgil in visita dal Pontefice. «Grande consonanza con lei sui problemi del mondo», disse Landini a Francesco e non tutti in Corso d’Italia la presero benissimo. E così, vista la svolta catto-comunista, in pochi si sono meravigliati nel vedere il nostro dalle Acli, all’indomani dello sciopero flop che viene però fatto passare per un trionfo: «La pace è un elemento fondamentale per riattivare la nostra democrazia», evidenzia al congresso delle associazioni cristiane dei lavoratori italiani, «mettere al centro la costruzione della pace oggi significa andare controcorrente». Salvo poi tornare a soffiare sul fuoco interno. «La rivolta è libertà», ribadisce, «e oggi abbiamo un governo che pensa di poter comandare senza dover mediare». Pace quindi ma fino a un certo punto. E proprio per questo il segretario della Cgil sta provando a portare dalla sua parte una fetta dei sindacati autonomi che parte dai Cobas e arriva fino la Confederazione unitaria di base (Cub), sigle che infatti hanno aderito allo sciopero del 29. Una guazzabuglio che unisce il diavolo e l’acqua santa con una spruzzata di antifascismo (l’Anpi) che non può mai mancare. Quali vantaggi possa portare l’ammucchiata al Paese è facile intuirlo, ma a Landini importa il giusto. Lui la scena se l’è già presa.