
L'Isis ha scelto una nazione fragile e poco controllata, appoggiando gli islamisti locali per massimizzare l'effetto distruttivo. Lo schema funziona ed è replicabile ovunque.La faccenda dello Sri Lanka non è così semplice come sembra e influirà molto sullo scenario globale della guerra ibrida, di cui il terrorismo è un attore di spicco. L'attentato, al di là della enorme quantità di morti e feriti che ha prodotto, segna un rilancio del jihadismo globale che avrà i suoi effetti.La complicazione nel dipanare la matassa si pone a diversi livelli. Sul piano delle relazioni internazionali, lo Sri Lanka è schiacciato tra l'India - con la quale ha antichi legami difficili - e la Cina, che ormai penetra efficacemente dal sud, nel continente. D'altra parte è un paese che a fatica sta cercando una rinascita economica che si basa in parte sul turismo (sovrastimato da noi occidentali che solo come meta turistica conosciamo Colombo) e sulla manodopera a basso prezzo, che lo ha fatto destinazione della delocalizzazione delle imprese. Insomma: oltre 800 vittime (tra morti e feriti) avranno comunque ricadute sul sistema economico, sociale e politico del cingalese tanto da metterne in discussione il sistema di relazioni esterne, le amicizie e le alleanze. Sul piano interno, lo Sri Lanka esce faticosamente da una crisi di governo che risente tuttora dei rapporti difficili tra le parti politiche. Tutto ciò, nella logica da sempre utilizzata dal terrorismo di sfruttare gli scontri locali, comincia a spiegare la scelta di un «paese periferico» per portare a termine un attacco di tale portata. Ma ancor più la scelta si dimostra azzeccata per i drammatici segni di incomunicabilità tra le istituzioni cingalesi, che hanno distolto l'attenzione dal gruppo Ntj, dopo le segnalazioni delle intelligence sulla possibilità di attacchi a Pasqua, messo nella condizione di agire senza controlli. E non solo. Mohamed Hizbullah, governatore della provincia Orientale del paese, già ministro del governo, già fotografato mentre stringe la mano alla leadership del gruppo terrorista Ntj, il 21 di aprile dichiara: «Alcuni sostengono che il Thowheed Jamaat è colpevole dell'attentato. Stiamo investigando e non ci sono prove nei confronti di alcun gruppo. Loro (Ntj, ndr) sono innocenti ma sapremo identificare i colpevoli». Ntj: un gruppo familiare in cui il capo Moulvi Zahran Hashim ha costruito la rete di adepti in collaborazione con il fratello minore Rilvan, in un paese disponibile a concedere zone franche agli islamisti pur di non avere scontri interni. Insomma, il terrorismo ha attaccato nel ventre molle di uno stato con grandi difficoltà politiche interne, per non parlare di sospette vicinanze istituzionali. Al solito il terrorismo si dimostra un grande opportunista, capace di sfruttare le situazioni favorevoli per una molteplicità di condizioni ai fini specifici dei propri obiettivi: la strategia vincente della flessibilità è supportata dalla prospettiva etnocentrica delle azioni di contrasto al terrorismo. Questa è la ragione per cui Daesh e Aq sono forti e spiega perché siamo destinati a perdere, fino a quando non assumiamo nuovi modelli interpretativi per spiegare le ragioni e le modalità dell'azione del nemico.Ma andiamo avanti con le nostre considerazioni. Sul piano delle organizzazioni terroristiche la perdita del territorio da parte di Daesh era prevista e pianificata: si sapeva che l'organizzazione statuale non era sostenibile. Quindi il rientro dei foreign fighters era pianificato, ma non come molti lo hanno descritto: i foreign fighters non rientrano a casa, si disperdono funzionalmente. Non parliamo più di returnee (nostro «modo tradizionale» di leggere le migrazioni, in cui si presuppone il migrante desideroso della dimora natia), ma piuttosto parliamo di diaspora (modo efficace di diffondere il jihad ovunque). Per il califfato si è trattato del passaggio dal controllo di un territorio reale omogeneo al controllo di un territorio virtuale diffuso e reale «a macchia di leopardo»: la preparazione è durata oltre un anno (da metà agosto 2017), ha utilizzato la promozione dell'idea e il richiamo all'azione attraverso il Web in questi mesi, ha dato l'avvio ai lavori con l'attacco in Sri Lanka. Una nazione scelta ad hoc non solo per i caratteri politici illustrati, ma anche perché offriva la manodopera spendibile di un gruppo un po' «sfigato» come Ntj in cerca di affermazione, costituito come rete familiare e amicale come spesso è stato per altri attentati, inserito in un contesto operativo dove l'attacco suicida è la norma, abile a restare sotto traccia nella disattenzione locale. Bingo.È a questo punto che la rete internazionale dei jihadisti in trasferta (diaspora) ha supportato il gruppo fornendo la pianificazione militare dell'attacco e la competenza minima necessaria per portarlo a termine (l'uso del Tatp come esplosivo non è banale). Infine, il ritorno a un jihad diverso dal califfato, ma più strutturato rispetto ai mesi di transizione del 2018 e che ancora poco ci dice sulla identità degli eredi di Daesh, lo si ritrova anche nella rivendicazione dell'attacco tramite la nota e imperitura agenzia Amaq, spesso bypassata in questi mesi. Si è trattato di una comunicazione a più tappe: prima l'annuncio, poi il testo e dunque il video (che mostra attinenze simboliche con le rivendicazioni degli attacchi in Arabia Saudita e altri) definiscono una sequenza che sembra lasciar intendere un maggior controllo sul processo della comunicazione. Abbiamo visto rivendicazioni sempre più dettagliate, uscite vicine l'una all'altra nel tempo, probabilmente per evitare identificazioni ma soprattutto per reclamare il più alto numero di morti possibile. Non dimentichiamo che quelli esplosi rappresentano una piccola parte degli ordigni a disposizione del gruppo: il macello doveva essere rievocativo delle grandi stragi del terrorismo islamista.Lo Sri Lanka è stato un perfetto palcoscenico locale per parlare a un'audience globale. Così si è avviata formalmente sul campo la stagione del jihad globale, esportato in ogni contesto anche distante dagli interessi dell'islamismo ma adatto a essere u buon palcoscenico internazionale. La location dell'attacco non è scelta in termini di relazione conflittuale con il jihad, ma in termini di opportunità logistica offerta da parte di un palcoscenico locale comunque mediatizzato globalmente. Adesso nessuno è più immune. La Pasqua del 2019 è, per ora, una resurrezione del terrorismo islamista, tocca a noi ricondurla a quel segno di pace che è nella sua essenza.
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