True
2019-11-11
La Spagna si risveglia sovranista
True
Ansa
Un buon risultato è stato ottenuto anche dal Partito Popolare che, con il 21%, ha incrementato i propri seggi e si è confermato secondo a livello nazionale. La maggioranza relativa è andata nuovamente ai socialisti, che - con il loro 28% - non sono riusciti a migliorare la propria posizione rispetto alla tornata precedente, lasciandosi inoltre sfuggire qualche seggio. Tutto questo, mentre la formazione di sinistra, Podemos, ha perso decisamente terreno, scivolando - con il 13% dei voti - dal terzo al quarto posto.
Quella di ieri è stata la quarta volta che la Spagna è andata al voto nel giro di quattro anni. Nell'arco di questo periodo, non è infatti stato possibile costituire maggioranze solide, visto un quadro partitico complessivo oltremodo frastagliato e litigioso. Le precedenti elezioni, che si erano tenute lo scorso aprile, sembravano aver aperto allo scenario di una coalizione tra i socialisti e Podemos: uno scenario, naufragato in estate, vista l'incapacità mostrata dai due potenziali contraenti di arrivare a un accordo per la distribuzione degli incarichi di governo. Proprio questo stallo ha quindi costretto in settembre il re, Filippo VI, a sciogliere le camere e a indire nuove elezioni. La campagna elettorale delle scorse settimane ha mostrato plasticamente le insanabili divisioni in seno alla politica iberica. E, in particolare, a tenere banco si è rivelata la questione catalana. Una questione che rischia di pesare significativamente sulla formazione del nuovo governo spagnolo. E che spiega, almeno in parte, gli esiti di questo voto.
Una delle principali ragioni dell'exploit di Vox è rappresentato proprio dalla sua posizione di profonda avversione nei confronti dell'indipendentismo di Barcellona. Del resto, questa forza politica ha sempre rivendicato una linea nettamente nazionalista, sostenendo la necessità di istituire un deciso centralismo sul fronte amministrativo. Vox ha quindi convogliato su di sé il sostegno degli elettori contrari all'indipendenza catalana, sottraendo in questo modo fondamentali consensi soprattutto a Ciudadanos. Tutto questo, senza poi dimenticare che anche la sua linea restrittiva in termini di immigrazione clandestina abbia giocato un ruolo decisivo. Di contro, la questione catalana ha pesato negativamente proprio sui socialisti, vista la posizione ondivaga e contraddittoria, mostrata dal premier Pedro Sanchez in materia.
Al momento, numeri per coalizioni organiche e tendenzialmente uniformi di destra o di sinistra non sembrerebbero esserci. E anche il fronte delle alleanze risulta non poco problematico. In primo luogo, non è scontata una convergenza di Vox con i popolari. Nel corso della campagna elettorale, questi ultimi hanno optato per una virata maggiormente centrista, temendo di finire cannibalizzati dal partito nazionalista (così come accaduto a Ciudadanos). Dall'altra parte, la sinistra non versa in una situazione migliore. Nonostante le recenti aperture di Pablo Iglesias, non è infatti automatico che possa aver luogo una coalizione tra Podemos e il Partito Socialista: non solo perché, come abbiamo visto, i due sono arrivati ai ferri corti già l'estate scorsa. Ma anche perché, da soli, non disporrebbero comunque di una maggioranza parlamentare. A questo punto, avrebbero necessità di ottenere l'appoggio dei piccoli partiti catalani (come Sinistra Repubblicana di Catalogna): un appoggio però tutt'altro che scontato, vista la suddetta posizione controversa di Sanchez sulla questione indipendentista. Tra l'altro, non bisogna dimenticare che furono proprio questi piccoli partiti a far cadere il suo governo nel febbraio del 2019.
In un contesto tanto aggrovigliato, gli scenari più probabili sembrerebbero essere due. In primo luogo, non è del tutto escludibile un quinto voto consecutivo. Ciononostante non appare neppure infondata l'ipotesi di un governissimo che veda alleati socialisti e popolari: socialisti e popolari che, insieme, disporrebbero della maggioranza parlamentare. Per quanto a prima vista una simile eventualità possa apparire paradossale, si scorgono alcune ragioni che potrebbero spingere le due forze ad unirsi. Innanzitutto è improbabile che il Partito Socialista voglia ritentare seriamente un asse con Iglesias, dopo la rottura di quest'estate. Dall'altra parte, non va trascurato che - come già accennato - i popolari si siano spostati maggiormente al centro nelle ultime settimane: una mossa, decisa proprio per distanziarsi da Vox. Tra l'altro, un eventuale governissimo otterrebbe quasi certamente la benedizione delle alte sfere europee, a partire dalla Francia di Emmanuel Macron che - da diverso tempo - sta guardando alla Spagna per rafforzare la sua posizione geopolitica rispetto alla Germania e all'Italia. Va da sé che un simile scenario non farebbe che rinvigorire ulteriormente Vox la quale, vista la debacle di Ciudadanos, resterebbe di fatto l'unica forza politica a presidiare l'area destra dell'elettorato iberico. Del resto, che l'Eliseo non guardi con troppa simpatia a questo partito è testimoniato dal fatto che, lo scorso giugno, il ministero francese per gli Affari europei abbia rimproverato proprio Ciudadanos (alleato di Macron a livello europeo) per le alleanze politiche contratte con i nazionalisti in sede di elezioni locali. Ulteriore carburante, insomma, nel motore sovranista di Vox.
Continua a leggereRiduci
Avanza il sovranismo in Spagna. Le ultime elezioni hanno prodotto un deciso cambiamento nel quadro politico iberico. Un quadro politico che resta tuttavia profondamente frammentato. Vincitrice risulta innanzitutto la forza sovranista Vox che - con il 15% dei voti - è diventata il terzo partito, raddoppiando il numero dei seggi e fagocitando di fatto buona parte degli elettori di Ciudadanos, compagine liberale che ha visto dimezzati i propri consensi (fermandosi al 7%).Un buon risultato è stato ottenuto anche dal Partito Popolare che, con il 21%, ha incrementato i propri seggi e si è confermato secondo a livello nazionale. La maggioranza relativa è andata nuovamente ai socialisti, che - con il loro 28% - non sono riusciti a migliorare la propria posizione rispetto alla tornata precedente, lasciandosi inoltre sfuggire qualche seggio. Tutto questo, mentre la formazione di sinistra, Podemos, ha perso decisamente terreno, scivolando - con il 13% dei voti - dal terzo al quarto posto.Quella di ieri è stata la quarta volta che la Spagna è andata al voto nel giro di quattro anni. Nell'arco di questo periodo, non è infatti stato possibile costituire maggioranze solide, visto un quadro partitico complessivo oltremodo frastagliato e litigioso. Le precedenti elezioni, che si erano tenute lo scorso aprile, sembravano aver aperto allo scenario di una coalizione tra i socialisti e Podemos: uno scenario, naufragato in estate, vista l'incapacità mostrata dai due potenziali contraenti di arrivare a un accordo per la distribuzione degli incarichi di governo. Proprio questo stallo ha quindi costretto in settembre il re, Filippo VI, a sciogliere le camere e a indire nuove elezioni. La campagna elettorale delle scorse settimane ha mostrato plasticamente le insanabili divisioni in seno alla politica iberica. E, in particolare, a tenere banco si è rivelata la questione catalana. Una questione che rischia di pesare significativamente sulla formazione del nuovo governo spagnolo. E che spiega, almeno in parte, gli esiti di questo voto.Una delle principali ragioni dell'exploit di Vox è rappresentato proprio dalla sua posizione di profonda avversione nei confronti dell'indipendentismo di Barcellona. Del resto, questa forza politica ha sempre rivendicato una linea nettamente nazionalista, sostenendo la necessità di istituire un deciso centralismo sul fronte amministrativo. Vox ha quindi convogliato su di sé il sostegno degli elettori contrari all'indipendenza catalana, sottraendo in questo modo fondamentali consensi soprattutto a Ciudadanos. Tutto questo, senza poi dimenticare che anche la sua linea restrittiva in termini di immigrazione clandestina abbia giocato un ruolo decisivo. Di contro, la questione catalana ha pesato negativamente proprio sui socialisti, vista la posizione ondivaga e contraddittoria, mostrata dal premier Pedro Sanchez in materia.Al momento, numeri per coalizioni organiche e tendenzialmente uniformi di destra o di sinistra non sembrerebbero esserci. E anche il fronte delle alleanze risulta non poco problematico. In primo luogo, non è scontata una convergenza di Vox con i popolari. Nel corso della campagna elettorale, questi ultimi hanno optato per una virata maggiormente centrista, temendo di finire cannibalizzati dal partito nazionalista (così come accaduto a Ciudadanos). Dall'altra parte, la sinistra non versa in una situazione migliore. Nonostante le recenti aperture di Pablo Iglesias, non è infatti automatico che possa aver luogo una coalizione tra Podemos e il Partito Socialista: non solo perché, come abbiamo visto, i due sono arrivati ai ferri corti già l'estate scorsa. Ma anche perché, da soli, non disporrebbero comunque di una maggioranza parlamentare. A questo punto, avrebbero necessità di ottenere l'appoggio dei piccoli partiti catalani (come Sinistra Repubblicana di Catalogna): un appoggio però tutt'altro che scontato, vista la suddetta posizione controversa di Sanchez sulla questione indipendentista. Tra l'altro, non bisogna dimenticare che furono proprio questi piccoli partiti a far cadere il suo governo nel febbraio del 2019.In un contesto tanto aggrovigliato, gli scenari più probabili sembrerebbero essere due. In primo luogo, non è del tutto escludibile un quinto voto consecutivo. Ciononostante non appare neppure infondata l'ipotesi di un governissimo che veda alleati socialisti e popolari: socialisti e popolari che, insieme, disporrebbero della maggioranza parlamentare. Per quanto a prima vista una simile eventualità possa apparire paradossale, si scorgono alcune ragioni che potrebbero spingere le due forze ad unirsi. Innanzitutto è improbabile che il Partito Socialista voglia ritentare seriamente un asse con Iglesias, dopo la rottura di quest'estate. Dall'altra parte, non va trascurato che - come già accennato - i popolari si siano spostati maggiormente al centro nelle ultime settimane: una mossa, decisa proprio per distanziarsi da Vox. Tra l'altro, un eventuale governissimo otterrebbe quasi certamente la benedizione delle alte sfere europee, a partire dalla Francia di Emmanuel Macron che - da diverso tempo - sta guardando alla Spagna per rafforzare la sua posizione geopolitica rispetto alla Germania e all'Italia. Va da sé che un simile scenario non farebbe che rinvigorire ulteriormente Vox la quale, vista la debacle di Ciudadanos, resterebbe di fatto l'unica forza politica a presidiare l'area destra dell'elettorato iberico. Del resto, che l'Eliseo non guardi con troppa simpatia a questo partito è testimoniato dal fatto che, lo scorso giugno, il ministero francese per gli Affari europei abbia rimproverato proprio Ciudadanos (alleato di Macron a livello europeo) per le alleanze politiche contratte con i nazionalisti in sede di elezioni locali. Ulteriore carburante, insomma, nel motore sovranista di Vox.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
Continua a leggereRiduci
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
Continua a leggereRiduci
Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
Continua a leggereRiduci